Fin dall’inizio degli anni Cinquanta, una tendenziosa campagna organizzata dai mass-media di ispirazione marxista cominciò a presentare il Brasile come la terra delle ingiustizie e degli squilibri sociali, dei grandi latifondi improduttivi e delle miserabili “favelas” al margine dei quartieri di lusso delle grandi città. La “Riforma agraria” veniva presentata come l’unico mezzo atto a soddisfare le elementari esigenze di giustizia calpestate dai proprietari. Questa impostazione del problema si basava su falsi presupposti dottrinali e su di una altrettanto falsa visione della situazione socio-economica brasiliana.
In realtà, il maggior latifondo improduttivo del Brasile e del mondo è quello composto dall’immensa area di terre appartenenti allo Stato. Circa il 50% del territorio brasiliano è costituito oggi da terre che appartengono ai pubblici poteri federali, statali e municipali del paese (36). Non si può quindi comprendere, se non alla luce di un’impostazione ideologica di tipo marxista, una “Riforma agraria” che, invece di distribuire le terre pubbliche, voglia confiscare quelle private che hanno fatto del Brasile, nonostante tutto, il secondo produttore di derrate alimentari del mondo dopo gli Stati Uniti.
La “Riforma agraria”, rivendicata dal Partito Comunista fin dagli anni Venti, attecchì soprattutto negli ambienti della sinistra cattolica, dell’intelligentzia universitaria e “mediatica” e in quelli dell’alta finanza (37). Dall’unione di queste forze nacque, nel 1960, su proposta del governatore democristiano dello Stato di San Paolo, Carvalho Pinto, un progetto di “revisione agraria” appoggiato anche dalla CNBB. La propaganda di sinistra presentava la situazione del mondo rurale come esplosiva, per lo scontento dei lavoratori agricoli, e reclamava l’esproprio dei cosiddetti latifondi improduttivi, per distribuire la terra ai braccianti. La mèta era quella di eliminare ogni forma di grande e media proprietà rurale, per ridurre le proprietà agricole a dimensioni minimali, riducendo di fatto il Paese alla fame.
Il 10 novembre 1960, un grande manifesto, pubblicato sulla prima pagina dei più importanti giornali del Brasile annunciava il lancio del volume di Plinio Corrêa de Oliveira: Riforma Agraria. Questione di Coscienza (38). La prima parte dell’opera era dovuta allo stesso dottor Plinio, che ne sottomise il testo a mons. Antonio de Castro Mayer e a mons. Geraldo de Proença Sigaud, rispettivamente vescovi di Campos e di Jacarezinho, perché ne facessero una revisione teologica e lo firmassero assieme a lui. All’economista Luiz Mendonça de Freitas si doveva la seconda parte del volume, di natura squisitamente tecnica, in cui si documentava come il Brasile producesse in abbondanza per mantenersi e per svilupparsi, senza che la sua economia fosse in alcun modo limitata dalla presenza di latifondi.
Il libro, per la chiarezza delle argomentazioni, la notorietà degli autori, ma anche per la capillarità della diffusione, divenne immediatamente un “caso nazionale”. La discussione dalle piazze rimbalzò sui giornali, alla radio, alla televisione e nelle aule del Parlamento. “Il libro produsse uno choc non solo in Brasile ma anche in tutta la stampa internazionale. Esso provocò anche dure reazioni nell’episcopato brasiliano” (39).
Mentre, nell’agosto del 1961, saliva al potere João Goulart (40), esponente politico di sinistra, che intendeva fare della “Riforma agraria” il suo cavallo di battaglia, Dom Helder Câmara, segretario generale della CNBB e vescovo ausiliare di Rio, annunziò che il progetto di riforma era “un documento ispirato ai principi della dottrina sociale della Chiesa” (41). L’opinione pubblica brasiliana non seguì però i propri vescovi su questa pericolosa strada che apriva le porte alla comunistizzazione del Paese. La reazione popolare non tardò a manifestarsi, culminando nel movimento militare che nel 1964 rovesciò il presidente della Repubblica Goulart (42). “Nella preparazione dottrinale del movimento” (43) ebbe “un ruolo decisivo” il “libro-bandiera contro la riforma agraria” (44) diffuso dalla TFP.
La caduta di Goulart che ebbe eco in tutto il mondo, impedì che in Brasile trionfasse una Rivoluzione di tipo marxista. Le ripercussioni dal campo politico si estesero presto a quello ecclesiastico. Nell’aprile 1964 mons. Helder Câmara lasciava la sua carica presso la CNBB, divenendo arcivescovo di Olinda e Recife, mentre mons. Carmelo Vasconcellos Motta veniva trasferito dall’arcidiocesi di San Paolo a quella di Aparecida. Nello stesso anno vennero rinnovati in senso moderato i vertici della CNBB. Mons. Helder Câmara fu sostituito come segretario da mons. José Gonçalves, vescovo ausiliare del cardinale di Rio mons. Jaime Câmara, mentre alla presidenza dell’organismo fu eletto l’arcivescovo di Ribeirão Preto, mons. Agnelo Rossi. Quest’ultimo sostituì come arcivescovo di San Paolo, mons. Vasconcellos Motta.
Il “golpe” che, sotto la presidenza del Maresciallo Castelo Branco, portò al potere i militari, è conosciuto in Brasile come la “Rivoluzione del ‘64” (45). Esso represse le organizzazioni comuniste, ma non seppe articolare un programma di positiva riconquista psicologica e culturale. Mentre negli ambienti moderati si diffondeva l’illusione di aver definitivamente allontanato il pericolo comunista, gli esponenti della sinistra andavano infiltrandosi negli ambienti dell’insegnamento universitario e secondario e nei mezzi di comunicazione sociale.
Il 30 novembre 1964 il Maresciallo Castelo Branco firmò uno Estatuto da Terra nello stesso stile e spirito della “Riforma agraria” di Goulart. L’applicazione del documento, dalla sua promulgazione al Primeiro Plano Nacional de Reforma Agraria (PNRA) varato dal governo Sarney nell’ottobre del 1985, fu però lenta e progressiva e nel corso di vent’anni trovò sempre in Plinio Corrêa de Oliveira un rigoroso e infaticabile oppositore.
Quando, nel febbraio del 1980, l’Assemblea generale della CNBB, riunita ad Itaicí, emanò un documento intitolato Igreja e problemas da terra (IPT) in favore della “Riforma agraria”, Plinio Corrêa de Oliveira rispose con il suo libro Sono cattolico: posso essere contro la Riforma Agraria?, mostrando il contrasto tra il Magistero della Chiesa e il documento della Conferenza Episcopale e denunciandone la chiara impostazione marxista (46). Un nuovo libro del pensatore brasiliano in difesa della proprietà privata e della libera iniziativa apparve nel 1985 (47), mentre si diffondeva nel Paese un movimento di violente agitazioni rurali, con l’invasione e l’occupazione di terre appartenenti a privati (48). L’impellenza della “Riforma agraria” veniva giustificata proprio con le occupazioni di terre (49), rare fino al 1985, ma sempre più numerose dopo l’apparizione del PNRA.
Lo scopo del nuovo libro era quello di dare ai proprietari agricoli consapevolezza dei loro diritti, spingerli a difendersi con prudenza ed energia per evitare, ancora una volta, l’imposizione della confiscatoria “Riforma agraria” (50). Il suo carattere socialista è rivelato innanzitutto dalla penalizzazione economica subita da chi viene espropriato: il Potere pubblico paga, spesso con grande ritardo e con denaro inflazionato, un prezzo di esproprio ben inferiore al valore della terra. Ma la “Riforma agraria” è socialista anche per il fatto che il lavoratore manuale a cui viene trasferita la terra si trasforma, in realtà, non in un piccolo proprietario, ma in un membro di una cooperativa agricola statale, che è la titolare del diritto di proprietà delle terre, divenendo quindi un dipendente dello Stato. In questo senso “la legislazione agraria vigente danneggia, a nostro avviso, tanto il proprietario quanto il bracciante. E tutto a vantaggio dello Stato. Questo è socialismo” (51).
La battaglia contro la “Riforma agraria” di Plinio Corrêa de Oliveira si inquadra in una costante difesa della proprietà privata e della libera iniziativa che fa del pensatore brasiliano il maggior apostolo, nel nostro secolo, della dottrina sociale della Chiesa su questo punto specifico.
Oggi si tende a dimenticare che la proprietà privata costituisce un punto fondamentale della dottrina cattolica (52): “La coscienza cristiana – conferma infatti Pio XII – non può riconoscere la giustizia di un ordinamento sociale che nega o che rende praticamente impossibile o vano il diritto naturale di proprietà così sui beni di consumo come sui beni di produzione” (53).
Plinio Corrêa de Oliveira sottolineò sempre l’importanza di questo punto dottrinale, il meno compreso dal mondo moderno, così impregnato di ugualitarismo e di egoismo (54). Fin dagli anni Trenta vedeva nell’attacco alla proprietà privata “una profonda perturbazione in tutto il corpo sociale” che apriva “le porte a tutti i germi del comunismo” (55).
Vale la pena sottolineare che Plinio Corrêa de Oliveira non fu, come qualcuno potrebbe credere, o lasciar credere, un “latifondista”. Pur discendendo egli da dinastie agricole, la sua famiglia aveva perduto, fin dagli anni Venti, ogni genere di ricchezza fondiaria. Questa assoluta mancanza di interessi personali da difendere testimonia la nobiltà del suo combattimento, proprio in un momento in cui molti tra i principali detentori delle ricchezze immobiliari e terriere del Paese appoggiavano in maniera decisiva i gruppi e i partiti di sinistra.
Note:
[36] Agli inizi degli anni ‘60, la percentuale di terre pubbliche era ben più elevata.
[37] Cfr. Gileno De Carli, História da Reforma Agraria, Gráfica Brasiliana, Brasília 1985.
[38] Cfr. Aa. Vv., Reforma Agraria. Questão de Consciência, Editora Vera Cruz, São Paulo 1960 ebbe numerose edizioni in Brasile, Argentina (1963), Spagna (1969), Colombia (1971), per un totale di circa quarantamila esemplari. Esso fu seguito da un positivo programma di politica agraria per opera degli stessi autori, la Dichiarazione di Morro Alto che ebbe due edizioni in portoghese.
[39] José Luis Gonzalez-Balado, Câmara, l’évêque rouge?, Editions Paulinas, Québec 1978, p. 53.
[40] Su João Goulart (1919-1976), cfr. la voce di Marieta de Morais Ferreira, César Benjamim, in DHBB, vol. II, pp. 1504-1521. Nel suo messaggio al Congresso nel marzo del 1962, Goulart reclamava riforme nel sistema bancario, nell’amministrazione pubblica, nelle imposte e “la grande aspirazione brasiliana, quella alla riforma agraria”, che egli descrive come “un’idea-forza irresistibile” (Messaggio al Congresso Nazionale, Rio de Janeiro 1962, pp. XI-XII). “La riforma agraria non può più essere rinviata (…) altre riforme sono anch’esse imperative” (“Folha de S. Paulo”, 2 maggio 1962). “Il suo assillo era la riforma agraria. Viveva con questo chiodo fisso nella testa. Era veramente la sua idea fissa” ricorda la vedova Maria Teresa Goulart (“Manchete”, 1 aprile 1978).
[41] Il 30 aprile fu pubblicato un documento dalla commissione centrale della CNBB (cfr. “La Documentation Catholique”, n. 1403 (luglio 1963), coll. 899-906).
[42] Il 19 marzo 1964, una grande “Marcia della Famiglia con Dio per la libertà”, riunì 500.000 persone in San Paolo. Undici giorni dopo intervenne l’esercito. Goulart fu costretto a lasciare il Brasile mentre un’altra manifestazione di folla, in Rio, il 2 aprile, riuniva un milione di persone in appoggio al nuovo regime.
[43] Thomas Niehaus e Brady Tyson, The Catholic Right in contemporary Brasil: the case of the Society for the Defense of Tradition, Family and Property, in Religion in Latin America. Life and Literature, a cura di Lyle Brown e William Cooper, Markharm Press Fund, Waco (Texas) 1980, p. 399. Anche secondo Georges-André Fiechter, la TFP “ha svolto un ruolo importante nella mobilitazione popolare contro Goulart nel 1964” (Le régime modernisateur du Brésil, 1964-1972. Etude sur les interactions politico-économiques dans un régime militaire contemporain, A. W. Sijthoff, Leiden 1972, p. 175). Cfr. anche Emanuel de Kadt, Catholic Radicals in Brazil, Oxford University Press, London 1970, p. 98.
[44] M. Moreira Alves, O Cristo do Povo, Ed. Sabía, Rio de Janeiro 1968, p. 271.
[45] Tra il 1964 e il 1984 si avvicendarono al potere in Brasile i generali Humberto Castelo Branco (1964-1967), Arthur da Costa e Silva (1967-1969), Emilio Garrastazu Medici (1969-1974), Ernesto Geisel (1974-1979), João Baptista Figuereido (1979-1984). La base ideologica del regime sorto nel 1964 fu la dottrina della “sicurezza nazionale” elaborata nella Escola Superior de Guerra, a tutti nota come “Sorbona”. La dottrina della “sicurezza nazionale” sviluppava un concetto di guerra globale da combattere su vari fronti (economico, politico, psicologico) per garantire il ruolo del Brasile come “potenza”. Cfr. T. E. Skidmore, The Politics of Military Rule in Brazil 1964-1985, Oxford University Press, New York 1988.
[46] P. Corrêa de Oliveira, Carlos Patricio del Campo, Sou católico: posso ser contra a Reforma Agrária?, Editora Vera Cruz, São Paulo 1981. Carlos Patricio del Campo, nato a Santiago del Cile nel 1940 e laureato in ingegneria agraria, si è poi specializzato a Berkeley; docente di Agronomia all’Università Cattolica del Cile, collabora dal 1972 con il settore finanziario e amministrativo della TFP brasiliana. Del suo libro, diffuso tra le élites intellettuali del Brasile e soprattutto tra i proprietari terrieri, vennero stampate quattro edizioni per un totale di 29.000 copie. In questo periodo, la TFP diffuse due numeri di “Catolicismo” (n. 402 del giugno 1984 e nn. 406-407 di ottobre-novembre 1984) dedicati a risvegliare dal suo letargo l’opinione pubblica brasiliana.
[47] P. Corrêa de Oliveira, C. P. del Campo, A propriedade privada e a livre iniciativa, no tufão agro-reformista, Editora Vera Cruz, São Paulo 1985. Nel 1986 uscì inoltre, con prefazione del prof. Plinio Corrêa de Oliveira, l’opera di C. P. del Campo, Is Brazil sliding toward the extreme Left? Notes on the Land Reform Program in South America’s largest and most populous country (The American Society for the Defense of Tradition, Family and Property, New York 1986), in cui l’autore documenta come alla base della “Riforma agraria” non esistano serie valutazioni economiche, ma solo una presa di posizione ideologica, viziata da spirito egualitario e socialista.
[48] P. Corrêa de Oliveira, Invasões, reforma agrária e temas conexos, in “Folha de S. Paulo”, 21 aprile 1986.
[49] Secondo statistiche dello stesso governo brasiliano e ricerche di istituti competenti, una buona parte, talvolta la maggioranza, degli invasori delle terre non era costituita da lavoratori agricoli indigenti, ma spesso da abitanti delle città e anche da piccoli proprietari terrieri.
[50] Nel 1988 la TFP pubblicò un manifesto, Ao término de décadas de luta cordial alerta da TFP ao Centrão (in “Folha de S. Paulo”, 28 aprile 1988), in cui traccia il bilancio di circa tre decenni di lotta contro la “Riforma agraria”, ricordando come fin dall’inizio essa avesse previsto che l’agro-riformismo avrebbe suscitato movimenti analoghi nel campo immobiliare e urbano, così come in quello delle imprese industriali e commerciali (Reforma agrária. Questão de consciência, cit., pp. 157-158).
[51] P. Corrêa de Oliveira, Reforma Agrária: oportuno pronunciamento do Presidente da TFP, in “Catolicismo”, n. 429 (settembre 1986).
[52] I Papi Leone XIII nella enciclica Rerum Novarum del 15 maggio 1891, Pio XI nell’enciclica Quadragesimo anno del 15 maggio 1931, Giovanni XXIII nell’enciclica Mater et Magistra del 15 maggio 1961, Giovanni Paolo II nell’enciclica Centesimus annus del 1° maggio 1991, insegnano autorevolmente come la proprietà costituisca un diritto naturale e inalienabile dell’uomo. S. Tommaso d’Aquino afferma che “è lecito”, anzi “è necessario alla vita umana possedere dei beni propri”, e che la proprietà privata è uno sviluppo del diritto naturale dovuto alla ragione umana (Summa Theologica, IIa-IIae, q. 66, a. 2, resp. e ad 2).
[53] Pio XII, Radiomessaggio del 1 settembre 1944, in DR, vol. VI, p. 275.
[54] P. Corrêa de Oliveira, Liberdade, trabalho ou propriedade, in “Folha de S. Paulo”, 2 ottobre 1968; Propriedade privada, in “Folha de S. Paulo”, 30 maggio 1971; Papas e propriedade privada, in “Folha de S. Paulo”, 6 giugno 1971. Il pensatore brasiliano non ignorò la “funzione sociale” della proprietà privata: “La libera iniziativa e la proprietà individuale sono insostituibili per incrementare la produzione: in questo consiste la loro funzione sociale. L’uomo s’impegna il più possibile nel lavoro, se sa di poter accumulare, a proprio profitto, il frutto della sua fatica, trasmettendolo poi ai figli. Se questo stimolo viene a mancare, se tutto il suo lavoro – detratto lo stipendio – ritorna alla collettività, egli viene ridotto a funzionario pubblico. Ne deriva la sottoproduzione, e quindi la fame, il male inevitabile dei regimi collettivistici” (id., Função social, in “O Jornal”, 30 settembre 1972).
[55] P. Corrêa de Oliveira, A causa do comunismo, in “O Jornal”, 5 febbraio 1936.