Nella sua appendice a Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, Plinio Corrêa de Oliveira denunciò nel 1977, la nascita di nuove correnti “tribaliste” all’interno della Chiesa cattolica.
Esse “mirano a trasformare la nobile e ossea rigidità della struttura ecclesiastica, come Nostro Signore Gesù Cristo l’ha istituita e venti secoli di vita religiosa l’hanno magnificamente modellata, in un tessuto cartilagineo, molle e amorfo, di diocesi e parrocchie senza territorio, di gruppi religiosi in cui la ferma autorità canonica viene gradatamente sostituita dall’ascendente dei profeti più o meno pentecostali, dello stesso tipo degli stregoni dello strutturalismo, con le cui figure finiranno per confondersi” (70).
Nello stesso anno, in un libro dal titolo Tribalismo indigeno, ideale comunistico-missionario per il Brasile nel secolo XXI (71), il pensatore brasiliano analizzava 36 documenti pubblicati dalla nuova missiologia progressista, denunciandone l’infiltrazione nella struttura della Chiesa.
Capovolgendo la concezione cattolica tradizionale – secondo cui il fine delle missioni cristiane è quello di portare, con la fede, la civiltà – la nuova corrente missiologica vedeva nel tribalismo la possibilità di realizzare in terra un utopico “regno di Dio”. Questo processo di “tribalizzazione” appare come l’esito naturale dello smantellamento della Civiltà cristiana auspicato dalla teologia progressista. Se infatti, come afferma San Pio X, non vi è vera civiltà possibile al di fuori del Cristianesimo, la negazione della missione civilizzatrice della Chiesa comporta inevitabilmente il regresso alla convivenza tribale dei selvaggi.
“E’ bene ripeterlo: il maggior problema sollevato da questi delirii – scriveva il dottor Plinio – non sta nei missionari stessi né negli indios. Sta nel capire come mai, in seno alla Santa Chiesa Cattolica, possa insinuarsi impunemente questa filosofia, avvelenando seminari, deformando missionari, snaturando missioni. E tutto questo, con un così forte appoggio ecclesiastico di retroguardia” (72).
Due anni dopo, quando il “sandinismo” prese il potere in Nicaragua, sembrò suonare l’ora della vittoria della “teologia della liberazione”. “I liberazionisti – ricorda il cardinale López Trujillo – trasformarono il Nicaragua in un centro di sperimentazione politica che hanno appoggiato con impegno ed entusiasmo. (…) Il sandinismo trionfante diventò la punta di lancia della ‘Chiesa popolare’…” (73). In Brasile la teologia della liberazione aveva i suoi leader mediatici nei padri Leonardo e Clodoveo Boff, rispettivamente francescano e servita, protetti dal cardinale di San Paolo Paulo Evaristo Arns.
Alla fine di febbraio del 1980 si svolse, in un sobborgo di San Paolo, un Congresso internazionale di Teologia organizzato dalla “Associazione Ecumenica di Teologi del Terzo Mondo”, che riuniva i teologi della liberazione di 42 Paesi, tra i quali vescovi, sacerdoti, religiosi e laici “impegnati”. Presidente onorario del Congresso, dedicato a L’ecclesiologia delle Comunità di Base, fu nominato il cardinale Arns.
La sessione di chiusura dell’incontro celebrò un’aperta apologia della rivoluzione sandinista in Nicaragua, ormai divenuto il “luogo teologico” (74) della “teologia della liberazione”. Quest’omaggio al sandinismo si svolse nel teatro dell’Università cattolica di San Paolo con la partecipazione del “Comandante” Daniel Ortega, allora presidente marxista del Nicaragua, del padre Miguel d’Escoto, del “cappellano” della Rivoluzione padre Uriel Molina e di Frei Betto, il domenicano noto per la condanna subita per terrorismo.
L’atmosfera si fece quasi surreale quando mons. Pedro Casaldáliga, indossando un’uniforme di guerrigliero sandinista regalatagli dalla delegazione nicaraguense, affermò: “Vestito da guerrigliero mi sento come se avessi indossato gli abiti sacerdotali”. Aggiunse quindi solennemente tra gli applausi, che avrebbe cercato di onorare questo “sacramento di liberazione” con “i fatti e, se ce ne fosse bisogno, con il sangue”.
La TFP diffuse un numero speciale di “Catolicismo”, contenente un servizio speciale sulla “notte sandinista” e un’ulteriore denuncia dell’infiltrazione comunista negli ambienti cattolici. Si trattava di una relazione completa e illustrata di quanto era accaduto, con la trascrizione integrale dei discorsi pronunciati, seguiti da un’analisi introduttiva e da lucidi commenti di Plinio Corrêa de Oliveira (75).
Note:
[70] P. Corrêa de Oliveira, Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, cit., pp. 193-194.
[71] Cfr. P. Corrêa de Oliveira, Tribalismo indígena, ideal comuno-missionário para o Brasil no século XXI, Editora Vera Cruz, São Paulo 1977. Nuove carovane della TFP, che percorsero 2.963 città, diffusero 76.000 copie del libro stampato in sette edizioni successive. Sulla missiologia “aggiornata” cfr. anche il saggio del padre M. Poradowski su El marxismo en la teología de misiones nel suo libro El marxismo en la teología (cit.) e dello stesso autore, Tribalismo y pastoral misionera, in “Verbo”, nn. 185-186 (maggio-giugno 1980), pp. 567-578.
[72] P. Corrêa de Oliveira, Tribalismo indígena, cit., p. 48.
[73] A. Lopez Trujillo, La Teología de la Liberación: datos para su historia, in “Sillar”, n. 117 (gennaio-marzo 1985), p. 33.
[74] Javier Urcelay Alonso, Sandinismo en Nicaragua: ¿uma revolución liberadora?, in “Verbo”, nn. 256-260 (ottobre-dicembre 1987), pp. 1171-1192. Cfr. anche Nicaragua. Les contradictions du sandinisme, a cura di P. Vayssière, Presses du CNRS, Paris 1988.
[75] Cfr. “Catolicismo”, n. 355 (luglio-agosto 1980).