Cap. VI, 4. Il Concilio avrebbe condannato il comunismo?

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Se a Roma e in Europa pochi avevano la percezione della crisi che si approssimava, in Brasile Plinio Corrêa de Oliveira, commentando l’annuncio del Concilio, esprimeva, nel gennaio del 1962 su “Catolicismo” la speranza che esso avesse fatto cessare lo spaventoso disorientamento che si allargava tra i cattolici. “Questo disorientamento va assumendo in Brasile e nel mondo dimensioni veramente apocalittiche e, a mio modo di vedere, costituisce una delle maggiori calamità del nostro tempo” (16). Al centro dell’attenzione del pensatore brasiliano, in questo importante articolo, era il problema dei rapporti tra cattolicesimo e comunismo.
“Per il suo carattere visceralmente ateo e materialista, il comunismo non può smettere di mirare alla completa distruzione della Chiesa Cattolica, naturale guardiana dell’ordine morale, che è inconcepibile senza la famiglia e la proprietà” (17). Coerentemente con le sue premesse, il comunismo non può limitarsi ai confini di uno Stato o di un gruppo di Stati. “Molto più che un partito politico, esso è una setta filosofica che contiene in sé una visione cosmica” (18). La sua dottrina implica una concezione del mondo antitetica a quella cattolica. Ogni tentativo di “coesistenza”, per il pensatore brasiliano, è dunque destinato al fallimento.
“All’interno di ogni Paese, come pure a livello internazionale, il comunismo è in uno stato di lotta inevitabile, costante, multiforme, contro la Chiesa e contro quegli Stati che si rifiutano di lasciarsi inghiottire dalla setta marxista. Questa lotta è tanto implacabile quanto quella tra la Madonna e il Serpente. Per la Chiesa, che è indistruttibile, tale lotta cesserà solo con lo schiacciamento finale della setta comunista non solo in Occidente, ma su tutta la faccia della terra, compresi i più oscuri antri di Mosca, Pechino e dintorni. (…) Ciò posto, non si può quindi ammettere che la coesistenza fra i Paesi cristiani e quelli comunisti possa godere della stabilità, correttezza, e coerenza inerenti al Diritto Internazionale che deve reggere le nazioni cristiane. Questo Diritto, infatti, presuppone l’onestà nei rapporti tra i popoli. Ora, l’onestà presuppone l’accettazione di una morale. Ma è inerente alla dottrina comunista che la morale non sia che un mero e vacuo principio borghese” (19).
D’altra parte, la missione docente della Chiesa consiste non solo nell’insegnare la verità, ma anche nel definire e condannare l’errore. L’analisi e la condanna della dottrina e della prassi del comunismo avrebbe dovuto costituire, secondo Plinio Corrêa de Oliveira, uno dei punti centrali del Concilio Vaticano II che si apriva. Questa convinzione era peraltro condivisa da centinaia di Padri conciliari in tutto il mondo. Nella fase antepreparatoria del Concilio, ben 378 vescovi avevano chiesto che esso trattasse dell’ateismo moderno e, in particolare, del comunismo, indicando i rimedi per fronteggiare il pericolo (20). L’arcivescovo vietnamita di Hué, ad esempio, definiva il comunismo come “il problema dei problemi”, la massima questione del momento: “discutere di altri problemi… è seguire l’esempio dei teologi di Costantinopoli che discutevano aspramente del sesso degli angeli mentre gli eserciti maomettani minacciavano le mura stesse della città” (21).
Tra i vescovi interpellati dalla Santa Sede per ricevere consigli e suggerimenti, furono anche i brasiliani mons. de Castro Mayer e mons. de Proença Sigaud. A quest’ultimo si deve una risposta in cui, per l’ampiezza delle prospettive e la concatenazione logica, non è difficile vedere l’influsso del dott. Plinio, con il quale il sodalizio era ormai antico.
“Noto che i princìpi, la dottrina e lo spirito della cosiddetta Rivoluzione penetrano nel clero e nel popolo cristiano, come un tempo i princìpi, la dottrina, lo spirito e l’amore per il paganesimo penetrarono nella società medioevale, provocando la pseudo-Riforma. Molti, fra il clero, non percepiscono più gli errori della Rivoluzione né vi resistono. Altri esponenti del clero amano la Rivoluzione come buona causa, la propagano, vi collaborano, ne perseguitano gli avversari impedendo e calunniando il loro apostolato. La maggior parte dei Pastori tacciono; altri sono imbevuti degli errori e dello spirito della Rivoluzione, e la favoriscono apertamente o occultamente, come accadde al tempo del Giansenismo. Coloro che denunciano e confutano questi errori, vengono perseguitati dai colleghi, che li bollano come ‘integristi’. Dai Seminarii della stessa Città Eterna, i seminaristi tornano con la testa piena delle ideologie rivoluzionarie. Essi si definiscono ‘maritainiani’, o ‘seguaci di Teilhard de Chardin’, o ‘socialisti cristiani’, o ‘evoluzionisti’. Ben raramente i sacerdoti che combattono la Rivoluzione vengono elevati alla dignità episcopale; frequentemente vi salgono coloro che la favoriscono” (22).
“Il comunismo ha creato la scienza della Rivoluzione. Le sue armi principali sono le passioni umane sregolate, metodicamente fomentate. La Rivoluzione usa due vizi come forze distruttive della società cristiana e costruttive della società atea: la sensualità e l’orgoglio. Queste passioni disordinate e violente vengono scientificamente dirette a un fine preciso, sottomettendole alla ferrea disciplina dei capi, per distruggere dalle fondamenta la Città di Dio e costruire la Città dell’Uomo. Si accetta perfino la tirannia totalitaria, e si tollera anche la miseria, pur di costruire l’ordine dell’Anti-Cristo” (23).
Il riferimento alle passioni sregolate lascia trasparire chiaramente la tesi di fondo di Rivoluzione e Contro-Rivoluzione. Di fronte al processo rivoluzionario, che nel comunismo aveva la sua ultima espressione, il vescovo brasiliano non esitava ad affermare: “La Chiesa dovrebbe organizzare, a livello mondiale, una sistematica lotta contro la Rivoluzione” (24).

 

Note:

[16] P. Corrêa de Oliveira, Na perspectiva do proximo Concilio, in “Catolicismo”, n. 133 (gennaio 1962).

[17] Ivi.

[18] Ivi.

[19] Ivi.

[20] Mons. Vincenzo Carbone, Schemi e discussioni sull’ateismo e sul marxismo nel Concilio Vaticano II. Documentazione, in “Rivista di Storia della Chiesa in Italia”, vol. XLIV (1990), pp. 11-12 (pp. 10-68).

[21] Acta et Documenta Concilio Oecumenico Vaticano II apparando, Series II, vol. II, pars III, Tipografia Poliglotta Vaticana, Roma 1968, pp. 774-776.

[22] Acta et Documenta Concilio Oecumenico Vaticano II apparando, Series I, vol. II, pars VII, Tipografia Poliglotta Vaticana, Roma 1961, pp. 181-182.

[23] Ivi, pp. 184-185.

[24] Ivi, p. 182. “A mio modesto avviso, – scriveva ancora mons. Sigaud – la Chiesa dovrebbe organizzare, a livello mondiale, una sistematica lotta contro la Rivoluzione. Ignoro se questo già avvenga. La stessa Rivoluzione procede appunto in questo modo. Un esempio di quest’organizzato e sistematico lavorìo è il sorgere mondiale, simultaneo ed uniforme delle ‘democrazie cristiane’ in molte nazioni sùbito dopo l’immane guerra. Questo fermento penetra in tutti i terreni. Si tengono congressi, viene creata un’internazionale, e dappertutto si leva lo slogan: ‘facciamo noi stessi la Rivoluzione, prima degli altri!’ E’ la Rivoluzione fatta col consenso dei cattolici. Secondo la mia umile opinione, se il Concilio vuole produrre salutari frutti, innanzitutto deve meditare la condizione della Chiesa di oggi, la quale, a somiglianza di Cristo, vive il suo Venerdì Santo, consegnata indifesa ai suoi nemici, come diceva Pio XII nel suo discorso ai giovani italiani. Bisogna considerare la guerra mortale che viene fatta alla Chiesa in ogni campo; bisogna individuare il nemico, discernerne la strategia e la tattica di battaglia, meditarne la logica, la psicologia e la dinamica, allo scopo di individuare con certezza le singole lotte di questa guerra, organizzare la controffensiva e guidarla con sicurezza” (ivi).

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