Cap. IV, 9. La mèta anarchica della Rivoluzione

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“La fermentazione delle passioni sregolate, se da una parte suscita l’odio per qualsiasi freno e per qualsiasi legge, d’altro lato provoca l’odio contro qualunque disuguaglianza. Tale fermentazione conduce così alla concezione utopistica dell’ ‘anarchismo’ marxista, secondo la quale una umanità evoluta vivente in una società senza classi né governo, potrebbe godere dell’ordine perfetto e della più completa libertà senza che da questo derivi disuguaglianza alcuna. Come si può vedere, è l’ideale simultaneamente più liberale e più ugualitario che si possa immaginare (69).

L’utopia anarchica del marxismo consiste in uno stato di cose in cui la personalità umana avrebbe raggiunto un alto grado di progresso al punto che le sarebbe possibile svilupparsi liberamente in una società senza Stato né governo.

La Rivoluzione sta distruggendo nell’uomo contemporaneo la nozione di peccato, la distinzione stessa tra il bene e il male e, ipso facto, nega la Redenzione di Nostro Signore Gesù Cristo che, senza il peccato, diventa incomprensibile e perde qualsiasi relazione logica con la storia e la vita (70).
Riponendo tutta la sua fiducia nell’individuo, come avviene nella sua fase liberale, o nella collettività, come avviene nella sua fase socialista, la Rivoluzione idolatra l’uomo confidando nella sua possibilità di “autoredenzione” mediante una radicale trasformazione sociale.
La meta anarchica della Rivoluzione viene a confondersi con l’utopia di una Repubblica universale in cui tutte le legittime differenze tra i popoli, le famiglie, le classi sociali, sarebbero dissolte in un amalgama confuso e ribollente:
“Un mondo nel cui seno le patrie unificate in una Repubblica Universale siano soltanto espressioni geografiche; un mondo senza disuguaglianze né sociali né economiche, diretto mediante la scienza e la tecnica, la propaganda e la psicologia, alla realizzazione, senza il soprannaturale, della felicità definitiva dell’uomo: ecco l’utopia verso la quale la Rivoluzione ci sta avviando” (71).

 

Note:

[69] P. Corrêa de Oliveira, Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, cit., pp. 98-105. “In questa società – che, pur non avendo governo, vivrebbe in perfetto ordine – la produzione economica sarebbe bene organizzata e molto sviluppata e sarebbe superata la distinzione tra lavoro manuale e intellettuale. Un processo di selezione ancora non precisato porterebbe alla direzione dell’economia i più capaci, senza che da ciò derivi la formazione di classi. Questi sarebbero i soli e insignificanti residui di disuguaglianza, ma, poiché questa società comunista anarchica non è il termine finale della storia, sembra legittimo supporre che tali residui sarebbero aboliti in una ulteriore evoluzione” (ivi, pp. 104-105).

[70] P. Corrêa de Oliveira, Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, cit., p. 116.

[71] Ivi, p. 117. Le premesse “religiose” di questa utopia sono ben descritte da Thomas Molnar nel suo L’utopia, eresia perenne, tr. it. Borla, Torino 1968.

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