Plinio Corrêa de Oliveira

 

 

 

 

 

 

 

Dall’opera “Rivoluzione e Contro-Rivoluzione”, Edizione del cinquantenario (1959-2009), Presentazione e cura di Giovanni Cantoni, Sugarco Edizioni, pag. 285-292

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Un’osservazione di san Giovanni Bosco illumina la causa della Rivoluzione [1]

 

El Cruzado Espanhol mi onora riproducendo sulle sue colonne una buona parte del mio studio Rivoluzione e Contro-Rivoluzione. Questa pubblicazione mi mostra che l’argomento interessa ai lettori della rivista. Perciò mi propongo, con questa collaborazione, di trattare — benché rapidamente — una questione in completo rapporto con il tema del mio studio, ma che, per amore di brevità, non ho sviluppato quanto avrei desiderato.

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Entrerò in argomento in modo forse un poco inatteso.

Sfogliando scritti di san Giovanni Bosco [1815-1888], ho trovato la seguente curiosa osservazione: «Per conoscere moralmente i giovani pericolosi fin dal principio dell’anno io li distinguo in due classi. I cattivi, corrotti di costumi e quelli che abitualmente si sottraggono all'osservanza delle regole. E primieramente in quanto ai cattivi dirò una cosa che sembra impossibile, ma pure è così come io affermo. Fra cinquecento alunni in un collegio supponiamo vi sia un solo guasto di costumi. Ecco entrare un nuovo accettato, ed egli pure infetto dal vizio. Questi due sono di paesi, di provincie, anzi di stati diversi: di classe, di camerata distinte; non si sono mai conosciuti, mai visti; eppure al secondo giorno di collegio, e talvolta anche dopo poche ore, voi li scorgete insieme nel tempo della ricreazione. Sembra che un malefico istinto li spinga ad indovinare chi è tinto dalla stessa loro pece, e che una calamita del demonio li attiri a stringere amicizia. Il dimmi con chi pratichi, e ti dirò chi sei è un mezzo facilissimo per scoprire le pecore rognose prima ancora che diventino lupi»[2].

La testimonianza di un osservatore tanto veritiero, esperto e competente in argomenti pedagogici, non può essere messa in dubbio.

Tuttavia questa testimonianza ci pone davanti a un fatto che non è difficile osservare, anche fra adulti, tanto in episodi correnti della vita quotidiana quanto nei grandi avvenimenti storici. Quando il male giunge a un certo livello di profondità nelle anime, queste si trovano dotate di un’acutezza di vista che permette loro, attraverso indizi che ad altri potrebbero sembrare insignificanti, di giungere a riconoscere da lontano i propri simili. A tale acutezza di vista si collega un’altra peculiarità: una reciproca attrazione che li unisce rapidamente, in intima convivenza, nonostante le molteplici circostanze che li possano separare, come differenza di origine, di età e così via. È facile verificare come dal congiungersi di elementi di tale indole trae origine, naturalmente, un gruppo e perfino una corrente, che funziona come un tumore che distilla veleno.

1. L’unione accentua le caratteristiche. All’interno di un gruppo si forma, attraverso la reciproca emulazione, un ambiente diametralmente opposto all’ambiente generale in cui si trova. 

2. L’accentuazione delle caratteristiche genera l’odio. Tale diversità genera, necessariamente, antipatie, frizioni, odio contro la maggioranza. Tale odio potrà mantenersi nascosto, per ragioni di convivenza, ma in alcuni casi — non sempre — la stessa necessità di tacere aumenterà la sua virulenza. 

3. L’odio incita alla lotta. Si tratta di una conseguenza forzata. Chi si trova male in un ambiente, lotta per modificarlo. E, affrontando ostacoli, lotta per eliminarli. Se questi ostacoli non si lasciano eliminare passivamente, danno luogo alla lotta. 

4. La lotta conduce al proselitismo e al collegamento di sforzi. È naturale che un nucleo di cattivi non solo attragga suoi simili con la forza dell’imitazione, così puntualmente descritta da san Giovanni Bosco, ma è pure naturale che, per la tendenza all’espansione, inerente a tutto quanto è intensamente vivo, così come per la necessità di reclutare soldati per la lotta, cerchi di aumentare il numero dei propri adepti.

La combinazione degli sforzi deriva da un imperativo naturale, che non richiede nessuna spie­gazione. 

5. Dal permanere di tali sforzi articolati deriva un’organizzazione. Anche questo è ovvio. Elementi legati fra loro in modo permanente, per affinità profonda di mentalità, identità di obiettivi e per intima connessione di sforzi, non tarderanno a elaborare un sistema ideologico, un programma e una tecnica d’azione comuni e a costituire un organo direttivo. A questo punto sarà tracciato l’itinerario, che va dal semplice fatto dell’esistenza di alcuni «cattivi», che s’intendono reci­pro­camente e si mettono in contatto, fino alla formazione di un’associazione. Occulta come la massoneria, semi-occulta come il giansenismo o il modernismo, dichiarata come il luteranesimo o il comunismo, questa associazione si propone di combattere su tutti i terreni — ideologico, artistico, politico, sociale, economico e così via — per la conquista dei propri obiettivi. In una parola, fa rivoluzione.

L’odio al bene

La causa motrice di tutta questa successione di fenomeni è l’odio al bene, generato dalla perversione quando questa attinge un certo livello di profondità.

Insisto in questa affermazione. E so che, quando la perversione raggiunge un tale livello di profondità, suscita questa misteriosa capacità d’identificazione e attrazione mutue, che san Giovanni Bosco descrive e che costituisce il punto di partenza iniziale di ogni rivoluzione organizzata. Un gran numero di persone simpatizza con i buoni; se commettono qualche peccato, lo fanno con vergogna e con tristezza. Da gente così, in quanto moralmente non cade molto spesso, non si deve temere una congiura. Negli altri la perversione giunge ad attaccare profondamente l’umiltà, fino al punto di produrre un’indifferenza cinica di fronte al peccato e perfino una ribellione contro i buoni e il bene.

Né si dica che l’essere razionale è incapace di odiare il bene. È necessario ricordare a questo punto i «distinguo» che l’argomento comporta. Ricordiamo di passaggio che, se le cose stessero puramente e simplicemente così, gli angeli cattivi non avrebbero odiato Dio, che è il Sommo Bene. Inoltre, tale avversione può consistere semplicemente in un’antipatia. Questa, poi, può generare incomprensioni, frizioni, incidenti, senza perciò dare origine a una congiura o a una lotta, ma vi sono casi che dimostrano uno stato di spirito molto più aggressivo. In tal senso, l’odio di Caino contro Abele mi sembra caratteristico. Ancora di più quello del Sinedrio contro nostro Signore.

Passando da questo fatto eccelso a un fatto contemporaneo, ricordo una notizia letta di recente. Negli Stati Uniti un gruppo di play-girl ha aggredito una giovane collega, riducendola in uno stato fisico deplorevole. Interrogate dalla polizia, le delinquenti avevano dichiarato che non avevano nessuna questione personale contro la vittima. L’unica ragione del loro atteggiamento aggressivo era stato il fatto che quella collega era a tal punto esemplare nei suoi studi, nel suo comportamento e nel suo modo di vestire, che il semplice fatto della sua esistenza riusciva insopportabile per le aggreditrici. Se immaginiamo tale stato d’animo non in furie prive d’intelligenza e di serenità, ma in persone equilibrate, che riflettono e sono ostinate, avremo portato allo scoperto quanto è causa di una forte e pericolosa associazione, che potrà produrre la fine di un’età storica.

Quasi tutte queste considerazioni sono sufficientemente note, almeno quando analizzate partitamente. Ma, in generale, esse si presentano allo spirito come confuse e isolate. Messe a nudo e riunite in un corpo dottrinale e di osservazioni, nella forma di tratti ricorrenti e collegati, intravvederemo qualcosa di nuovo. Mostrerò, in poche parole, in che consiste questo qualcosa.

La simpatia e la connivenza dei moderati 

Da quanto abbiamo visto finora sono stati messi in evidenza due aspetti del male.

Uno genera la Rivoluzione; e l’altro, in presenza del fenomeno Rivoluzione, quale atteggiamento induce?

Per lo stesso principio di attrazione del male da parte del male — simile simili gaudet [3] —, che costituisce la spiegazione profonda del fenomeno tanto acutamente osservato da san Giovanni Bosco, deriva che il male più superficiale è attratto, ipnotizzato e dominato da quello più intenso. Così si spiega che le correnti moderate della Rivoluzione non lottano seriamente e durevolmente contro le correnti estreme. I girondini nel secolo XVIII, i sostenitori della monarchia parlamentare inglese nel secolo XIX, i sostenitori di Kerensky [Aleksandr Fëdorovič Kerenskij (1881-1970)] nel secolo XX, posti di fronte alla Rivoluzione, finirono per cedere sempre, anche quando lottarono armi alla mano contro di essa e la vinsero temporaneamente. Così, la borghesia francese vince la Comune di Parigi [1871], e, all’apparenza, oppone una diga alla Rivoluzione. Ma, preso il potere, la stessa borghesia favorì lo sviluppo del processo rivoluzionario. Ancora di più. Messi di fronte alla Rivoluzione e alla Contro-Rivoluzione, i rivoluzionari moderati ondeggiano, in generale, cercando di ottenere conciliazioni assurde. Ma, infine, favoriscono sistematicamente la prima contro la seconda. 

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Come si spiega, quando tante volte i più elevati e i più evidenti interessi economici, le cariche più onorifiche, la formazione tradizionale più profonda, i motivi di parentela e di amicizia più prossimi e affettuosi, dovrebbero indurre i «moderati» ad allearsi con la Contro-Rivoluzione? Quanti sono stati, nelle file dei «moderati», gli uomini di talento che impegnarono tutte le proprie risorse intellettuali per vedere che le loro perpetue capitolazioni li stavano trascinando nell’abisso, e con loro tutta la loro discendenza, e ciononostante continuarono a cedere sistematicamente, come se questo stesso abisso li attirasse fatalmente?

Rispondere a questa domanda equivale a spiegare la causa più essenziale delle vittorie sistematiche degli estremisti, nei processi rivoluzionari, dal momento che questi sono sempre stati, o quasi sempre, poco numerosi, poco brillanti o di poche risorse finanziarie. Le loro vittorie, nella maggior parte dei casi, sono attribuibili alla timidezza, alla cecità, alla debolezza e alla rassegnazione di «moderati», generalmente ricchi, influenti, numerosi e, invariabilmente, a loro disposizione, preferendo tutto piuttosto che appoggiare seriamente le schiere della Contro-Rivoluzione, generalmente anch’esse poco numerose, povere e così via.

Indubbiamente l’inerzia e la paura sono caratteristiche delle classi ricche, e spiegano in parte questo fenomeno. Per noi, però, non spiegano tutto. Infatti, da una parte, non tutte le classi ricche sono indecise e paurose. Per esempio, non ha sofferto di questo difetto la nobiltà europea all’epoca delle Crociate e della Reconquista. Sono quindi le élite decadenti a soffrire di questo male.

Antipatia nei confronti della Contro-Rivoluzione 

Ma la paura delle élite decadenti non spiega tutto. È notorio che, se da un lato rivelano di aver paura dell’estremismo rivoluzionario, dall’altro esprimono idee passeggere e involontarie di simpatia nei confronti del citato estremismo. D’altro lato, in relazione al radicalismo contro-rivoluzionario non manifestano paura, bensì un’antipatia sistematica e malcelata. Inoltre, queste simpatia e antipatia, tanto stabili e impulsive, devono svolgere per forza una parte, che sarebbe un errore sottovalutare nel tener conto dell’atteggiamento dei rivoluzionari «moderati».

Ciò posto, come si spiega questa simpatia? A chi ubbidisce? I «moderati», in apparenza tanto attaccati al denaro, alla salute e ai piaceri dello spirito rivoluzionario, temono solamente alcuni pochi contagi. Non sarà che, nel caso, sono idealisti disposti a tutto, nel cattivo senso della parola, è chiaro? Le apparenze direbbero di no. Ma i fatti, osservati accuratamente, mostrano che in un certo senso li sono, e che questo «idealismo» svolge una profonda funzione nella loro psicologia e nei loro atteggiamenti. In che modo? 

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Lo spirito rivoluzionario costituisce una grave deformazione dottrinale e morale. E questo nonostante coesista, in molti casi, con costumi incontaminati e con una indiscutibile probità negli affari. San Pio X, nell’enciclica Pascendi [4], fa notare questo punto per quanto si riferisce ai modernisti. Chi ha questo spírito, anche se per partecipazione, s’incorpora alla misteriosa dinamica del male, descritta da san Giovanni Bosco. Lo spirito rivoluzionario, nella sua forma moderata, se non suscita quella capacità di reciproca conoscenza e di articolazione dinamica, produce un fenomeno analogo, ma più debole. Questo fenomeno è un’antipatia profonda, anche se discreta e quasi impalpabile, contro tutto quanto si oppone alla Rivoluzione.

Tale antipatia ha di particolare il fatto che non si sbaglia quasi mai e che qualunque manifestazione dello spirito contro-rivoluzionario, anche se quasi impalpabile e nascosta, è da essa identificata, rifiutata e perfino combattuta. Perciò, senza giungere a prendere l’iniziativa di sacrificare i propri interessi a vantaggio della Rivoluzione, accetta senza protestare questo sacrificio e talora si consola con esso, per il semplice fatto che la sua profonda antipatia per la Contro-Rivoluzione è soddisfatta dai progressi della Rivoluzione.

Il fatto è spaventoso. E sarebbe perfino da non credere, se non fosse evidente nel mondo intero. Quante famiglie aristocratiche o borghesi esistono, distrutte ed espulse dalla Rivoluzione, che rinunciano a qualunque lotta e vivono rassegnate, quasi felici, in una situazione nascosta e quasi proletaria, perfettamente integrate nel mondo rivoluzionario del quale sono vittime. Scrivendo ciò, penso a numerosi esiliati russi e, più particolarmente, a tanti sacerdoti scismatici, che si preoccupano solamente di qualche accordo con il comunismo. Scoraggiamento? In parte sì. Ma scoraggiamento senza rancore, quasi felice, nel quale si vede chiaramente il sorriso di una segreta simpatia, talora perfino subcosciente. Da cui si vede bene che non è l’interesse che dirige la storia e che questa non è in primo luogo una lotta d’interessi, ma di princìpi, una lotta fra la Verità e l’errore, fra il Bene e il male, fra la Luce e le tenebre.

La parte del demonio 

Qual è la parte del demonio in questa lotta? Oppure, almeno, quale la sua azione nel fenomeno descritto da san Giovanni Bosco?

Nel testo citato il santo ammette chiaramente, come plausibile, l’azione preternaturale.

Da parte nostra, siamo convinti che sia enorme. Ma questo aspetto del problema non fa parte del tema di questo articolo, in cui abbiamo inteso abbozzare brevemente i contorni psicologici dell’ordine naturale, che operano da sé stessi, ma sui quali il demonio può avere influenza, agire con frequenza e con terribile efficacia, per fare degli uomini strumenti e vittime della Rivoluzione, della quale è stato il primo fautore e continua a essere il fattore principale.


[1] Plinio Corrêa de Oliveira, Uma observação de São João Bosco esclarece la causa da Revolução, in Sociedade Brasileira de Defesa da Tradição, Família e Propriedade. Circular aos Sócios e Militantes da TFP, anno I, n. 2, San Paolo 15-4-1966, pp. 1 e 3-7, ciclostilato; ripresa del testo originale — completo, ma la numerazione del ciclostilato salta dall’1 al 3 — di un articolo comparso sul quindicinale spagnolo El Cruzado Español — nato a Barcellona, nel 1958, da una scissione della rivista Cristiandad, della medesima città, e cessato nel 1981 — nei numeri 55 e 56 del 1-15 giulio 1960, anno III, pag. 1, 2 e 3.

[2] San Giovanni Bosco, Ideario pedagógico, in Rodolfo Fierro Torres S.D.B. (1879-1974) (a cura di), Biografía y escritos de san Juan Bosco. Memorias del oratorio. Ideario pedagógico. Ascética al alcance de todos. Extractos de artículos y discursos. Vidas de Domingo Savio y Miguel Magone. Epistolario, Biblioteca de Autores Cristianos, Madrid 1955, pp. 433-663 (pp. 457-458) [trad. spagnola, da Memorie biografiche di San Giovanni Bosco, raccolte dal sacerdote salesiano Giovanni Battista Lemoyne (1839-1916), vol. VI, edizione extracommerciale, San Benigno Canavese (Torino) 1907, pp. 392-393].

[3] [«Il simile piace al simile»; cfr. voce simile in Carlo Lapucci, Dizionario dei proverbi italiani, con saggio introduttivo sul proverbio e la sua storia, Le Monnier, Firenze 2006, p. 1098, dove si segnala che il concetto era già proverbiale al tempo di Omero (IX-VIII secolo a.C. circa) (cfr. Idem, Odissea, libro XVII, verso 218: «[...] sempre il simile appaia il dio con il simile», testo e trad. it., a cura di Rosa Calzecchi Onesti, con Prefazione di Fausto Codino [1948-1978], Einaudi, Torino 2006, p. 477).]

[4] [Cfr. san Pio X, Litterae encyclicae «Pascendi dominici gregis» de modernistarum doctrinis, del’8-11-1907, in Enchiridion delle Encicliche, vol. 4, Pio X. Benedetto XV. (1903-1922), ed. bilingue, EDB. Edizioni Dehoniane Bologna, Bologna 1998, pp. 206-309 (p. 209).]