Catechismo delle verità opposte agli errori del nostro tempo, IV – Sulla vita spirituale

blank

Dom Jean-Baptiste Gustave Chautard (1858-1935)

La risposta – ha sottolineato Papa Paolo VI nell’udienza generale del 31 gennaio 1968 – alla nostra questione: come si diventa apostoli è già data da una vasta letteratura ascetica; basti ricordare la notissima opera del padre Chautard: «L’anima dell’apostolato», ancora attuale nelle sue affermazioni fondamentali, che ci portano a rintracciare le radici interiori dell’apostolato esteriore. (…) Non può essere vero apostolo chi non ha una propria, profonda, ardente vita interiore“.

 

41
L’ unione con Dio consiste nel contatto vitale e sperimentale con Cristo; l’unione morale, ossia l’esercizio delle virtù, è accessorio in ordine a questo fine.
* Non è possibile distinguere in Dio la sua essenza dalla sua santità. Onde è falsa qualsiasi concezione che pretenda formalmente o implicitamente affermare una unione con l’essenza divina senza che si abbia simultaneamente una unione con la santità di Dio. Pertanto è anche falsa la separazione che si pretende di fare tra l’unione ontologica e l’unione morale mediante l’obbedienza ai precetti, poiché ambedue risultano dalla grazia santificante, dalle virtù infuse e dalle grazie attuali. Quanto alla grazia e alle sue operazioni, esse sfuggono per sé al campo dell’esperienza (Cfr. I-Ilae S. Thomae, q. 112, art. 5, c.; De Vertiate, q. 10, art. 10, c.).
Spiegazione
La proposizione impugnata ha un forte carattere modernista in quanto fa consistere la vita spirituale, prevalentemente o esclusivamente, in una unione ontologica e sperimentale con Dio, in un campo che resta al di là delle operazioni dell’anima, in un campo, per così dire, transpsicologico.
Nell’ordine morale, tale proposizione conduce al lassismo. Se l’unione con Dio non si attua mediante l’unione con la santità divina, tutti i precetti divengono accessori o superflui, poiché non conducono al fine ultimo, che è Dio. Si direbbe che si formino due classi spirituali: una di quelli che vanno in paradiso per l’unione ontologica e sperimentale con Dio; l’altra di coloro che, guidati dai moralisti, si fermano sul terreno dei precetti.
L’unione con Dio deriva essenzialmente da una partecipazione della natura divina, che si attua con la grazia santificante. Questa, tuttavia, non è dissociabile dal compimento dei precetti, senza il quale non può sussistere né progredire. S. Tommaso, difatti, afferma (I-II Summae Theologicae, q. 4, a. 4, c.) “Rectitudo voluntatis requiritur ad beatìtudinem antecedenter et concomitanter. Antecedenter quidem, quia rectitudo voluntatis est per debitum ordinem ad finem ultimum. Finis autem comparatur ad id quod ordinatur ad finem, sicut forma ad materiam. Unde sicut materia non potest consequi formam, nisi sit debito modo di posita ad ipsam, ita nihil consequitur finem, nisi sit debito modo ordinatum ad ipsum. Et ideo nullus potest ad beatitudinem pervenire, nisi habeat rectitudinem voluntatis. Concomitanter autet, quia, sicut dictum est, beatitudo ultima consistit in visione divinae essentiae, quae est ipsa essentia bonitatis. Et ita voluntas videntis Dei essentiam, ex necessitate amat quidquid amat, sub ordine ad Deum – La rettitudine della volontà è necessaria per la beatitudine, tanto in senso antecedente quanto in seno concomitante. In senso antecedente, perché tal rettitudine suppone il debito ordine in relazione all’ultimo fine. Ora il fine sta a ciò che si ordina al fine come la forma alla materia. Sicché come la materia non può conseguire la forma e non è debitamente disposta a riceverla, così nessuna cosa consegue il fine se non è debitamente disposta verso di esso. E perciò nessuno può giungere alla beatitudine se non ha la rettitudine della volontà. In senso concomitante, poi, perché la beatitudine finale consiste, come già si è detto, nella visione della divina essenza, che è l’essenza stessa della bontà. Perciò la volontà di chi vede l’essenza di Dio, necessariamente ama tutto quel che ama, subordinatamente a Dio”).
42
Per l’unione del fedele con Cristo, lo sforzo per la pratica della virtù e dei precetti è secondario e quasi superfluo. Dar grande importanza alla pratica delle virtù e preoccuparsi dell’obbedienza ai comandamenti è riprovevole “moralismo” e “virtucentrismo”.
* Lo sforzo del fedele nella pratica della virtù e dei precetti è indispensabile perché si ottenga, si mantenga e si accresca l’unione con Cristo, frutto della grazia santificante. La preoccupazione della pratica dei comandamenti è legittima e necessaria, purché non divenga scrupolo ossessivo.
Spiegazione
Data la fragilità umana, molto facilmente si manifesta la tendenza dell’uomo a considerare ciò che lo eleva – la grazia santificante – indipendentemente da ciò che gli impone delle obbligazioni – la legge morale. Si comprende assai bene come la Chiesa, quale sapiente Maestra, insista su ciò che è più difficile, o sia sulla pratica dei comandamenti. In ciò non può esservi alcun “moralismo” riprovevole. È questo, anzi, l’atteggiamento dello stesso Divino Fondatore della Chiesa, Gesù Cristo. Degno di censura sarebbe chi ricadesse nell’eccesso del Pelagianesimo concependo l’atto di virtù come meramente naturale, indipendente dalla grazia, e capace di per sé a ottenere l’unione con Dio.
43
Il “moralismo) o “virtucentrismo” fissa l’attenzione del fedele su se stesso, sviandola da Dio. L’uomo coi suoi problemi morali si riduce ad essere il centro della vita spirituale. È l’odioso “antropocentrismo” diametralmente opposto alla vera pietà cattolica che è “teocentrica”.
* Quando il fedele sta rivolto su sé stesso per combattere un difetto o acquistare una virtù, esercita un atto eccellente per unirsi con Dio, posto che lo faccia per un motivo soprannaturale. In ciò non vi è nulla di “antropocentrico” una volta che l’uomo si volge su sé stesso per meglio unirsi con Dio. Poiché, secondo la Scolastica, quel che è primo nell’intenzione, è ultimo nell’esecuzione.
Spiegazione
Siccome la rettitudine della volontà è un mezzo necessario per avvicinarsi a Dio, tutto quando faccia il cristiano per il suo progresso nella virtù e per il suo perfezionamento morale ha come centro e meta precisamente Dio e non già il semplice uomo. Tutta l’ascesi cristiana è, perciò, necessariamente teocentrica.
Peraltro la sentenza impugnata non contiene un errore nuovo. Già tra le proposizioni di Michele de Molinos, condannate da Innocenzo XI (27 nov. 1687), quella indicata al n. 9 censura, tra le altre cose, anche questo atteggiamento verso i propri difetti (D. 1229).
Recentemente il S. Padre Pio XII ha dedicato più di una pagina della “Mediator Dei” (A. A. S. 39. pag. 533-537) a censurare codesta falsa posizione ascetica di molti cattolici che pretendono escludere lo sforzo per vincere le passioni e unirsi a Cristo.
44
La spiritualità degli Esercizi di S. Ignazio e, in generale, le scuole di spiritualità nate sotto l’influsso della Controriforma, come quelle di S. Giovanni della Croce, di S. Alfonso De’ Liguori ecc. sono impregnate di “antropocentrismo”, “virtucentrismo” e “moralismo”. Furono utili come reazioni al Protestantesimo; prive, tuttavia, di valore perenne perché svierebbero dal retto sentiero della pietà cristiana.
* Le scuole di spiritualità sorte in seguito alla Riforma Protestante, come tutte le altre approvate dalla Chiesa, ancorché abbiano tra loro delle differenze spiegabili nell’ambito di quella libertà con cui lo Spirito Santo istruisce e guida i santi, sono nel fondo tutte teocentriche e conservano efficacia per tutti i tempi, come dimostrano le reiterate raccomandazioni della Santa Sede, sino ai nostri giorni, nei riguardi degli Esercizi di S. Ignazio e, in generale, delle Scuole di Spiritualità (Cfr., oltre la “Mens nostra” di Pio XI sugli Esercizi Spirituali di S. Ignazio, la “Mediator De;” A.A.S. 39, pag. 585-6).
Spiegazione
Ad ogni spiritualità è tanto essenziale l’essere teocentrica, che la minima deviazione in questo punto costituisce errore gravissimo. Non si comprende come la Chiesa, che è infallibile in tutto ciò che riguarda l’edificazione dei fedeli, possa aver approvato dei metodi che allontanerebbero da Dio, e come i fedeli possano aver raggiunto la virtù eroica applicando tali metodi. La sentenza impugnata pone implicitamente in dubbio l’infallibilità della Chiesa.
45
Una spiritualità che molto insiste sulla meditazione e, in generale, sulle pratiche di pietà con le quali l’individuo esercita le sue potenze per eccitare in sé dei buoni propositi, sono mezzi di santificazione secondari e forse imperfetti. Solo le pratiche liturgiche, in virtù della loro azione “ex opere operato” assicurano il pieno sviluppo della vita spirituale e della unione con Dio.
* Secondo la “Mediator Dei”, l’intensità della partecipazione dei fedeli agli atti liturgici è condizionata alle disposizioni interiori. La meditazione, l’esame di coscienza e altre pratiche analoghe sono state sempre raccomandate dalla Chiesa come mezzi indispensabili per l’acquisto di tali disposizioni. Pari menti sarebbe temerario disprezzare la preghiera privata per il conseguimento del medesimo fine. In conseguenza, la partecipazione agli atti liturgici, l’orazione privata, la meditazione e tutte le altre pratiche somiglianti si completano ; e il fedele non deve scegliere tra quella e queste, ma utilizzarle tutte.
Spiegazione
La proposizione impugnata sarebbe vera se fosse possibile, nell’adulto, una santificazione “ex opere operato” che dispensasse dalle dovute disposizioni. D’altronde la “Mediator Dei” confronta la “pietà oggettiva” o liturgica con la “pietà soggettiva” o privata, per indicare che ambedue sono legittime e l’una non può dispensare dall’altra (A.A.S. 39 pag. 532 ss.).
Più specialmente per il Brasile la S. Congregazione dei Seminari insegna che “la rinunzia di sé stessi, dei propri modi di vedere, del desiderio di eccellere e di farsi ammirare, si acquista solamente con l’orazione, con la meditazione della vita di Gesù e delle parole da Lui proferite per tutte le generazioni, con l’esercizio paziente e controllato da frequenti esami di sé stessi. Senza la vittoria in questo settore del combattimento spirituale, non si raggiunge l’umiltà cristiana, necessaria per sottomettersi in tutto alla volontà di Dio” (A. A. S. 42 pag. 843).
46
È’ peculiare dell’Azione Cattolica, come apostolato ufficiale della Chiesa, una spiritualità alimentata esclusivamente dalle pratiche liturgiche, che costituiscono la pietà ufficiale. È’ proprio delle associazioni religiose – Apostolato della Preghiera, Pie Unioni ecc… -, enti di apostolato meramente privato, coltivare la pietà extra liturgica.
* L’obbligo di coltivare la pietà liturgica ed extra liturgica è comune a tutti i fedeli, indistintamente, appartengano a questa o a quella associazione.
Spiegazione
Come abbiamo detto sopra, il santo Padre insiste nella “Mediator Dei” sul principio che ambedue le forme di pietà sono indispensabili e complementari l’una dall’altra.
47
La devozione ai Santi e specialmente alla Madonna facilmente svia i fedeli dalla pietà veramente cattolica, che è per eccellenza cristocentrica.
* La devozione ai Santi e particolarmente alla Santissima Vergine, in nessun modo spinge i fedeli ad allontanarsi da Gesù Cristo. Al contrario, costituisce un canale eccellente e normale, e, trattandosi della Vergine Santissima, necessario, per conseguire l’unione con Gesù Cristo.
Spiegazione
L’ignoranza religiosa e certe superstizioni che hanno del pagano spingono molte persone a fare dei Santi l’oggetto di una falsa pietà, abuso questo che, del resto, si avvera anche nei riguardi di Gesù Cristo. È quel che si vede, a volte, nelle regioni interne della nostra Diocesi, come in altre parti del Brasile. Il pericolo non risiede propriamente nella devozione ai Santi, ma nell’ignoranza religiosa e soprattutto nelle superstizioni ereditate dagli antenati pagani. La devozione ai Santi e alla Madonna, quale esiste nella comune delle persone pie delle nostre città, non presenta esagerazioni e neppure quei sintomi che facciano temere il prodursi di esagerazioni siffatte. Del resto, secondo S. Tommaso (in IV Sent. d. 45, q. 3, a. 2), le nostre preghiere devono salire al trono di Dio per lo stesso canale per il quale sono discesi a noi i benefici divini; come questi sono venuti per via dell’intercessione dei Santi, così per la devozione ai Santi noi dobbiamo accostarci a Dio.
Sulla funzione necessaria di Maria nella nostra santificazione scrive così il Santo Pio X: “Dunque tutti noi che siamo uniti a Cristo, che siamo, come dice l’Apostolo, le membra del suo capo, fatti della sua carne e delle sue ossa (Eph. V, 30), dobbiamo considerarci usciti dal seno della Vergine a somiglianza del corpo unito al suo capo”. E più innanzi: “Se dunque la Beatissima Vergine è nello stesso tempo Madre di Dio e degli uomini, chi può dubitare che Ella non impiegherà tutte le sue forze presso suo figlio “Capo del Corpo della Chiesa”, perché Egli diffonda su di noi che ne siamo le membra i doni della sua grazia, soprattutto quello di conoscerlo e di “vivere per Lui”? Infine, “Maria, come osserva giustamente S. Bernardo, è l’“acquedotto” (Sermo in Nativitatem) o anche quella parte per cui il capo si congiunge col corpo e gli trasmette forza ed efficacia; in una parola, il collo” (Enc. “Ad diem illum” 2 febbraio 1904).
48
Costituisce riprovevole devozionalismo l’assiduità al Sacramento della Confessione. La Chiesa si contenta che i fedeli ricevano annualmente questo Sacramento. Basta la Confessione fatta a piè dell’altare, quando si partecipa alla Santa Messa, per ottenere il perdono dei peccati.
* L’assiduità al Sacramento della Confessione è lodata dalla Chiesa e inculcata da tutti i dottori della vita spirituale. Il “Confiteor” della Messa non può dare il perdono dei peccati mortali. Quanto al perdono dei peccati veniali, esso può ottenersi con i Sacramentali, come per esempio il “Confiteor” della Messa, quando si abbia il pentimento e il proposito di emendamento. Una persona che rinunciasse alla pratica della Confessione frequente per valersi unicamente dei Sacramentali, si priverebbe dei vantaggi e delle grazie preziose che solo il Sacramento della Confessione può arrecare, e agirebbe in contrasto col modo di sentire della S. Chiesa.
Spiegazione
La sentenza impugnata sostiene una posizione ascetica condannata dalla tradizione della Chiesa e recentemente proscritta dalla “Mystici Corporis Christi” di Pio XII, del 29 giugno 1943. Ecco le sue parole: “Lo stesso succede con la falsa opinione di coloro che pretendono che non si debba tenere in gran conto la frequente confessione delle colpe veniali, poiché importante è la confessione generale, che la Sposa di Cristo, con i suoi figli a Lei uniti nel Signore, fa tutti i giorni, per mezzo dei Sacerdoti, prima di salire all’Altare”. E aggiunge più innanzi: “Per progredire più rapidamente nel cammino della virtù, raccomandiamo vivamente il pio uso, introdotto dalla Chiesa per ispirazione dello Spirito Santo, della confessione frequente, che aumenta la conoscenza di sé, sviluppa l’umiltà cristiana, sradica i cattivi costumi, combatte la negligenza e la tiepidezza spirituale, purifica la coscienza, fortifica la volontà, serve alla direzione spirituale e, in virtù dello stesso sacramento, aumenta la grazia”. E termina con questa grave censura: “Pertanto coloro che disprezzano e fanno perdere la stima della confessione frequente alla gioventù ecclesiastica, sappiano che fanno cosa contraria allo Spirito di Cristo e funestissima al Corpo Mistico del Salvatore” (A. A. S. 35, pag. 235).
49
Si deve obbedire agli ordini dei Superiori quando ai sudditi sembrano giustificati. Obbedire a degli ordini ingiustificati è servilismo incompatibile con la dignità del cristiano.
* L’obbedienza cristiana consiste nel rispetto di tutti gli ordini emanati dai superiori legittimi, quando non obblighino a far peccati, in virtù dell’onestà insita nel fatto stesso di obbedire ai superiori. I sudditi non hanno il diritto di disobbedire a un ordine solo perché non lo giudicano giustificato.
Spiegazione
La sentenza impugnata distrugge il fondamento stesso dell’autorità, perché fa risultare questa dal consenso dei sudditi: errore proscritto nella condanna del liberalismo. La dottrina cattolica, al contrario, insegna che l’autorità viene da Dio e perciò le si deve obbedienza anche quando i dettami da essa promulgati sembrano incomprensibili e ingiustificati ai sudditi. È proprio questo che fa dell’obbedienza una virtù; poiché, mentre la sentenza impugnata fa dell’obbedienza un atto esclusivo dell’intelligenza, la dottrina cattolica vede in essa, anzitutto, un atto della volontà. E senza atto di volontà non c’è virtù. Si veda la dottrina di S. Pietro (I Petri, II, 18), là dove comanda di obbedire ai superiori “anche discoli”.
Indice

Contato