Quando le circostanze obbligano dei paesi cattolici ad accogliere immigranti di paesi pagani od eretici, s’impone una serie di provvedimenti, naturalmente complessi, perché tale immigrazione non vada a detrimento spirituale delle popolazioni cattoliche. Si veda, a tal proposito, la Costituzione Apostolica “Exsul Familia” del 1° agosto 1952 (pubblicata da papa Pio XII), tutta dominata dalle sollecitudini della Santa Sede per l’assistenza spirituale agli emigranti (qui la versione in latino – qui la versione in italiano, qui in inglese).
– indica la proposizione falsa o almeno pericolosa.
* indica la proposizione certa.
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– Nell’attuale stadio di evoluzione della società umana, lo Stato ha preso una maggiore coscienza della propria autonomia, per la qual cosa non gli è più possibile mantenere con la Chiesa relazioni tanto intime quanto per il passato. All’antico Stato farisaicamente cristiano, deve succedere, nella futura Cristianità, uno Stato vitalmente cristiano, cioè animato dallo spirito evangelico, frutto della collaborazione di tutte le confessioni cristiane, sia più o meno densa la diffusione di ciascuna, senza che vi sia da parte del governo un trattamento di favore per una qualsiasi di esse. |
* Lo Stato ha come proprio fine di procurare il bene temporale, e nella sua sfera è sovrano. La Chiesa, tutrice del diritto naturale in tutto il mondo, ha il diritto di veder rispettate le sue leggi e le sue dottrine da parte dei pubblici poteri temporali. Lo Stato deve dichiararsi ufficialmente cattolico e porre tutte le sue risorse a servizio della preservazione e della dilatazione della Fede. |
Spiegazione
La sentenza impugnata porta logicamente alla dottrina della separazione tra Chiesa e Stato, condannata dal Sillabo (prop. 55, Denzinger 1775) e nuovamente proscritta da Leone XIII, nella Enciclica “Immortale Dei”, da S. Pio X nella Enciclica “Vehementer” e, più recentemente, dalla Lettera della S. Congregazione dei Seminari all’Episcopato brasiliano (A. A. S. 42, pag. 841).
Oltre ciò, la sentenza impugnata contiene altre concezioni inaccettabili. A voler prendere l’espressione nel significato rigoroso, si direbbe che il regime di unione tra Chiesa e Stato, tal quale vigeva nel Medioevo, rappresentasse una fase incipiente o intermedia, che i popoli, mossi dalla forza immanente dell’evoluzione, avrebbero superata. Ora, la Chiesa non ammette il determinismo storico evoluzionistico, che importa negazione del libero arbitrio e della divina Provvidenza. E del pari non ammette che le condizioni dell’umanità abbiano potuto superare un regime di rapporti dedotto logicamente dalla Rivelazione e dall’ordine naturale e immutabile delle cose.
Meno ancora può la Chiesa ammettere tale evoluzione nel senso di un indifferentismo religioso, cosicché, nella futura Cristianità, il progresso dello Stato debba consistere nella equiparazione di tutte le confessioni cristiane. Si leggano le proposizioni 77 e 79 condannate dal Sillabo e si veda quale sia la vera dottrina della Chiesa. In quel celebre documento l’immortale Pio IX ha condannato l’opinione di quanti presumono vedere un progresso nella equiparazione dei culti (Prop. 77, Denzinger 1777); e l’altra opinione di quanti negano che siffatta equiparazione conduca all’indifferentismo religioso (Prop. 79, Denzinger 1779).
Meritano un chiarimento anche le parole “Cristianità”, “farisaico”, “vitale”.
Cristianità è un ordine di cose temporale, fondato sulla dottrina di Gesù Cristo. Se soltanto la Chiesa Cattolica insegna questa dottrina in modo genuino, come può una Cristianità organizzarsi a eguale distanza da quel che insegna la Chiesa e da quel che predicano le sette ereticali? Diamo un esempio concreto: se tale Cristianità ammettesse il divorzio, l’organizzazione della famiglia sarebbe cristiana? E se lo rigettasse, potrebbe dirsi ispirata tanto dalla dottrina cattolica quanto dalla dottrina delle sette cristiane divorziste?
D’altro lato, il termine “farisaico” suona, a nostro parere, come un’ingiuria alla Chiesa. Se il regime di unione della Chiesa e dello Stato fu sempre l’unico accettato dalla Chiesa, se nonostante alcuni inconvenienti verificatisi qua e là, esso fu approvato, mantenuto, praticato da tanti Papi, da tanti Re elevati agli onori degli altari, come può ammettersi che tale regime sia suscettibile della qualifica di “farisaico” senza dedurne conseguenze tra le più ingiuriose per la Santa Sede e per tanti Santi?
Quanto al termine “vitale”, che cosa intende di preciso codesta espressione? Per vitale s’intende ordinariamente ciò che ha vita. Non fu vitalmente cristiana la civiltà uscita dalle mani della Chiesa nel Medioevo? Si può sperare che sia vitalmente cristiano lo Stato interconfessionale di una vagheggiata Cristianità futura?
Per concludere la presente nota, sarebbe opportuno ricordare come il regime di unione tra Chiesa e Stato porti con sé, come caratteristica necessaria, la maggiore indipendenza della Chiesa di fronte al potere civile nell’ambito della giurisdizione spirituale o mista. Nei tempi moderni tale regime è stato deformato principalmente dalle crescenti invasioni dello Stato nella sfera ecclesiastica. Conviene censurare assolutamente siffatte invasioni, rivendicare la libertà della Chiesa, ma non rinunciare al principio della sua unione con lo Stato. E allorché in qualche paese vi sono disgraziate circostanze così profonde, che la separazione costituisca un male minore dell’unione stessa (la quale necessariamente ne sarebbe deformata), bisogna davvero temere per quel paese.
Poiché nessuna cosa, quando si separa da Dio e dalla sua Chiesa, ha possibilità di conservarsi per lungo tempo. Ed uno dei frutti più funesti della separazione tra Chiesa e Stato – anche quando sia un male minore – è la deformazione della mentalità del popolo, il quale si abitua a considerare la vita temporale su un piano assolutamente naturalistico. Si formano così delle mentalità profondamente laicistiche; e bisogna purtroppo confessare che, a causa di codesto genere di relazioni, è molto difficile plasmare l’anima di tutto un popolo alla retta idea della subordinazione della vita temporale al servizio di Dio.
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– Il dovere politico dei cattolici consiste solo nel promuovere il bene temporale. In favore della Chiesa essi devono limitarsi a chiedere allo Stato le libertà concesse a qualsiasi associazione privata. |
* Il cattolico deve agire in politica non solo nel senso di promuovere il bene comune nella sfera temporale, ma anche al fine di ottenere che lo Stato riconosca alla Chiesa la: qualità di ente di diritto pubblico, quindi di sovrana nella sua sfera, e munita di tutte le prerogative che le competono come a unica Chiesa vera. |
Spiegazione
La sentenza impugnata risente dell’influsso di due errori: della cosiddetta Morale Nuova, la cui applicazione in questo punto consiste nel considerare il bene comune temporale come fine a se stesso, del tutto indipendente da altra sfera; e della equiparazione della vera Chiesa con le chiese false e con le associazioni private.
Peraltro la sentenza impugnata conduce logicamente alla proposizione condannata da Pio IX nel Sillabo, la quale dichiara lecita l’educazione estranea alla Fede cattolica e all’autorità della Chiesa, e guidata solo o principalmente dalla scienza delle cose naturali e dal bene terreno sociale (Prop. 48, Denzinger 1748). E conduce anche all’errore della proposizione 54 condannata dal Sillabo, secondo la quale l’autorità civile deve sovrapporsi all’autorità ecclesiastica (Denzinger, 1754).
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– Nella scelta degl’immigranti, non ha importanza quali siano le loro credenze; basta che si considerino i vantaggi economici, etnici e politici. |
* Nella scelta degl’immigranti, devono esser prese in considerazione prima di tutto le loro credenze e non solo i vantaggi di ordine economico, etnico e politico. |
Spiegazione
L’unità del paese nella vera Fede costituisce il più alto dei suoi valori spirituali. È ovvio che tale unità può essere spezzata se si aprano le frontiere a correnti immigratorie che vengano a costituire dei tumori religiosi tanto pericolosi nella sfera spirituale quanto lo sono i tumori razziali nella sfera politica. La sentenza impugnata, che risente del laicismo delle proposizioni anteriori, ha il torto di astrarre da tali considerazioni. Del resto, essa è stata direttamente condannata dal S. Padre Pio IX nel Sillabo, alla proposizione 78, che suona così: “E però lodevolmente in alcuni paesi cattolici si è stabilito per legge che a quelli, i quali vi si recano, sia lecito di avere pubblico esercizio del culto proprio di ciascuno” (Denzinger 1778).
In tema di immigrazione, difatti, la considerazione del fattore religioso deve avere il primo posto. Quantunque sia un diritto naturale delle nazioni sovrappopolate di poter avviare emigranti verso i paesi capaci di riceverli, è necessario tuttavia che tale diritto sia esercitato con le cautele richieste dal diritto superiore delle popolazioni cattoliche, che è quello della fedeltà alla Chiesa. In altre parole, quando le circostanze obbligano dei paesi cattolici ad accogliere immigranti di paesi pagani od eretici, s’impone una serie di provvedimenti, naturalmente complessi, perché tale immigrazione non vada a detrimento spirituale delle popolazioni cattoliche.
Si veda, a tal proposito, la Costituzione Apostolica “Exsul Familia” del 1° agosto 1952 (A. A. S. 44, pag. 649 ss.), tutta dominata dalle sollecitudini della Santa Sede per l’assistenza spirituale agli emigranti.
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– I cattolici devono unirsi, sul terreno sociale ed economico, a qualsiasi gruppo, corrente o movimento politico che li aiuti contro il Capitalismo. Così possono accettare, in relazione ai comunisti, la cosiddetta politica della mano tesa. |
* I cattolici possono accordarsi in una comunanza di sforzi con altri movimenti, correnti, aggruppamenti, se per avventura essi abbiano lo stesso fine immediato. Ciò, tuttavia, non autorizza una collaborazione stabile con elementi di altra dottrina. Essendo differenti i fini ultimi e i mezzi impiegati e lo spirito che guida ciascuno nel raggiungere il proprio fine, esiste una vera impossibilità di collaborare durevolmente con i comunisti. Oltre a ciò, siffatta collaborazione potrebbe riuscire gravemente nociva ai cattolici e spingere l’opinione pubblica a confusioni pericolose. I cattolici devono evitar sempre, nei loro interventi sociali, qualsiasi apparenza di lotta di classe. |