Nel gennaio del 1919, si aprì, nel Salone degli Specchi del Castello di Versailles, la Conferenza di Pace (80) che concludeva un conflitto senza precedenti nella storia, sia per il costo umano di più di otto milioni di morti che per l’ampiezza delle ripercussioni politiche e sociali.
La Germania venne mortificata materialmente e moralmente, ma il grande sconfitto della guerra fu l’Impero austro-ungarico (81).
Attraverso la sua distruzione, l’obiettivo di una ristretta cerchia di uomini politici, affiliati alla massoneria, era quello di “repubblicanizzare l’Europa” (82) e portare così a compimento “sul piano nazionale e internazionale, l’opera interrotta dalla Grande Rivoluzione” . Cominciata come una guerra classica, la Prima Guerra mondiale finì, secondo lo storico ungherese François Fejtö, come una guerra ideologica che aveva come scopo lo smembramento dell’Austria-Ungheria (83).
I trattati del 1919-1920, che imponevano o favorivano la trasformazione dei regimi monarchici della Germania e dell’Austria in repubbliche parlamentari, costituirono “più che una pace europea una rivoluzione europea” (84).
La carta politica europea, tracciata dal Congresso di Vienna, venne ridisegnata secondo il nuovo criterio dell’ “autodeterminazione dei popoli” enunciato dal presidente americano Wilson. Sulle rovine dell’impero austriaco, mentre la Germania si avviava a divenire l’unica grande potenza dell’Europa centrale, sorgevano nuovi stati “multinazionali”, come la Repubblica Cecoslovacca e il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni, poi Jugoslavia.
Plinio Corrêa de Oliveira intuì come la fine degli Asburgo avrebbe segnato la fine dell’antica civiltà europea. L’Austria asburgica significava ai suoi occhi l’idea medievale del Sacro Romano Impero, il programma della “Reconquista” e della Contro-Riforma, l’opposizione al mondo nato dalla Rivoluzione francese.
“Il Cattolicesimo, dice Leone XIII con la sua sovrana e decisiva autorità, non s’identifica con una qualche forma di governo, e può esistere e fiorire sia in una monarchia, sia in un’aristocrazia, sia in una democrazia, sia pure in una forma mista che contenga elementi di esse. Il destino del Cattolicesimo non era quindi legato a quello delle monarchie europee. Nondimeno, è incontestabile che queste monarchie, almeno nei loro elementi fondamentali, erano strutturate secondo la dottrina cattolica. Il liberalismo pretese di abolirle e sostituirle con un diverso ordinamento. Esso operò una trasformazione da monarchie aristocratiche d’ispirazione cattolica a repubbliche borghesi e liberali di spirito e mentalità anticattolici” (85).
Se non meravigliano in Plinio Corrêa de Oliveira le radici culturali francesi, legate alla vita intellettuale e sociale della San Paolo del tempo, può stupire il vero e proprio trasporto che fin da allora egli manifestò per l’Austria asburgica. Le radici dell’amore del giovane brasiliano per l’Impero austriaco erano questa volta soprannaturali. L’Austria, che aveva raccolto l’eredità del Sacro Romano Impero carolingio, costituiva ai suoi occhi l’espressione storica per eccellenza della Civiltà cristiana. Tra il XVI e il XVIII secolo, di fronte al protestantesimo dilagante nel Nord-Europa e alla cultura laica e pre-illuministica che si formava, l’Impero asburgico rappresentò il simbolo della fedeltà alla Chiesa. In un’epoca in cui il valore delle dinastie prevaleva su quello degli Stati, il nome degli Asburgo simboleggiò quello della Contro-Riforma cattolica. Sotto una medesima bandiera combattevano i conquistadores iberici che si spingevano nell’interno dell’America Latina e i guerrieri che difendevano le frontiere dell’Impero cristiano sugli spalti di Budapest e di Vienna. Fu nella capitale austriaca che si svolse, nel 1815, il Congresso che avrebbe dovuto sancire la restaurazione dell’ordine europeo, sconvolto dalla Rivoluzione francese e da Napoleone.
L’Impero asburgico rappresentò, fino alla sua caduta nel 1918, il principale bersaglio dell’odio anticristiano delle società segrete e delle forze rivoluzionarie. Plinio Corrêa de Oliveira ne difese sempre l’insostituibile ruolo storico. “Vienna – scriverà all’indomani della seconda guerra mondiale – dev’essere la capitale di un grande Impero germanico o di una bipolare monarchia austro-ungarica. Qualunque cosa che non sia questo, costituirà un irreparabile danno per l’influenza cattolica nell’area danubiana” (86).
Note:
[81] “La Germania è umiliata e mutilata, ma sussiste. L’Impero austro-ungarico è squartato, e ne resta solo l’Austria germanica, che difficilmente sussiste da se stessa” (P. Corrêa de Oliveira, A conjuração dos Cesares e do Synhedrio, in “O Legionário”, n. 288 (20 marzo 1938)).
82] François Fejtö, Requiem per un impero defunto. La dissoluzione del mondo austro-ungarico, tr. it. Mondadori, Milano 1990, pp. 321, 318. “Il grande disegno offerto dall’élite politica e intellettuale ai soldati delle trincee era di estirpare dall’Europa le ultime vestigia del clericalismo e del monarchismo” (p. 320). Sul ruolo della massoneria, cfr. ivi, pp. 349-362.
[83] Cfr. F. Fejtö, Requiem per un Impero defunto, cit., pp. 316-323. Sulla prima guerra mondiale: Leo Valiani, La dissoluzione dell’Austria-Ungheria, Il Saggiatore, Milano 1985; Gian Enrico Rusconi, Il rischio 1914. Come si decide la guerra, Il Mulino, Bologna 1987; P. Renouvin, La prima guerra mondiale, Lucarini, Roma 1989. L’anno in cui “la guerra trova il suo assetto ideologico permanente”, secondo Furet, è il 1917 (François Furet, Il passato di un’illusione. L’idea comunista nel XX secolo, tr. it. Mondadori, Milano 1995, p. 69). La Rivoluzione di febbraio, che porta all’abdicazione dello zar Nicola II, e poi quella di ottobre, che vede l’avvento di Lenin, cancellano il secolare impero zarista e spianano la strada ad una nuova Russia che recide le radici con il suo passato. Nel mese di aprile il presidente Wilson trascina in guerra l’America proclamando la crociata democratica contro l’autocratismo. L’8 gennaio 1918, lo stesso Wilson pubblica i “quattordici punti” che prevedono tra l’altro la fondazione di una “Società delle Nazioni” che garantisca la pace mondiale.
[84] F. Furet, Il passato di un’illusione, cit, p. 70. Sulla fine dell’Impero asburgico, cfr. Zbynek A. B. Zeman, The Break-up of the Habsburg Empire 1914-1918, Oxford University Press, London-New York 1961; Edward Crankshaw, Il tramonto di un Impero, tr. it. Mursia, Milano 1969; Adam Wandruszka, Gli Asburgo, tr. it. Dall’Oglio, Milano 1974.
[85] P. Corrêa de Oliveira, Terceiro acto, in “O Legionário”, n. 421 (6 ottobre 1940).
[86] P. Corrêa de Oliveira, 7 dias em Revista, in “O Legionário”, n. 570 (11 luglio 1943). “In questo senso, è necessario avere soprattutto forza e prudenza. Forza per distruggere dentro e fuori della Germania tutto quanto dev’essere distrutto; prudenza, per non distruggere quello che non dev’essere distrutto, al fine di non esasperare ciò che deve continuare a vivere. Gli errori di Versailles non vanno ripetuti. Mai, mai più nel mondo germanico, dobbiamo porre come polo centrale la Prussia e Berlino. La vera soluzione sta nel trasferire questo polo a Vienna. In questo, più che in qualunque misura di altro genere, sta il segreto di buona parte del problema” (P. Corrêa de Oliveira, 7 dias em Revista, in “O Legionário”, n. 632 (17 settembre 1944)).