Cap. I, 2. Brasile: una vocazione alla grandezza

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Visitando il Brasile negli anni ‘30, Stefan Zweig restò stupito da questa terra, che previde destinata a divenire “uno dei fattori più importanti dello sviluppo futuro del nostro mondo” (7).
Ciò che prima di tutto colpisce del Brasile è la grandezza delle superfici e degli orizzonti. L’estensione di questo Paese, con 8.511.965 chilometri quadrati, è di oltre la metà di quella dell’America del Sud. Le grandi montagne che scendono a picco sul mare, le foreste dalla vegetazione lussureggiante, il tumultuoso Rio delle Amazzoni che con un bacino di oltre cinque milioni di chilometri quadrati rappresenta il più vasto sistema fluviale della terra, danno l’immagine di un Paese in cui tutto sovrabbonda: la natura, le luci, i colori, tanto da far pensare, secondo l’immagine di Rocha Pita, a un vero “paradiso terrestre”.
“In nessun altro Paese si mostra un cielo più sereno né mattina più bella all’aurora; in nessun altro emisfero il sole ha i raggi più dorati né riflessi notturni più brillanti; le stelle sono più benigne e si mostrano sempre ridenti; gli orizzonti sono sempre chiari, sia che il sole nasca sia che tramonti; le acque sono le più limpide, sia che vengano raccolte alle fonti nei campi sia negli acquedotti dei villaggi; insomma il Brasile è il paradiso terreno riscoperto” (8).
Il vasto continente brasiliano appare perpetuamente rivestito di luce “come un diamante scintillante nelle ombre dell’Infinito. (…) Il suo fulgore diffonde nei silenzi degli spazi un chiarore inestinguibile, fulvo, ardente, soave o pallido. Tutto è sempre luce. Calano dal sole luminose ondate abbaglianti che mantengono sulla terra una profonda quiete. La luce tutto invade e tutto assorbe” (9).
Questa luce, che diffonde un chiarore inestinguibile e sembra conservare la terra in un’atmosfera di raccolta quiete, riveste i grandi spazi di una misteriosa dimensione spirituale. Sembra quasi che l’estensione luminosa degli orizzonti predisponga l’anima a una vocazione magnanima e grande.
La data di nascita del Brasile è il 22 aprile del 1500, quando, all’orizzonte della nuova terra, apparvero le bianche vele della flotta portoghese, comandata da Pedro Alvares Cabral. Il primo gesto dei “descobridores” fu di piantare sulla spiaggia la Croce e di far celebrare sulla nuova terra il sacrificio incruento del Calvario. Il Brasile fu da allora la “Terra de Santa Cruz” (19). La costellazione della Croce del Sud sembrò suggellare nei cieli questa scena, che resterà impressa per l’eternità nell’anima brasiliana. “La Croce del Sud, emblema araldico della patria, con la sua dolce luce notturna rievoca in eterno la perpetuità del patto di alleanza. Essa parla di un’immortale speranza alla nazione cristiana che cresce sulla terra della santa Croce” (11). Da allora, osservò un diplomatico italiano, “il profumo originario del cristianesimo è diffuso in ogni angolo della terra brasiliana, come se ci fosse stato sparso una sola volta per sempre” (12).
La Croce, ricorda il padre Leite, “era un simbolo e una promessa. Ma non era ancora la semente. Questa sarebbe venuta, prolifica e abbondante, quasi mezzo secolo dopo, nel 1549, con l’istituzione del Governo Generale e con l’arrivo dei gesuiti” (13). In quell’anno, sei missionari della Compagnia appena fondata da sant’Ignazio, seguirono il governatore Tomé de Souza, inviato dal re Giovanni III di Portogallo per evangelizzare la nuova terra (14). Essi, osservò Stefan Zweig, portarono “con sé la cosa più preziosa che occorre per l’esistenza di un popolo e di un paese: un’idea, e precisamente l’idea creatrice del Brasile” (15).
I Gesuiti infusero un’anima in quella che fino a quel momento era stata una terra ricca di potenzialità, ma informe. “Questa terra è la nostra impresa” (16) dichiarò il padre Manuel da Nobrega (17) che, con il padre José de Anchieta (18), può essere considerato il fondatore del Brasile. Dal “Descobrimento” fino ai nostri giorni i missionari svolsero una “opera senza pari nella storia” (19), di cristianizzazione e, insieme, di civilizzazione delle terre brasiliane. I gesuiti catechizzarono i nativi, raccogliendoli in villaggi appositi (Aldeias), aprirono le prime scuole, costruirono collegi, chiese, strade, città (20).
Quando gli ugonotti tentarono di impadronirsi della nuova terra, i padri Nobrega e Anchieta furono gli “orientadores” delle operazioni militari contro i protestanti francesi sbarcati nella Baia di Guanabara (21). Al centro dell’arco costiero della splendida baia da essi riconquistata (22), fu fondata una piccola città destinata a divenire la capitale: Rio de Janeiro, in cui sembrano confluire, in un’irripetibile sintesi, tutte le bellezze naturali del Brasile: monti, colline, foreste, isole, insenature (23). Capitale della colonia portoghese fu, all’inizio, Salvador di Bahia, una delle “cellule genetiche” (24) del Brasile, con San Paolo, Rio, Pernambuco e Maranhão.
L’immenso territorio fu diviso in dodici Capitanias ereditarie, dalle quali derivarono i vari Stati che avrebbero composto la Confederazione brasiliana (25). I donatari, muniti di ampie concessioni, erano scelti dal re del Portogallo, tra “le persone migliori. Ex navigatori, combattenti, personaggi della corte” (26). Il Brasile continuò ad essere parte integrante del Regno del Portogallo anche durante il periodo, tra il 1580 e il 1640, in cui la corona portoghese si trovò unita personalmente a quella spagnola. Nella lotta contro gli olandesi, che riuscirono a impiantarsi a Bahia (1624-1625) e, più a lungo, a Recife (1630-1654), iniziò a formarsi la coscienza nazionale brasiliana (27). Quando Recife, l’ultima posizione olandese, si arrese all’esercito brasiliano, esisteva ormai un popolo unito. “Le guerre olandesi ebbero la virtù di consolidare in un tipo, fino ad allora sconosciuto, gli elementi diversi della colonizzazione” (28).
Il primo “tipo” aristocratico brasiliano fu quello dei senhores de engenho, i coltivatori della canna da zucchero, che costituì la più tipica cultura brasiliana, nel quadro feudale della Capitania, durante tutta l’epoca coloniale (29).
Le piantagioni della canna e gli engenhos, le piccole raffinerie dove lavoravano gli schiavi, costruite nei pressi dei corsi d’acqua, costituivano la nascente civiltà agricola brasiliana. La Casa-Grande, la fattoria del senhor de engenho, assomigliava a una fortezza militare (30). I senhores de engenho costituirono la grande forza che si oppose alle invasioni degli olandesi, dei francesi e degli inglesi, nemici della Fede e del Re (31).
Il ciclo della canna da zucchero fu l’attività primaria agricola e industriale nei primi due secoli della vita nazionale. Nel secolo XVIII, dopo l’inattesa scoperta dell’oro nello stato di Minas Gerais, questo metallo prese il primo posto nella produzione economica del paese.
I protagonisti del ciclo dell’oro e delle pietre preziose furono i bandeirantes (32), eredi diretti dei descobridores per coraggio e spirito di avventura. A cavallo, bandiera in testa, come cavalieri di ventura, risalivano il corso dei fiumi, scalavano le montagne, si avventuravano verso l’interno alla ricerca di oro e di pietre preziose.
Dopo il ciclo socio-economico dello zucchero e quello dell’oro, a metà del XVIII secolo ebbe inizio la terza grande civiltà, quella del caffè, che fino al 1930 fu la principale fonte di ricchezza dell’economia brasiliana.
Nel secolo XIX, il Brasile acquistò l’indipendenza, ma in maniera diversa dalle altre nazioni latino-americane: non attraverso la lotta armata, ma mediante la costituzione di un impero sul cui trono salì il figlio del Re di Portogallo, dom Pedro I di Braganza (1798-1834).
Il 7 settembre 1822, dom Pedro I proclamò a San Paolo l’indipendenza del Brasile, emanando due anni dopo la prima costituzione. Gli successe il figlio, Dom Pedro II (33), un sovrano filantropo, il cui lungo e pacifico regno si concluse, subito dopo l’abolizione della schiavitù, con la Rivoluzione repubblicana (34). L’Impero perse il sostegno dell’aristocrazia fondiaria, che aveva giudicato erronea o prematura la liberazione degli schiavi; dopo un colpo di stato incruento, la Repubblica venne proclamata a Rio il 15 novembre 1889.
“I brasiliani – ha scritto lo storico italiano Guglielmo Ferrero – hanno visto la monarchia cadere dolcemente, senza spargimento di sangue, come finiscono le belle giornate estive, calme e luminose. Nessuna storia, come quella del Brasile, prova meglio il fatto che le radici di una monarchia s’indeboliscono quando non vengono continuamente ristorate dalla rugiada della grazia divina. Dom Pedro era un imperatore volterriano; ma, nella filosofia e nella scienza, aveva alla fin fine perduto la coscienza di essere un monarca. Si sentiva egli stesso simile a tutti i suoi concittadini e, alla presenza dei suoi amici, si proclamava il primo repubblicano del Brasile. Si rassegnò alla Repubblica con una serenità che prova quanto poco fosse certo di avere il diritto di esercitare un’autorità così vasta” (35).
Nel 1891 l’Impero del Brasile divenne la Repubblica degli Stati Uniti del Brasile, con una nuova bandiera che recava il motto positivista “Ordine e Progresso” (36). “Iniziava in Brasile un’epoca che si sforzava di fare del ‘progresso’ e della ‘scienza’ una divinità adorata dalle sue élite intellettuali” (37). La Repubblica era formata da una federazione di stati autonomi, ciascuno con un proprio parlamento e un proprio governo. Fu separata la Chiesa dallo Stato, decretato il matrimonio civile, alterata la politica economica. I primi dieci anni del secolo furono caratterizzati in Brasile da un clima di euforia e di ottimismo, dovuto alle speranze suscitate dal cambiamento istituzionale e dal progresso economico e sociale del paese (38). Fu il “periodo aureo” della I Repubblica (39).

 

Note:

[7] Stefan Zweig, Brasile. Terra dell’avvenire, tr. it. Sperling & Kupfer, Milano 1949, p. 10; cfr. anche Ernani Silva Bruno, Historia e Tradições da Cidade de São Paulo, Livraria José Olympio Editora, Rio de Janeiro 1954, 3 voll.; Affonso A. De Freitas, Tradições e reminiscências paulistanas, Governo do Estado de São Paulo, São Paulo 1978 (3a ed.); Luiz Gonzaga Cabral s.j., Influência dos Jesuitas na colonização do Brasil, in Jesuitas no Brasil, vol. III, Companhia Melhoramentos de S. Paulo, São Paulo 1925.

[8] Sebastião da Rocha Pita (1660-1738), História da América Portuguesa, in E. Werneck, Antologia Brasileira, Livreria Francisco Alves, Rio de Janeiro 1939, p. 210.

[9] José Pereira da Graça Aranha (1868-1931), A esthetica da vida, Livraria Garnier, Rio de Janeiro-Paris 1921, p. 101.

[10] “Il Brasile nacque cristiano. ‘Isola della vera Croce’, lo chiamò il suo primo storico, che fu anche uno dei suoi scopritori” (Padre Serafim Leite s.j., Páginas de História do Brasil, Companhia Editora Nacional, São Paulo 1937, p. 11). Il cronista della spedizione, Pedro Vaz da Caminha, scrisse al sovrano: “Non possiamo sapere se vi è oro, argento, metalli o ferro; non ne abbiamo veduto. Ma la terra per se stessa è ricca (….) Tuttavia il frutto migliore che se ne potrà trarre sarà, a nostro avviso, di recare ai suoi abitanti la salvezza delle loro anime” (cit. in Roger Bastide, Il Brasile, tr. it., Garzanti, Milano 1964, p. 13; testo della lettera di Pero Vaz e Caminho in Jaime Cortesão, A expedição de Pedro Alvares Cabral, Livrarias Ailland e Bertrand, Lisbôa 1922, pp. 233-256).

[11] Yves de la Brière, Le règne de Dieu sous la Croix du Sud, Desclée de Brouwer & C., Bruges-Paris 1929, p. 20.

[12] Roberto Cantalupo, Brasile euro-americano, Istituto per gli Studi di Politica Internazionale, Milano 1941, p. 89.

[13] S. Leite s.j., Páginas de História do Brasil, cit., pp. 12-13. “Senza misconoscere il contributo di altri, si può senza dubbio proferire questa esatta valutazione: la storia della Compagnia di Gesù in Brasile, nel secolo XVI, è la storia stessa della formazione del Brasile nei suoi elementi catechetici, morali, spirituali, educativi e in gran parte coloniali. Il contributo di altri fattori religiosi non modifica sensibilmente questi risultati” (p. 14).

[14] Il Regimento del 17 dicembre 1548 in cui il re di Portogallo Giovanni III tracciava al suo governatore Tomé de Souza le regole di governo a cui avrebbe dovuto attenersi in Brasile, affermava: “La ragione principale che mi ha spinto a mandare a popolare le citate terre del Brasile fu che la gente del paese si convertisse alla nostra santa fede cattolica” (Regimento de Tomé de Souza, Biblioteca Nacional de Lisbôa, Arquivo da Marinha, liv. 1 de ofícios, de 1597 a 1602). Cfr. anche Padre Armando Cardoso s.j., O ano de 1549 na historia do Brasil e da Companhia de Jesus, in “Verbum”, n. 6 (1949), pp. 368-392.

[15] S. Zweig, Brasile. Terra dell’avvenire,cit., p. 35. Cfr. Carlos Sodré Lanna, Gênese da civilização cristã no Brasil, in “Catolicismo”, n. 519 (marzo 1994), pp. 23-24; idem, A epopéia missionária na formação da Cristandade luso-brasileira, in “Catolicismo”, n. 533 (1995), pp. 22-23.

[16] Cit. in Antonio de Queiroz Filho, A vida heróica de José de Anchieta, Edições Loyola, São Paulo 1988, p. 43.

[17] Il padre Manuel da Nobrega nacque a Entre-Douro-e-Minho in Portogallo il 18 ottobre 1517 e morì a Rio de Janeiro il 18 ottobre 1570. Dottore in Diritto Canonico e Filosofia a Coimbra, nel 1544 entrò nella Compagnia di Gesù e nel 1549 fu inviato da sant’Ignazio in Brasile dove fu primo superiore della missione gesuitica e poi primo Provinciale. La sua missione si sviluppò per oltre vent’anni, fino alla morte.

[18] Nato il 19 marzo 1534 a La Laguna (Canarie), il beato José de Anchieta morì a Reritiba (ora Anchieta) il 9 giugno 1597. Nel 1551 entrò nella Compagnia di Gesù e due anni dopo si imbarcò per il Brasile con un gruppo di missionari che seguivano il governatore portoghese Duarte da Costa. Ordinato sacerdote nel 1566, partecipò alla fondazione di San Paolo (1554) e di Rio de Janeiro (1567) e divenne, nel 1578, Provinciale del Brasile, svolgendovi un infaticabile apostolato che gli valse il titolo di “Apóstolo do novo Mundo”. Venne beatificato da Giovanni Paolo II nel 1980. Cfr. Alvares do Amaral, O Padre José Anchieta e a fundação de São Paulo, Conselho Estadual de Cultura, São Paulo 1971.

[19] S. Leite s.j., História da Companhia de Jesus no Brasil, Livraria Portugalia, Lisbôa 1938, vol. I.

[20] A fianco dei gesuiti, svolsero il loro apostolato i benedettini (dal 1582), i carmelitani (dal 1584), i cappuccini (dal 1612) e altri ordini religiosi. I gesuiti, espulsi nel 1760 dal marchese di Pombal, tornarono in Brasile nel 1842. Sui 40 martiri gesuiti del 1570, cfr. Mauricio Gomes dos Santos s. j., Beatos Inacio de Azevedo e 39 companheiros martires, in “Didaskalia”, n. 8 (1978), pp. 89-155; pp. 331-366 (traduzione dello studio fatto per l’ufficio storico della Congregazione dei Santi).

[21] Consigliere dei padri Nobrega e Anchieta, fu un aristocratico italiano, Giuseppe Adorno, della famiglia dei Dogi genovesi, che aveva messo la sua fortuna e la sua vita al servizio della nuova patria lusitana, dopo essere stato costretto ad abbandonare la sua città. Oltre agli Adorno, si trasferirono in Brasile nel XVI secolo gli Acciaiuoli (Accioly), i Doria, i Fregoso, i Cavalcanti (Cavalcanti d’Albuquerque).

[22] C. Sodré Lanna, A expulsão dos franceses do Rio de Janeiro, in “Catolicismo”, n. 509 (maggio 1993), pp. 22-24.

[23] “Rio de Janeiro, dal punto di vista del suo panorama, può considerarsi come una sintesi del Brasile. È il cuore del Brasile che continua lì a palpitare, nonostante la capitale sia stata ufficialmente trasferita a Brasilia. C’è lì una misteriora sintesi del Paese, un convito a un futuro carico di misteriose promesse” (P. Corrêa de Oliveira, Meditando sobre as grandezas do Brasil, in “Catolicismo”, n. 454 (ottobre 1988)).

[24]  “L’insigne storico del Brasile João Ribeiro definisce come cellule genetiche del tessuto brasiliano i seguenti punti del suo territorio: Bahia, Pernambuco, São Paulo, Rio e Maranhão. Ora, di queste cinque cellule, due (…) furono creazione esclusiva della Compagnia: São Paulo, che creò con le proprie mani, e Rio de Janeiro, che volle fondare contro tutto e tutti. Le altre tre – Bahia, Pernambuco e Maranhão – devono ai Gesuiti il culmine della loro espansione” (L. G. Cabral s. j., Jesuitas no Brasil (século XVI), Companhia Melhoramentos de São Paulo, São Paulo 1925, p. 266).

[25] Homero Barradas, As capitanias hereditarias. Primeiro ensaio de um Brasil organico, in “Catolicismo”, n. 131 (novembre 1961).

[26] Pedro Calmon, História do Brasil, Livraria José Olympio Editora, Rio de Janeiro 1959, vol. I, p. 170.

[27] Cfr. Lucio Mendes, Calvinistas holandeses invadem cristandade luso-americana, in “Catolicismo”, n. 427 (luglio 1986), pp. 2-3; id., Martirio e heroismo na resistência ao herege invasor, in “Catolicismo”, n. 429 (settembre 1986), pp. 10-12; Diego Lopes Santiago, Historia da Guerra de Pernambuco, Fundação do Patrimonio Histórico e Artistico de Pernambuco, Recife 1984. Furono molti in questo periodo gli ufficiali italiani, soprattutto napoletani, che vennero allora in Brasile (cfr. Gino Doria, I soldati napoletani nelle guerre del Brasile contro gli olandesi (1625-1641), Riccardo Ricciardi Editore, Napoli, 1932). Quando nel 1624, la Compagnia delle Indie Occidentali olandesi fece occupare Bahia, Filippo IV inviò una flotta, di cui facevano parte un tercio napoletano, guidato da Carlo Andrea Caracciolo, marchese di Torrecuso. Un altro condottiero napoletano, il conte di Bagnoli Gian Vincenzo Sanfelice, nel 1638 difese con successo Bahia dai calvinisti olandesi, che aspiravano a formare uno Stato protestante nell’America meridionale. Tra il Brasile e il Regno di Napoli vi fu sempre un fecondo interscambio (cfr. ad esempio: Paolo Scarano, Rapporti politici, economici e sociali tra il Regno delle Due Sicilie e il Brasile (1815-1860), Società Napoletana di Storia Patria, Napoli 1958).

[28] P. Calmon, Storia della Civiltà brasiliana, tr. it. Industria Tipografica Italiana, Rio de Janeiro 1939, p. 52.

[29] La canna da zucchero, prodotto ideale per un paese che inizia il suo sviluppo, venne coltivata, fin dalla fine del secolo XVI, nel nord e nel sud del Brasile. Il centro della coltivazione era lo stato di Pernambuco, il cui porto di Recife divenne nel secolo XVII il maggior emporio di caffé di tutto il mondo (P. Calmon, Storia della Civiltà brasiliana, cit., p. 85). Cfr. anche P. Corrêa de Oliveira, No Brasil Colónia, no Brasil Império e no Brasil República: gênese, desenvolvimento e ocasa da “Nobreza da terra”, appendice alla edizione portoghese di Nobreza e elites tradicionais análogas nas alocuções de Pio XII ao Patriciado e à Nobreza Romana, Livraria Editora Civilização, Porto 1993, pp. 159-201.

[30] Gilberto Freyre, Casa-Grande & Senzala, Editora José Olympio, São Paulo 1946 (5a. ed.), vol. I, p. 24.

[31] La conquista delle terre ha del resto un carattere guerriero. “Ogni latifondo dissodato, ogni sesmaria ‘popolata’, ogni recinto costruito, ogni zuccherificio ‘fabbricato’, ha come premessa necessaria una difficile impresa militare. Dal nord al sud, le fondazioni agricole e pastorizie si fanno con la spada in mano” (Francisco José Oliveira Vianna, O Povo Brasileiro e a sua Evolução, Ministério da Agricoltura, Indústria e Comércio, Rio de Janeiro 1922, p. 19).

[32] Sui Bandeirantes, cfr. la imponente História geral das Bandeiras Paulistas (São Paulo 1924-1950, 11 volumi) di Affonso de Taunay, riassunta in História das Bandeiras Paulistas, Edicões Melhoramentos, São Paulo 1951, 2 voll.; cfr. anche J. Cortesão, Raposo Tavares e a formação territorial do Brasil, Ministério da Educação e Cultura, Rio de Janeiro 1958; Ricardo Roman Blanco, Las “bandeiras”, Universidade de Brasilia, Brasilia 1966.

[33] Dom Pedro II (1825-1891) sposò nel 1843 la principessa Teresa Cristina, sorella di Ferdinando II re delle Due Sicilie. La sua figlia maggiore Isabel (1846-1921) sposò il principe Gastone di Orléans, conte d’Eu, da cui ebbe tre figli: Pedro de Alcantara, Luiz e Antonio. Avendo il primo rinunciato, nel 1908, per sé e per la sua futura discendenza ai diritti di successione, divenne erede al Trono il fratello dom Luiz de Orléans e Braganza (1878-1920), sposato con la principessa Maria Pia di Borbone-Sicilia (cfr. Armando Alexandre dos Santos, A Legitimidade Monárquica no Brasil, Artpress, São Paulo 1988). Su Dom Pedro II, cfr. Heitor Lyra, Historia de Dom Pedro II: 1825-1891, Editora Nacional, São Paulo 1940. “Dom Pedro fu un sovrano magnanimo, generoso e giusto, un modello di patriottismo e di cultura, di zelo e di probità, di tolleranza e di semplicità. Fu sapiente e filantropo. Membro dell’Institut de France e delle principali società scientifiche e letterarie straniere, fu un protettore delle arti, delle scienze e delle lettere. Prestò aiuto materiale all’educazione di molti brasiliani illustri; questo grande mecenate non chiuse loro mai la borsa” (S. Rangel de Castro, Quelques aspects de la civilisation brésilienne, Les Presses Universitaires de France, Paris s. d., pp. 29-30). Cfr. anche Leopoldo Bibiano Xavier, Dom Pedro e a gratidão nacional, in “Catolicismo”, n. 491 (dicembre 1991).

[34] Una prima legge del 1871, la cosiddetta “legge del ventre libero”, concedeva la libertà ai figli nati da madre schiava a partire dai 21 anni d’età. Nel 1885 fu approvata la “legge dei sessagenari” che emancipava gli schiavi con più di 65 anni. Il 13 maggio 1888, sotto il ministero conservatore di João Alfredo Corrêa de Oliveira, la principessa Isabella, contessa d’Eu e Reggente imperiale, durante l’assenza del padre in viaggio per l’Europa sanzionò la legge che aboliva definitivamente la schiavitù. In quel momento il Brasile aveva una popolazione di 14 milioni di abitanti con poco più di 700.000 schiavi; il fenomeno della schiavitù andava in realtà estinguendosi spontaneamente. Sull’atto di abolizione della schiavitù cfr. P. Corrêa de Oliveira, A margem do 13 de maio, in “O Legionário”, n. 296 (15 maggio 1938). Cfr. anche Robert Conrad, Os últimos anos da escravatura no Brasil, 1850-1888, Civilização Brasileira, Rio de Janeiro 1978 (2a. ed.); Emilia Viotti da Costa, A abolição, Global, São Paulo 1982.

[35] Cit. in S. Rangel de Castro, Quelques aspects de la civilisation brésilienne, cit., p. 29.

[36] Guglielmo Ferrero racconta di aver visitato a Rio de Janeiro, in Rua Benjamin Constant un “tempio dell’Umanità”, “ragionando piacevolmente di molte cose con il gran sacerdote, il signor Texeira Mendes” (G. Ferrero, Fra i due mondi, Fratelli Treves Editori, Milano 1913, p. 187).

[37] G. Freyre, Ordem e Progresso, 2 voll., Livraria José Olympio Editora, Rio de Janeiro 1974 (3a. ed.), vol. I, p. 515.

[38] Al vertice dello Stato si successero Prudente de Morais (1894-1898), Campos Sales (1898-1902), Rodriguez Alves (1902-1906), Afonso Pena (1906-1909), Nilo Peçanha (1909-1910), Hermes de Fonseca (1910-1914), mentre la politica estera brasiliana venne costantemente diretta in questo periodo dal barone di Rio Branco (1845-1912).

[39] “Fu il ‘periodo aureo’ della Prima Repubblica, se vogliamo dare una definizione alle epoche, alla maniera degli storici antichi…” (Plinio Doyle, Brasil 1900-1910, Biblioteca Nacional, Rio de Janeiro 1980, vol. I, p. 14). All’aurora del secolo il Brasile aveva 17.318.556 abitanti, dei quali oltre il 60% vivevano nelle campagne.

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