Cap. IV, 11. La “philosophia perennis” di Plinio Corrêa de Oliveira

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Plinio Corrêa de Oliveira si definì, senza esitazioni, un tomista convinto, in ciò conformandosi al Magistero della Chiesa che nell’ultimo secolo, da Leone XIII (80) a Giovanni Paolo II (81), non ha cessato di additare nel Doctor Communis Ecclesiae il punto di riferimento degli studi filosofici per i cattolici. A differenza di molti neo-tomisti del secolo XX, preoccupati di gettare un ponte tra la philosophia perennis e il pensiero moderno (82), il pensatore brasiliano sottolineò sempre l’inconciliabilità tra la filosofia dell’essere e l’orientamento della filosofia “moderna”, da Cartesio (83) a Kant, dall’esistenzialismo al nichilismo contemporaneo, vedendo in essa l’itinerario progressivo dell’intelligenza umana verso il suicidio metafisico.
La Summa Theologica, che riassume, secondo Pio XII, “l’universo spirituale del più grande genio del Medioevo” (84), è per Pio XI, “il cielo veduto dalla terra” (85). Accanto a san Tommaso, la cui Summa conobbe e commentò diffusamente, Plinio Corrêa de Oliveira collocò san Bonaventura (86), la cui filosofia è stata ben definita “la più medievale delle filosofie del Medioevo” (87). Il pensatore brasiliano si propose di ricomporre la volta di quell’arco di pensiero che ebbe i suoi pilastri nei due grandi dottori della Chiesa, collocati da Sisto V sullo stesso piano di santità di dottrina e di autorità di magistero: “Hi enim sunt duae olivae et duo caldeara (Apoc. 11, 4)” (88).
La visione “sapienziale” di Plinio Corrêa de Oliveira si ricollega alle profonde e lapidarie sentenze sulla “Sapienza” di san Tommaso e di san Bonaventura. Se il Dottore Angelico afferma che “Sapientia est ordinare et iudicare” (89), il Dottore Serafico gli fa eco scrivendo che “Sapientia diffusa est in omni re”(90) .
“Omnia in mensura et numero et pondere disposuisti” (91), recita a sua volta la Sacra Scrittura. Il filosofo belga De Bruyne sottolinea l’eccezionale importanza di questo versetto su cui si fonda quella che definisce l’estetica “sapienziale” del medioevo (92). “Plinio Correa de Oliveira – ricorda un suo discepolo – visse istintivamente fin dagli albori della sua ‘visione primordiale’ questa estetica sapienziale. Poco a poco venne esplicitandola, fino a farne una delle pietre fondamentali della dottrina controrivoluzionaria, di quello che egli chiama molte volte ‘l’immagine totale della Contro-Rivoluzione’ ” (93).
Il dottor Plinio invitò i suoi discepoli ad approfondire la nozione di “analogia entis” e la teoria della partecipazione, così come il valore gnoseologico e metafisico del simbolo. La visione di Plinio Corrêa de Oliveira è, come quella medievale, “una grandiosa e nobile raffigurazione del mondo come di un grande sistema di simboli, una cattedrale di idee, la più ricca espressione ritmica e polifonica di tutto il pensabile” (94). Per l’uomo medievale nulla esiste senza significato: “nihil vacuum neque sine signo apud Deum” (95) e tutto ciò che esiste è fatto in modo da risvegliare il pensiero e il ricordo di Dio. “In ogni creatura c’è lo splendore dell’esemplare divino (…). Così, ogni essere è una via che conduce all’esemplare, è vestigio della sapienza di Dio” (96).
San Bonaventura ci propone un itinerario dell’anima a Dio “attraverso i segni” del mondo sensibile che, sotto caratteri sempre differenti e disuguali, ci rivolgono un unico appello divino. La verità delle cose consiste nel rappresentare la verità suprema, la causa esemplare. E’ questa somiglianza tra la creatura e il Creatore che ci permette di sollevarci dalle cose fino a Dio (97). “L’intelletto umano è stato creato per ascendere gradualmente – come i gradini di una scala – fino al sommo Principio che è Dio” (98).
Tra le classiche “prove” dell’esistenza di Dio, Plinio Corrêa de Oliveira apprezzò soprattutto la “quarta via” (99) intendendola però come un metodo di formazione e un processo psicologico che plasma l’anima umana, più che come un astratto sillogismo filosofico.
La “quarta via”, che conduce a Dio, essere perfettissimo, attraverso le perfezioni di cui partecipa, in misura e grado diverso, tutto il creato, è quella in cui maggiore è l’aspetto platonico. Essa mostra Dio non solo come causa efficiente e causa finale, ma anche come causa esemplare della creazione e contempla l’ordine del creato come universo di armonia e di bellezza, riflesso della increata Bellezza divina.
“La bellezza di Dio si riflette nell’insieme gerarchico e armonico di tutti gli esseri, in modo tale che, in un certo senso, non c’è modo migliore di conoscere l’infinita e increata bellezza di Dio che analizzando la bellezza finita e creata dell’universo, considerandolo non tanto in ciascun essere quanto nel suo insieme. Ma Dio si riflette anche in un capolavoro più alto e più perfetto del cosmo: è il Corpo Mistico di Cristo, la società soprannaturale che veneriamo con il nome di Santa Chiesa Cattolica, Apostolica, Romana. Essa stessa costituisce tutto un universo di aspetti armonici e variegati, che cantano e riflettono, ciascuno a suo modo, l’ineffabile e santa bellezza di Dio e del Verbo incarnato. Contemplando l’universo, da un lato, e la Santa Chiesa, dall’altro, possiamo elevarci alla meditazione della santa, infinita, increata bellezza di Dio” (100).
La filosofia moderna, a partire da Kant, ha ridotto la bellezza a un elemento puramente soggettivo. Il bello invece, secondo la philosophia perennis, è una proprietà trascendentale dell’essere, cioè una perfezione che conviene ad ogni cosa in quanto è, senza eccezioni. In quanto proprietà dell’essere, il pulchrum è collegato con gli attributi trascendentali del vero, perché piace ciò che viene conosciuto dall’intelletto, e del bene perché l’oggetto del bello soddisfa l’appetito sensibile. Il bello è lo splendore del vero e del bene (101), è anzi una sintesi di vero e di bene(102) . “Il bello è come una sintesi dei trascendentali. Propriamente, è l’eccellenza d’intellegibilità di un oggetto le cui parti, splendidamente armonizzate (unità), affascinano l’intelligenza (verità) e attirano la volontà (bene)” (103). Il bello, come afferma san Bonaventura, abbraccia tutte le cause ed è comune ad esse. La gloria di Dio, fine ultimo dell’uomo e della storia, è la contemplazione della sua Bellezza, ed è ciò che costituisce la felicità dell’uomo. Se infatti l’anima, conoscendo il vero, si muove verso il fine che è il Bene divino, lo fa con slancio ancora maggiore quando scorge Dio attraverso la bellezza delle cose create. Plinio Corrêa de Oliveira fu un ardente paladino del “bello” come arma della Contro-Rivoluzione del secolo XX.
Se è vero che il pulchrum è un altro nome del verum e del bonum, la sua sostituzione con l’horridum non è che un aspetto, più insidioso perché meno avvertito, di quel processo di distruzione di ogni qualità dell’Essere che caratterizza la Rivoluzione. In questo perverso amore per l’orrido si manifesta l’odio delle forze rivoluzionarie per la bellezza umana, immagine di quella divina. La Rivoluzione vuole distruggere ogni forma di pulchrum nella vita dell’uomo per rendere più difficile, se non impossibile, arrivare a Dio attraverso le creature.

 

Note:

[80] Leone XIII può essere considerato il promotore della rinascita del tomismo nei tempi moderni, con l’enciclica Aeterni Patris del 4 agosto 1879, nella quale dichiarò san Tommaso l’unico maestro ufficiale delle scuole cattoliche di ogni grado. Su questo importante documento, cfr. Aa. Vv., Le ragioni del tomismo. Dopo il centenario dell’enciclica “Aeterni Patris”, Edizioni Ares, Milano 1979.

[81] Giovanni Paolo II, Il Centenario dell’Aeterni Patris, Discorso tenuto all’ “Angelicum” il 18 novembre 1979, in “L’Osservatore Romano”, 19-20 novembre 1979.

[82] Cfr. ad esempio Antonin-Dalmace Sertillanges o.p., Saint Thomas d’Aquin, 4a. ed., Alcan, Paris 1925. Un caso estremo di deviazione dal tomismo, mediante l’assunzione dell’apriori di Kant e dell’esistenzialismo di Heidegger è quello del gesuita Karl Rahner (Geist im Welt, 1a. ed. Rauch, Innsbruck 1939) lucidamente denunciato dal padre stimmatino Cornelio Fabro in La svolta antropologica di Karl Rahner, Rusconi, Milano 1974. Del padre Fabro, “Catolicismo” pubblicò nel 1963 un articolo, tradotto dall’ “Osservatore Romano”, in cui l’autore sottolineava l’impossibilità di stabilire un ponte tra la vera filosofia cristiana, che non potrà mai rinnegare la nozione di trascendenza divina, e le scuole filosofiche moderne fondate sul “principio di immanenza” (C. Fabro c.p.s., Filosofia moderna e pensamento cristão, in “Catolicismo”, n. 151 (luglio 1963), p. 6).

[83] Sull’abbandono della metafisica nel pensiero moderno, cfr. C. Fabro c.p.s., Introduzione all’ateismo moderno, Studium, Roma 1969, 2 voll.; Tomas Tyn, o.p., Metafisica della sostanza. Partecipazione e analogia entis, Edizioni Studio Domenicano, Bologna 1991, pp. 243-384.

[84] Pio XII, Discorso del 25 settembre 1949, in DR, vol. XI, p. 217.

[85] Pio XI, Allocuzione all’Angelicum del 12 dicembre 1924, in Xenia Thomistica, Roma 1925, vol. III, p. 600.

[86] Su questo aspetto della filosofia di san Bonaventura, cfr. J. M. Bissen, o.f.m., L’exemplarisme divin selon Saint Bonaventure, Vrin, Paris 1929; Efrem Bettoni o.f.m., San Bonaventura di Bagnoregio, Biblioteca Francescana, Milano 1973; Francesco Corvino, Bonaventura da Bagnoregio francescano e pensatore, Dedalo, Bari 1980; Etienne Gilson, La filosofia di san Bonaventura, tr. it. Jaca Book, Milano 1995.

[87] Così Jacques Guy Bougerol o.f.m., a conclusione del Congresso bonaventuriano di Roma, il 26 settembre 1974, cit. in Leonardo Piazza, Mediazione simbolica in San Bonaventura, Edizioni L.I.E.F., Vicenza 1978, p. 65.

[88] Sisto V, Bolla Triumphantis Jerusalem.

[89] S. Tommaso d’Aquino, Summa Theologica, I, q. 1, a. 6, c.; q. 79, a. 10, ad 3.

[90] S. Bonaventura, Hexäemeron, coll. 2, n. 21 (V, 340 a).

[91] Sap. XI, 21.

[92] Edgar de Bruyne, L’esthétique du Moyen Age, Editions de l’Institut Supérieur de Philosophie, Louvain 1947, p. 11. Cfr. anche id., Etudes d’esthétique médiévale, De Tempel, Brugge 1946, 3 voll. “Sotto qualunque aspetto la si consideri, non esiste in realtà che una sola visione medievale del mondo, sebbene essa si esprima ora in opere d’arte, ora in concetti filosofici: quella che sant’Agostino aveva magistralmente schizzata nel suo De Trinitate, e che si riattacca direttamente alle parole della Sapienza (11, 21): omnia in mensura, et numero, et pondere disposuisti” (E. Gilson, Lo spirito della filosofia medievale, tr. it. Morcelliana, Brescia 1969, p. 126).

[93] Miguel Beccar Varela, Lettera all’autore.

[94] Johan Huizinga, Autunno del Medioevo, Rizzoli, Milano 1995, p. 283. “L’uomo medievale viveva effettivamente in un mondo popolato di significati, rimandi, sovrasensi, manifestazioni di Dio nelle cose, in una natura che parlava continaumente un linguaggio araldico (…) perché era segno di una verità superiore. (…) Nella visione simbolica, la natura, persino nei suoi aspetti più temibili, diviene l’alfabeto col quale il Creatore ci parla dell’ordine del mondo, dei beni soprannaturali, dei passi da compiere per orientarci nel mondo in modo ordinato ad acquistare i premi celesti. (…) Il Cristianesimo primitivo aveva educato alla traduzione simbolica dei principi di fede” (Umberto Eco, Arte e bellezza nell’estetica medievale, Bompiani, Milano 1978, pp. 68-69). Un affresco del cosmo simbolico medievale è dipinto da Marie-Madeleine Davy in Il simbolismo medievale, tr. it. Edizioni Mediterranee, Roma 1988.

[95] S. Ireneo, Adversus haereses, libri V, l. IV, c. 2.

[96] S. Bonaventura, Hexäemeron, coll. 12, nn. 14-15.

[97] Questa somiglianza, come osserva Etienne Gilson, non implica una partecipazione delle cose all’essenza di Dio. “La somiglianza reale che esiste tra il Creatore e le creature è una somiglianza di espressione. Le cose stanno a Dio come i segni al significato ch’essi esprimono; esse costituiscono quindi una specie di linguaggio, e l’universo intero non è che un libro nel quale si legge ovunque la Trinità” (E. Gilson, La filosofia nel Medioevo. Dalle origini patristiche alla fine del XIV secolo, tr. it. La Nuova Italia, Firenze 1973, p. 533).

[98] S. Bonaventura, Breviloquium, p. 2, c. 12 (V, 230 a).

[99] “Quarta via sumitur ex gradibus qui in rebus inveniuntur”. Di tutte le prove tomistiche, come osserva Gilson, la quarta è quella che ha suscitato il maggior numero di interpretazioni differenti (E. Gilson, Le thomisme, Vrin, Paris 1972, p. 82). Cfr. C. Fabro c.p.s., Sviluppo, significato e valore della IV via, in “Doctor Communis”, n. 7 (1954), pp. 71-109; id., Il fondamento metafisico della quarta via, in “Doctor Communis”, n. 18 (1965), pp. 49-70, ora entrambi in L’uomo e il rischio di Dio, Studium, Roma 1967, pp. 226-271.

[100] P. Corrêa de Oliveira, O Escapulário, a Profissão e a Consagração interior, relazione al 3° Congresso Nazionale dell’Ordine Terziario Carmelitano (San Paolo, 14-16 novembre 1958), in “Mensageiro do Carmelo”, edizione speciale del 1959.

[101] Cfr. Leo J. Elders, La metafisica dell’essere di san Tommaso d’Aquino in una prospettiva storica, tr. it. Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1995, vol. I, p. 167. Sul “pulchrum” in san Tommaso, cfr. Summa Theologica, I, q. 5, a. 4; I, q. 39, a. 8; I-IIae, q. 27, a. 1 ad 3.

[102] “Il bello nell’ordine creato è lo splendore di tutti i trascendenti riuniti, dell’essere, dell’uno, del vero e del bene; o, più particolarmente, è il fulgore d’un’armoniosa unità di proporzione nell’integrità delle parti (splendor, proportio, integritas, cfr. I, q. 39, a. 8)” (R. Garrigou-Lagrange o.p., Divine Perfezioni, tr. it. F. Ferrari, Roma 1923, p. 337).

[103] F. J. Thonnard a.a., Précis de Philosophie, Desclée, Tournai 1966, p. 1227.

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