Due nozioni, concepite come valori metafisici, esprimono lo spirito della Rivoluzione: uguaglianza assoluta e libertà completa. Esse sono servite da due passioni: l’orgoglio e la sensualità. “In queste tristi profondità si trova il punto di incontro tra questi due principi metafisici della Rivoluzione, l’uguaglianza e la libertà, che da tanti punti di vista sono contraddittori” (72).
La pretesa di pensare, sentire e fare tutto ciò che le passioni sfrenate esigono, è l’essenza del liberalismo. In realtà, l’unica libertà che esso tutela è quella del male, contrapponendosi, in questo, alla civiltà cattolica, che invece dà al bene tutto l’appoggio e tutta la libertà, ma limita per quanto possibile, l’azione del male.
Plinio Corrêa de Olveira si sofferma quindi su questo ugualitarismo radicale, mostrandone le conseguenze nell’ambito religioso, politico e sociale. La negazione di ogni disuguaglianza conduce, sul piano metafisico, al rifiuto del principio di identità e di non contraddizione. Esso ha il suo esito nel panteismo “ugualitario”, poiché se il reale è privo di specifiche disuguaglianze e identità, cade anche la differenza tra gli uomini e Dio e tutto è confusamente divinizzato. In questo panteismo sta l’aspetto gnostico della Rivoluzione. Tratto fondamentale del pensiero di Plinio Corrêa de Oliveira fu, al contrario, l’amore del concreto, dell’individuato, del “distinto”. Egli fece suo il principio fondamentale del tomismo secondo cui l’oggetto proprio della intelligenza umana non è l’essere indefinito, ma la “quidditas rei sensibilis” (73), le specifiche essenze del reale. E’ attraverso l’esperienza diretta delle specifiche essenze che l’uomo può risalire alla conoscenza dell’universale e alla stessa formulazione dei primi principi.
L’essenza, spiega san Tommaso nel De ente et essentia, è l’oggetto della definizione della cosa (74), ciò che essa propriamente è. Tutto ciò che esiste ha un’essenza propria perché è distinto dalla realtà che lo circonda e non si confonde con essa. L’essenza dell’ente è dunque la sua specifica unità che lo distingue dalla moltiplicità del reale (75).
La prima proprietà della realtà che conosciamo sono le essenze e, con esse, non l’unità ma la disuguaglianza del reale. O, più precisamente, conosciamo l’uno attraverso il molteplice.
“San Tommaso – afferma Plinio Corrêa de Oliveira – insegna che la diversità delle creature e la loro disposizione gerarchica sono un bene in sé, poiché così risplendono meglio nella creazione le perfezioni del Creatore (76). E dice che tanto tra gli angeli (77) quanto tra gli uomini, nel paradiso terrestre come in questa terra d’esilio (78), la Provvidenza ha stabilito la disuguaglianza. Per questo un universo di creature uguali sarebbe un mondo in cui sarebbe cancellata, in tutta la misura possibile, la somiglianza tra le creature e il Creatore. Quindi odiare, per principio, ogni e qualsiasi disuguaglianza, equivale a porsi metafisicamente contro gli elementi per la migliore somiglianza tra il Creatore e la creazione, significa odiare Dio” (79).
Note:
[72] P. Corrêa de Oliveira, Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, cit., p. 102.
[73] L’ “actus essendi”, troppo luminoso per l’intelligenza creata, non può costituire il terreno proprio della speculazione filosofica dell’uomo, che ha come primo oggetto di conoscenza proprio le “essenze”. Il primato dell’ “actus essendi” sull’essenza è certamente un dato innegabile del tomismo. Ma quando l’affermazione di questo primato conduce ad una esagerata polemica contro il preteso “essenzialismo” della scolastica rischia di slittare verso un atteggiamento di marca esistenzialistica (cfr. C. Fabro c.p.s., Introduzione a San Tommaso, Ares, Milano 1983, pp. 100-103).
[74] S. Tommaso d’Aquino, De ente et essentia, cap. II.
[75] S. Tommaso d’Aquino, Summa Theologica, I, q. 11, a. 1.
[76] Cfr. S. Tommaso d’Aquino, Summa contra gentiles, II, 45; Summa theologica, I, q. 47, a. 2.
[77] Id., Summa theologica, I, q. 50, a. 4.
[78] Ivi, I, q. 96, a. 3 e 4.
[79] P. Corrêa de Oliveira, Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, cit., pp. 101-102.