Plinio Corrêa de Oliveira

 

Garaudy abbozza un nuovo avvicinamento

 

 

 

 

 

Cristianità, Piacenza, Anno I, n. 2, novembre-dicembre 1973, pag. 10-11 (*)

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Sul grande pubblico, un avvenimento ormai vecchio di mezzo secolo, come la rivoluzione bolscevica del 1917, ha lasciato segni profondi, che durano ancora. La caduta improvvisa e spettacolare dello zarismo, con il suo seguito di persecuzioni e di massacri, ha prodotto un trauma così profondo sulla sensibilità dei popoli civili, che ancora oggi, quando si parla di comunismo, il ricordo di questi episodi tragici si ripresenta nella maggior parte delle persone.

Questa associazione di immagini è tanto più spiegabile in quanto, durante queste cinque decadi, sembra che il comunismo abbia messo tutto il suo impegno nel conservare e perfino nell’accentuare il panico universale provocato nel 1917. In tutte le zone esso ha continuamente insinuato l’odio, ha provocato agitazioni, ha tramato attentati, ha suscitato rivoluzioni e ha acceso guerre. Ancora oggi la presenza del comunismo fa pesare sul mondo la minaccia apocalittica della distruzione atomica. Tutto questo - come è noto - non deriva da circostanze fortuite. Nell’essenza stessa della dottrina comunista è contenuta la giustificazione dei mezzi violenti, sempre che siano necessari, o almeno convenienti, per la vittoria del marxismo. E - come abbiamo visto negli articoli precedenti - corrisponde alle norme basilari della strategia comunista immobilizzare gli avversari attraverso la paura.

Tutto questo rende interamente spiegabile il fatto che, per innumerevoli persone, il pericolo comunista consista essenzialmente nella eventualità di una esplosione del tipo di quella del 1917.

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Ora - lo abbiamo visto anche negli altri articoli - ridurre a questo il pericolo comunista comporta una grande semplificazione del problema. Infatti il comunismo non ha fatto progressi soltanto - né principalmente – attraverso laghi di sangue e carneficine. In diverse fasi della sua storia gli è stato necessario temporeggiare, sorridere, fare promesse, per addormentare la vigilanza e la combattività dell’avversario, prima di gettarsi su di lui. Perché questo genere di artifici fosse efficace, evidentemente non servivano per nulla al comunismo demagoghi scapigliati o lugubri terroristi. Gli erano necessari dottrinari chiacchieroni, che trovassero punti comuni per invitare l’avversario a una collaborazione piena di inganni. Abbisognava di sottili diplomatici, alcuni dei quali infiltrati anche nei posti chiave dei paesi del nemico, per conseguire delle "Yalta" di ogni tipo. Aveva bisogno di simpatizzanti perfino tra le sue vittime, per suscitare fra di esse il desiderio di capitolazioni più o meno velate, nello stile del "cedere per non perdere". Con tutto questo apparato, in pieno tempo di pace, i capi comunisti, con il sorriso che illumina loro gli occhi e fiorisce loro sulle labbra, hanno ottenuto maggiori risultati negli ultimi 20 anni, che con ogni genere di violenza.

Ho parlato della tattica comunista in termini generali. Purtroppo non mi è difficile illustrare le mie affermazioni con un esempio classico.

Questo esempio chiarissimo, archetipico, spettacolare e drammatico, il lettore lo può trovare esaminando le file cattoliche. Né Nerone, né Diocleziano, né Giuliano l’apostata, né i riformatori del secolo XVI, né i rivoluzionari francesi del 1789, né Lenin, né Calles, né i repubblicani spagnoli sono riusciti a causare alla Chiesa un danno paragonabile alla confusione, al disordine, allo spostamento a sinistra che è nato tra i cattolici e si va aggravando a partire dal momento in cui i comunisti hanno iniziato la loro famosa politica della mano tesa.

Sì, la mano dell’avversario, quando si stende proditoriamente come se fosse amica, può essere, in determinate situazioni, molto più pericolosa che se impugnasse un pugnale o caricasse una bomba. Il progresso del comunismo, ripeto, si è realizzato maggiormente attraverso il sofisma, l’infiltrazione, il sorriso ipocrita, che non attraverso la violenza. Esso ha ottenuto i suoi maggiori successi non tanto reclutando nuovi adepti quanto accecando, dividendo, addormentando e corrompendo i non comunisti.

L’utilizzazione del binomio paura-simpatia, il cui complicato meccanismo ho descritto su questo giornale, è uno dei mezzi più importanti di cui si serve il comunismo per raggiungere questo fine. Così infatti manovra a proprio vantaggio il panico che immobilizza e l’astuzia che seduce le sue vittime.

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Posto tutto questo, è il caso di chiedersi a che punto si trova, al momento, fuori del campo religioso, questa avanzata piena di lusinghe del comunismo.

Chiedo, in altri termini, se nelle file dei proprietari e in quelle dei lavoratori intellettuali o manuali non si delinei qualche fenomeno analogo. Chiedo se, osservando con attenzione, non troviamo in queste diverse categorie elementi che, per adesso discretamente, svolgono una parte analoga a quella che recitano all’interno della Chiesa il p. Comblin e altri carbonari dal nome francese, russo o brasiliano. E, infine, mi propongo di scoprire se entro un certo lasso di tempo questi ambienti non saranno sconvolti come gli ambienti cattolici.

A me pare di sì. E questo sospetto ha preso corpo improvvisamente quando ho letto tra le notizie riferite dalla stampa che un personaggio comunista fra i più sospetti "tendeva la mano", in un modo sensazionale, al capitalismo nordamericano.

Questo personaggio ha avuto una parte di grande rilievo nell’avvicinamento del comunismo alla Chiesa. Mi sembra che egli prepari ora una manovra analoga, con obiettivi analoghi e analoghi metodi, contro altri fronti della lotta comunista per la conquista ideologica e politica del mondo.

Questo personaggio è il veterano dirigente del PC francese, il capzioso specialista di problemi religiosi, il conferenziere loquace e brillante che risponde al nome di Roger Garaudy. 


(*) Traduzione dell'articolo "Garaudy esboça nova aproximação", comparso sulla Folha de S. Paulo l’8-3-1970.


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