14
– Entro la Diocesi, l’unico interprete autentico degli atti della S. Sede è il Vescovo Diocesano. Sicché il fedele e il semplice Sacerdote non possono mai allontanarsi da questa interpretazione. |
* L’interpretazione degli atti pontifici appartiene solo alla S. Sede. Nessun’altra interpretazione, per quanto rispettabile e dotta può imporsi come ufficiale ed unica. |
Spiegazione
Vedi sotto: “Direttive” n. 8.
15
– L’unione del fedele col Papa si fa nella persona del Vescovo. Chi segue interamente le opinioni del suo Ordinario può essere certo di conformarsi assolutamente col pensiero della Santa Sede. |
* Il Vescovo detiene il magistero ordinario, sicché i fedeli devono accogliere il suo insegnamento come l’espressione fedele del pensiero della Chiesa. Questo magistero ufficiale, tuttavia, per disposizione di Gesù Cristo, quando è esercitato isolatamente, non è infallibile. In conseguenza, il fedele non può prestare lo stesso grado di sottomissione al magistero del Vescovo e a quello del Papa, quantunque debba, nella giusta misura, rispetto e obbedienza all’uno e all’altro. |
Spiegazione
Vedi sotto: “Direttive” n. 7.
16
– L’iscrizione del fedele nelle organizzazioni dell’Azione Cattolica gli conferisce una partecipazione al mandato apostolico e alle funzioni gerarchiche che lo rende capace di apostolato specificamente sacerdotale. |
* La Chiesa è per istituzione divina una società disuguale, nella quale si distingue una parte docente e un’altra discente, Gerarchia e sudditi. I membri delle organizzazioni dell’Azione Cattolica appartengono interamente alla categoria dei sudditi, alla Chiesa discente. Non posseggono, perciò, alcuna particella di funzione docente né di potere gerarchico. I loro atti sono specificamente quelli di ogni altro fedele. |
Spiegazione
Il mandato conferito da· Nostro Signore Gesù Cristo agli Apostoli e ai loro successori, ha come oggetto ciò che ha relazione con la salvezza delle anime. Di questo mandato, che comprende il potere di governare, insegnare e santificare, partecipano, nel senso vero e proprio della parola, i membri dei vari gradi della Gerarchia. Il laicato non è suscettibile, in quanto tale, di ricevere nessuna particella del potere gerarchico. Così esso partecipa dell’azione della Gerarchia, collabora con essa, ma, evidentemente, non partecipa dei suoi poteri. Anche quando un padre insegna il catechismo ai propri figli o un catechista autorizzato diffonde l’istruzione religiosa, non ha propriamente, in nessun senso, una partecipazione al potere d’insegnare, proprio della chiesa. Il padre e il catechista sono collaboratori della Gerarchia, continuando ad appartenere del tutto alla Chiesa discente. Tutti i documenti della S. Sede intorno all’Azione Cattolica considerano la questione, com’è naturale, sotto questa luce, poiché è questo il modo che si accorda con la istituzione divina della Chiesa.
Ciò risponde a quel che disse Pio XI nel suo discorso ai giornalisti cattolici il 26 luglio 1929: “I giornalisti cattolici sono pertanto preziosi portavoce della Chiesa, della sua Gerarchia, del suo insegnamento: per conseguenza, i portavoce più nobili, più elevati, di quanto dice e fa la Santa Madre Chiesa. Assolvendo a questa funzione, la Stampa Cattolica, non passa per questo ad appartenere alla Chiesa docente; essa resta nella chiesa discente; né cessa perciò di essere, in tutte le sue direzioni, la messaggera della disciplina della Chiesa docente, di questa Chiesa incaricata di insegnare alle nazioni del mondo…”.
Cade qui opportuna un’osservazione la cui importanza non sarà mai rilevata abbastanza. Se da una parte i documenti pontifici denunciano e censurano diversi errori sorti intorno all’Azione Cattolica, dall’altra manifestano il maggiore impegno nel conservare e promuovere questa Organizzazione. Non v’ha contraddizione tra l’uno e l’altro atteggiamento. Se la S. Sede corregge delle esagerazioni pericolose intorno all’Azione Cattolica, lo fa precisamente perché desidera in essa un funzionamento retto ed efficace. In tale posizione d’equilibrio hanno il dovere di mantenersi egualmente quanti si dedicano a questa attività.
17
– L’Azione Cattolica e il Clero diocesano sono organizzazioni istituite dalla Chiesa e, come tali, esercitano un apostolato ufficiale; le Congregazioni religiose. e tutte le altre associazioni sono istituzioni particolari approvate dalla Chiesa ed esercitano un apostolato ufficioso. |
* Nella Chiesa si distingue lo stato sacerdotale come specificamente superiore allo stato dei laici. A sua volta lo stato religioso è anche superiore allo stato dei secolari. Così, l’apostolato sacerdotale ha la preminenza sovra tutti gli altri. E l’apostolato dei Religiosi ha la preminenza sopra quello dei laici. |
Spiegazione
La sentenza impugnata colloca l’apostolato dei laici dell’Azione Cattolica su un piano ufficiale e l’apostolato dei Religiosi su un piano semplicemente ufficioso, e pertanto, inferiore; il che è contrario all’ordine dei valori.
18
– In conseguenza della partecipazione all’apostolato gerarchico che gli conferisce, l’iscrizione del fedele all’Azione Cattolica gli dà una grazia che rende il suo apostolato, soltanto per questo più, più efficace… di quello che viene esercitato dai membri delle altre assoc1az1orn. |
* La partecipazione all’apostolato gerarchico, che il S. Padre Pio XI ha inserito nella definizione dell’Azione Cattolica, non include per i laici uno stato speciale nella Chiesa, distinto da quello in cui resterebbero gli altri fedeli non iscritti nelle associazioni fonda mentali dell’Azione Cattolica. Così la iscrizione d’una persona nell’Azione Cattolica non conferisce una grazia specificamente diversa da quella che godono i laici iscritti in tutte le altre associazioni di apostolato. |
Spiegazione
La sentenza impugnata presuppone uno stato intermedio tra la Chiesa docente e la Chiesa discente. Allora si giustificherebbe una grazia di stato propria, più efficace in sé stessa che quella dei semplici membri della Chiesa discente.
19
– Le organizzazioni fondamentali dell’Azione Cattolica sono approvate e incoraggiate dalla S. Sede. Tutte le altre associazioni – Apostolato della preghiera, Figlie di Maria, Congregazioni Mariane ecc. … – sono solo tollerate. Secondo la mente della S. Sede devono scomparire a poco a poco. |
* Le Congregazioni Mariane e le altre associazioni che, come quelle, hanno forma e fini di apostolato, sono Azione Cattolica di pieno diritto. Tutte le altre associazioni sono ausiliarie provvidenziali dell’Azione Cattolica e perciò devono essere promosse per i grandi servizi che son chiamate a rendere alla Chiesa. |
Spiegazione
Il Santo Padre Pio XII ha insegnato abbondantemente e, più solennemente, ha impegnato la sua parola di Pastore Supremo nella Costituzione Apostolica “Bis saeculari die” del 27 settembre 1948 (A. A. S. vol. 40 pag. 393 ss.), che l’Azione Cattolica non può essere organizzata nella maniera standardizzata e totalitaria degli Stati moderni. Perciò sullo stesso piano delle organizzazioni fondamentali dell’Azione Cattolica Egli colloca le Congregazioni Mariane e altre associazioni con fini e forma di apostolato, multiformi nel loro spirito, costituzione e attività. E per lo stesso motivo il Pontefice si compiace dell’abbondanza lussureggiante di tutte le altre associazioni religiose.
20
– Tale è la natura giuridica dell’Azione Cattolica, che la cerimonia di ammissione dei suoi membri può essere presieduta solo dal Vescovo o da un suo delegato. |
* Essendo l’Azione Cattolica un’organizzazione inserita interamente nelle file della Chiesa discente, i suoi membri devono essere ricevuti, ordinariamente dal Parroco o dall’Assistente dell’Associazione. |
Spiegazione
La sentenza impugnata sarebbe vera se l’Azione Cattolica costituisse un grado intermedio tra la Chiesa docente e la Chiesa discente.
21
– Tale è la natura giuridica dell’Azione Cattolica, che l’Assistente Ecclesiastico non esercita su di essa nessuna autorità, se non nel senso negativo, in quanto può vietare le deliberazioni nel caso in cui contengano alcunché di contrario alla Fede ed ai costumi. Tutta la autorità appartiene agli stessi laici, che hanno nel sacerdote soltanto un formatore di coscienze. |
* L’Azione Cattolica, essendo parte della Chiesa discente, sta interamente soggetta all’autorità del Vescovo, il cui rappresentante ufficiale è l’Assistente Ecclesiastico. L’autorità di quest’ultimo si esercita non solo nel senso che può proibire tutto quanto sia contrario alla Fede ed ai costumi, ma anche nel senso di governare tutta l’attività sociale. Nell’Azione Cattolica come nelle altre associazioni l’Assistente Ecclesiastico eserciterà tali funzioni con carità e con quella considerazione che i laici meritano, e terrà in conto la loro valida esperienza. |
Spiegazione
Se il sacerdote avesse sull’Azione Cattolica un mero potere di veto, essa sfuggirebbe particolarmente all’autorità del proprio Vescovo. D’altro lato, la sentenza impugnata si giustificherebbe soltanto nell’ipotesi che l’Azione Cattolica costituisse qualcosa di specificamente superiore alla Chiesa discente, in condizione parallela a quella in cui si trovano i se1nplici sacerdoti.
22
– Essendo caratteristico dell’Azione Cattolica l’apostolato d’ambiente, cioè a dire, nelle università, nelle fabbriche, nei quartieri ecc. … e non appartenendo il sacerdote a tali ambienti, questi è incapace di dirigere l’apostolato specifico dell’Azione Cattolica. |
* L’apostolato dell’ambiente è dovere di ogni fedele. Per dirigere l’apostolato dei fedeli è stata istituita da Gesù Cristo la Sacra Gerarchia. I membri di questa hanno – per grazia di stato, per i loro statuti speciali, per il fatto di stare al di sopra delle peculiarità dei vari ambienti allo scopo di formarsi una visione generale – tutti i mezzi necessari per l’esercizio della propria missione. Il sacerdote prudente, nella sua funzione direttiva, saprà giovarsi del valido concorso dell’esperienza che i laici posseggono dei loro rispettivi ambienti. |
Spiegazione
La funzione direttiva si pone necessariamente su un piano generale e superiore. Riguardo alla direzione ecclesiastica, i laici possono prestare il concorso di esperti specializzati per quelle peculiarità dei rispettivi ambienti in cui vivono. Consiglieri devoti, disinteressati, valenti, ma sempre consiglieri, essi saranno disposti a seguire docilmente gli ordini del Sacerdote e la direzione che gli imprimerà alle attività sociali.
Che il sacerdote sia incapace di conoscere i mezzi con cui si esercita l’apostolato dei laici, è stato negato direttamente dal S. Padre, nella sua allocuzione a chiusura del Congresso Mondiale dell’Apostolato Laico (A. A. S. vol. 43 pag. 789 e 790) del 14 ottobre 1951, con le seguenti parole: “L’appello all’aiuto dei laici non è dovuto all’indebolimento e allo scacco del clero nel suo compito presente” ; e in modo positivo: “il sacerdote ha occhi altrettanto buoni che quelli dei laici per cogliere i segni del tempo e non ha l’orecchio meno sensibile all’auscultazione del cuore umano”. E perché non vi fosse dubbio, il Papa disse la ragione: “Il laico è chiamato all’apostolato quale collaboratore del sacerdote, … a causa della penuria del clero troppo poco numeroso” (Cfr. Atti e Discorsi di Pio XII, val. XIII, ed. cit.).
L’apostolato laico d’ambiente non può essere caratteristico dell’Azione Cattolica, poiché è dovere d’ogni fedele il fare apostolato nell’ambiente in cui vive. Lungo i venti secoli della sua esistenza la Sacra Gerarchia ha saputo dirigere con competenza siffatto apostolato. Non si comprende come l’Azione Cattolica possa venire a portare una innovazione in questo settore.
D’altra parte è bene non considerare tale compito sotto un aspetto meramente naturale. Il Sommo Pontefice ha già dichiarato che l’apostolato dell’Azione Cattolica è strumentale, che i laici devono essere subordinati all’autorità del Sacerdote, il quale normalmente rappresenta il Vescovo. La strumentalità del laico nell’apostolato è stata sempre intesa, com’è ovvio, in maniera adeguata a persone umane e non ad esseri inanimati. Dice il Santo Padre: “I superiori ecclesiastici usino di lui (dell’apostolo laico) nel modo che il Creatore e Signore usa le creature ragionevoli, come strumenti, come cause seconde “con dolcezza piena di riguardo” (Sap. XII, 18) (Discorso al Congresso Mondiale dell’Apostolato Laico del 1951). È questo il piano della Provvidenza che di pensa la sua grazia solo quando si agisca secondo la costituzione divina della Chiesa.
23
– Nell’Azione Cattolica la formazione interiore è data dal proprio apostolato, senza bisogno degli altri mezzi adoperati tradizionalmente. |
* L’apostolato dell’Azione Cattolica suppone l’uso diligente di tutti i mezzi di formazione interiore, come condizione per la perseveranza e la santificazione dei propri membri, e per la fecondità delle proprie attività. |
Spiegazione
La sentenza impugnata sembra derivare dall’idea che l’Azione Cattolica sia qualcosa di nuovo nella Chiesa e che dia origine a un proprio sistema di spiritualità. Neppure i Sacerdoti sono dispensati dall’usare i mezzi tradizionali di formazione. Non si comprende come da essi possano prescindere i membri dell’Azione Cattolica se non presupponendosi in essa una spiritualità opposta a quella che la Chiesa ha sempre insegnato.
24
– Nel reclutamento dei militanti e dirigenti dell’Azione Cattolica, al contrario di ciò che accade in tutte le altre associazioni, è bene prendere in maggior considerazione le attitudini naturali e la formazione tecnica per l’apostolato di conquista, che non la pietà e la formazione soprannaturale. Non conviene, perciò, reclutare i capi e i membri dell’Azione Cattolica tra i membri delle associazioni religiose, ma preferibilmente tra quelli che vivono al di fuori di esse. |
* Nell’apostolato, per misterioso disegno della Provvidenza, concorrono le qualità naturali e la grazia divina. Essendo questa l’elemento indispensabile e preponderante, nella scuola degli apostoli è da prendersi in considerazione, anzitutto, la loro formazione spirituale, senza la quale l’esercizio delle proprie doti naturali costituisce per loro un pericolo per la salvezza e, per l’apostolato, un pericolo che si riduca a mera apparenza. Nelle file delle associazioni religiose possono, quindi, trovarsi dei cattolici molto adatti a qualsiasi forma di apostolato. |
Spiegazione
Questa sentenza impugnata deriva anch’essa dall’idea che l’Azione Cattolica costituisca, entro la Chiesa, qualcosa di interamente nuovo e discrepante dalle sue genuine tradizioni.
25
– Il miglior mezzo di formazione consiste nei circoli di studi, nei quali la verità sorge spontaneamente dalle discussioni tra i presenti, senza bisogno di un docente superiore a loro e che faccia loro l’esposizione della materia in forma sistematica. |
* Il metodo normale d’ insegnamento, specialmente quando si tratta di verità rivelate, è il magistero, col quale una persona più dotta e autorevole comunica la materia agli uditori in forma sistematica. Il circolo di studi, quando costituisce un complemento alla scuola, può essere utile per la manifestazione delle obiezioni e delle difficoltà degli uditori, come anche per raccogliere le osservazioni. |
Spiegazione
I circoli di studi, nella forma intesa dalla sentenza impugnata, sono stati condannati da S. Pio X nella sua lettera contro “Le Sillon”. In realtà codesta forma è di ispirazione rivoluzionaria e mira a sopprimere l’autorità del docente.
26
– L’apostolato di conquista, con cui si attraggono al seno della Chiesa gl’infedeli e quanti vivono in stato di peccato mortale, è l’apostolato per eccellenza. L’apostolato di preservazione e d’infervoramento dei buoni è secondario. |
* Maggiori sono i nostri doveri di carità con quelli che vivono più uniti a Dio. Perciò il nostro zelo deve rivolgersi in primo luogo alla preservazione dei buoni. Del resto la formazione d’un laicato fervoroso è condizione indispensabile per un vero apostolato di conquista quale tutti dobbiamo fomentare. |
Spiegazione
Ambedue le forme di apostolato sono essenziali: conservare e condurre alla perfezione i buoni; convertire i peccatori. È quindi falso dissociare l’apostolato di preservazione e d’infervoramento dei buoni dal cosiddetto apostolato di conquista. Il primo condiziona il secondo. Il Divino Maestro preparò la conversione del mondo con la formazione d’un manipolo d’apostoli ferventi. In altri termini: è impossibile conquistare la massa senza aver prima preparato una «élite».
27
– Nelle attuali condizioni di urgente necessità d’apostolato, sarebbe meglio che le Famiglie religiose meramente contemplative cessassero di esistere o che riducessero enormemente il numero dei propri membri, perché inutilizzano, per l’apostolato attivo esterno, delle persone che si consacrano esclusivamente alla penitenza e all’orazione. |
* Per disposizione della Provvidenza divina, la conquista delle anime si attua per due vie: da un lato, l’attività esterna e visibile della Gerarchia e dei fedeli; dall’altro, l’azione interna e invisibile della grazia condizionata, in gran parte, dall’orazione e dalla penitenza riparatrice dei contemplativi. Come principio, la Chiesa dovrà sempre avere la vita attiva, la vita mista e la vita essenzialmente contemplativa. La soppressione di alcuna di esse, o una riduzione che equivalga praticamente a una soppressione, non deve essere desiderata. |
Spiegazione
Il Santo Padre Pio XII, considerando l’attuale situazione del mondo, ha concesso delle facilitazioni ai contemplativi perché possano esercitare anche qualche apostolato attivo. Tuttavia, non si tratta di soppressione delle Famiglie religiose contemplative né di una riduzione che suppergiù l’equivalga. Del resto, nello stesso documento, il Santo Padre rileva come quell’apostolato non deve assolutamente dispensare dalla vita contemplativa o diminuirne l’intensità. Ecco le sue parole: “E in primo luogo per quanto riguarda la vita contemplativa delle Monache, si tenga per fermo e inviolato ciò che fu sempre il pensiero costante della Chiesa, e cioè che tutti i Monasteri di Monache devono professare canonicamente, sempre e ovunque, la vita contemplativa come loro fine primario e principale. Per la qual cosa tutti quei lavori e ministeri in cui le Monache possono e debbono esercitarsi, devono essere ordinati e disposti in tal modo, quanto al luogo, al tempo, alla maniera, che la vita veramente e solidamente contemplativa, sia di tutta la comunità che delle singole Monache, sia non solo salva ma continuamente alimentata e fortificata” (Costituzione Apostolica “Sponsa Christi” A. A. S. 43 p. 11).
28
– L’abito detto di “clergyman” conviene di più alla nostra epoca e facilita meglio l’apostolato che non l’abito talare imposto dal Diritto Canonico. |
* Essendo il Sacerdote, per il sacramento dell’Ordine, una persona sacra e collocata nella Chiesa su un piano specificamente distinto ed elevato al di sopra della comune dei fedeli, è altamente conveniente e coerente con la sua situazione che porti un abito totalmente diverso da quello che sogliono usare i semplici fedeli. |
Spiegazione
La Chiesa ha visto sempre con preferenza l’uso della veste talare. L’abito detto di “clergyman”, al contrario, ha avuto origine in quei paesi dove la situazione creata dall’eresia e dalla persecuzione ha reso difficile ai Sacerdoti la vita normale che conducono nei paesi cattolici.
È perciò conforme allo spirito della Chiesa lodare e conservare la talare. Fondandosi su tale preferenza per la talare la Pastorale collettiva dell’Episcopato brasiliano, ripubblicata con una nuova approvazione di tutti i Vescovi nel 1950, impone il suo uso sotto pene severe (n. 1262) e tollera altre vesti differenti solo in circostanze speciali (n. 1260 e 1261).
Il Codice esige vesti appropriate ai chierici nel can. 136, ma mostra la sua preferenza per la talare quando ordina che di essa devono essere rivestiti coloro che si apprestano a celebrare la Santa Messa (can. 811). Tale preferenza per la talare si spiega. La talare, totalmente diversa dal comune abito civile, segna meglio che non l’abito di “clergyman” la distinzione esistente tra la vita del Sacerdote e quella profana. L’abolizione della talare avrebbe un influsso molto forte nel senso di una laicizzazione del Clero.
29
– Risponde meglio all’evoluzione e alle attuali necessità della Santa Chiesa, che i Sacerdoti si permettano nella loro vita sociale tutte quelle ricreazioni che sono lecite ai laici cattolici come anche quegli atteggiamenti che in questi ultimi non sono censurati. |
* A ciascuno stato di vita corrispondono non solo doveri ma anche maniere e atteggiamenti adeguati. Perciò il buon Sacerdote si asterrà non solo da quello che la Morale espressamente condanna ma da tutto ciò che, secondo l’espressione consacrata, “non clericat”. |
Spiegazione
Ciò che un uomo può o non può fare non può essere ridotto alle regole essenziali della Morale. Così, a un magistrato non convengono gli atteggiamenti, le ricreazioni, le maniere permesse a un lavoratore manuale; ad un capo di famiglia non si permettono i modi e il portamento di un giovane scapolo, anche se questi si tenga interamente entro le prescrizioni della Morale. Voler abolire le maniere, gli atteggiamenti e il tenore di vita coerenti col sacerdozio, per indurre i sacerdoti a un’esistenza bensì onesta ma del livello dei laici, significa lavorare per la laicizzazione della società e, quel che è peggio, per la laicizzazione della Chiesa. A proposito di questo argomento, si legga il canone 138 del Codice di Diritto Canonico.
30
– Nell’ambiente di maestà e di distinzione aristocratica da cui è circondata la Gerarchia vi è una imitazione dei principi temporali. Ora, il Vescovo è pastore e non principe, perciò non gli si addicono le apparenze di un principe ma la semplicità e la povertà di un pastore. |
* Dato che l’uomo è fornito di sensi, ne deriva che le forme esteriori rivelano la natura delle istituzioni. Perciò quanto il compito è più alto, tanto più solenne dev’essere l’atmosfera che lo circonda. Il Vescovo ha il principato nella Chiesa di Dio. E il principato ecclesiastico è di una dignità più eminente che non il principato civile. In conseguenza ha il dovere di circondarsi dello splendore conveniente alla sua missione. Come uomo privato, tuttavia, deve eccellere nella pratica del distacco da tutte le cose terrene. |
Spiegazione
La sentenza impugnata colpisce per un gioco di parole. Presenta il Vescovo sotto l’immagine del pastore, ma insinua una identità tra le due condizioni, quando invece tra esse vi è solo analogia. Esser pastore di uomini importa ovviamente una dignità maggiore che essere pastore di pecore.
Pertanto sarebbe contro l’ordine delle cose che un principe o un Vescovo si presentasse in tutto e per tutto come un pastore di greggi. Indirettamente livellerebbe gli uomini agli animali.
È tuttavia evidente che lo splendore episcopale non è incompatibile affatto con la mansuetudine, con l’umiltà, col distacco e col tratto paterno che devono distinguere il Vescovo.
Così il Vescovo, serbando la dignità del suo grado, può e deve essere il padre di tutti e di ciascuno dei suoi diocesani.
31
– L’unico mezzo per comprendere e convertire la massa operaia consiste in questo, che il Sacerdote esca dalla canonica, vada al popolo, si mescoli con esso, ne prenda le maniere, il modo di essere e di vivere ecc. … per potere esercitare un influsso nel suo ambiente. |
* La conoscenza della massa operaia, dei suoi problemi di ordine morale e religioso, esige un certo contatto con essa: contatto a cui l’esercizio stesso del ministero parrocchiale offre normalmente ai Sacerdoti delle eccellenti occasioni. Dentro e fuori la canonica il Sacerdote dev’essere interamente ed esclusivamente Sacerdote, astenendosi da quelle frequentazioni e maniere che “non clericant”. Il resto egli lo farà per mezzo dei laici, affiliati alle varie associazioni dell’Azione Cattolica, Congregazioni Mariane ecc. … e alle associazioni specializzate, come i Circoli Operai. |