“Il popolo vive della pienezza della vita degli uomini che lo compongono, ciascuno dei quali – al proprio posto e nel proprio modo – è una persona consapevole delle proprie responsabilità e delle proprie convinzioni. La massa, invece, aspetta l’impulso dal di fuori” (Pio XII, Radiomessaggio natalizio del 1944). La benedizione dei campi di grano ad Arbois (Francia), di Jules Breton
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– Gesù Cristo ha predicato la povertà e l’umiltà e la preferenza per i deboli e per i piccoli. Una società imbevuta di questo spirito deve eliminare le disuguaglianze di fortuna e di condizione sociale. Le riforme politiche e sociali derivanti dalla Rivoluzione Francese sono state, coscientemente o no, d’ispirazione evangelica, concorrendo ad attuare una società veramente cristiana. |
* Gesù Cristo ha predicato lo spirito di povertà e d’umiltà e la preferenza per i deboli e per i piccoli. Per povertà la Chiesa intende il distacco dai beni della terra, ossia un tale uso di questi, che servano alla salvezza dell’anima e non alla sua perdizione. Così, non insegnò mai che l’essere ricchi sia intrinsecamente male, ma che è male soltanto il fare un disordinato uso della ricchezza. Per umiltà la Chiesa intende il riconoscimento, da parte del fedele, che nulla ha da sé ma tutto ha ricevuto da Dio, e nel porsi nel luogo che gli spetta. L’esistenza delle classi sociali è quindi condizione per la pratica della virtù dell’umiltà. Quanto alla preferenza per i deboli e per i piccoli, sarebbe impossibile una società in cui tutti fossero eguali. La Rivoluzione Francese, nella misura in cui mirò a una completa eguaglianza politica, sociale ed economica, nella società ideale sognata dai suoi fautori, fu un movimento satanico, ispirato dall’orgoglio. |
Spiegazione
Certamente le disuguaglianze sia nel campo politico sia in quello sociale o economico, sono state, a volte, inique, e ciò per due motivi principali: o perché tali disuguaglianze erano illegittime e mero frutto dell’oppressione, o perché si accentuavano tanto da negare la dignità naturale dell’uomo o i mezzi per vivere sanamente e onestamente.
Un esempio evidente di eccessiva disuguaglianza è la sorte durissima e immeritata nella quale furono gettati, durante il secolo XIX, gli operai, in conseguenza della rivoluzione industriale (Pio XI “Quadragesimo anno” A. A. S. vol. 23, pagina 195, 197/8).
Al contrario di quello che da alcuno è stato detto, la Chiesa ha compiuto il suo dovere di lottare contro codesta situazione. Ma, in tale lotta, il suo obiettivo è una società gerarchica entro i confini dell’ordine naturale; giammai l’abolizione di tutte le disuguaglianze legittime, quale è sognata dai rivoluzionari e quale è perseguita dall’azione della Massoneria.
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– La Chiesa deve fare causa comune con la classe operaia nella lotta contro il regime capitalista. |
* La Chiesa interviene nelle questioni sociali per proteggere la legge naturale. Suo obiettivo non è favorire una classe contro l’altra ma far regnare, nelle relazioni tra le classi, la dottrina di Gesù Cristo. Appoggia le giuste aspirazioni degli operai come i diritti autentici dei padroni. Il regime capitalista, in quanto prende come base la proprietà privata, in sé è legittimo. La Chiesa combatte i suoi abusi ma non appoggia la sua distruzione. |
Spiegazione
Si va generalizzando tra i cattolici l’idea che la Chiesa sia una sorta di partito laburista, la cui finalità sarebbe la difesa di una sola classe. Al contrario, essa sta al di sopra delle classi come al di sopra dei partiti. Anche quando difendeva le giuste rivendicazioni degli operai, giammai ha disconosciuto i diritti dei padroni. E nel momento attuale, il Santo Padre, nella sua all’allocuzione al Katholikentag di Vienna (14 sett. 1952; “Atti e discorsi di Pio XII” v. XIV) ha detto assai chiaramente che la questione operaia, ancora incandescente nella prima metà di questo secolo, è stata ormai superata da un’altra ben più grave, che è la lotta di classe, ispirata dal Socialismo. È necessario, oggi più che mai, presentare la Chiesa come protettrice di tutti, operai e padroni, e non come sistematica patrocinatrice degli uni contro gli altri.
Quanto al capitalismo, conviene dissipare la confusione che si è determinata nei suoi riguardi, nel linguaggio corrente. Il regime capitalista, in sé stesso, ossia come sistema fondato sulla proprietà privata e sulla libera iniziativa, e comportando dei guadagni nella misura consentita dalla morale, è legittimo, né può esser confuso con gli abusi di cui si rese, di fatto, responsabile in non pochi luoghi.
Bisogna infatti distinguere tra la legittima difesa delle sane organizzazioni operaie dagli abusi del capitalismo, da una parte, e, dall’altra, la lotta delle organizzazioni rivoluzionarie che vorrebbero proclamare la illegittimità del regime capitalista in sé stesso. Chiunque si associa all’azione di queste ultime organizzazioni collabora col comunismo e incorre nella censura contenuta nella Lettera della Sacra Congregazione dei Seminari all’Episcopato brasiliano: “Per alcuni non sono sufficienti, nel campo sociale, le direttive così umane, così sapientemente favorevoli alle classi lavoratrici, che la Santa Sede, principalmente da Leone XIII a Pio XII, ha promulgato, ma cercano di avanzare sempre più a sinistra, sino a nutrire una vera simpatia per il comunismo bolscevico, distruttore della Religione e d’ogni vero bene della persona umana” (A. A. S. 42, pag. 841).
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– Il regime del salariato è contrario alla dignità dell’uomo, e intrinsecamente ingiusto. La condizione del lavoratore porta naturalmente con sé un diritto alla partecipazione della proprietà dell’impresa, della sua direzione e dei suoi utili. |
* Il regime del salariato è del tutto conforme alla dignità dell’uomo e del cristiano. Il contratto di lavoro non porta, come a conseguenza necessaria, alla partecipazione del lavoratore alla proprietà, alla direzione e agli utili dell’impresa. |
Spiegazione
Leone XIII, S. Pio X, Pio XI (vedi ”Quadragesimo anno“ A. A. S. 23, pag. 199) e Pio XII insegnano che il regime del salariato in sé stesso è giusto, e conforme alla dignità umana. L’economia malsana del sec. XIX e del sec. XX tolse al regime del salariato il suo genuino carattere. Secondo la dottrina della Chiesa, le relazioni tra padroni e operai rivestono un carattere familiare. Gl’impiegati erano, in altri tempi, considerati membri integranti della società domestica, che si componeva delle società coniugale, familiare ed erile. La parola “padrone” derivante da “pater” padre, e la parola “domestico”, derivata dal concetto che i servitori venivano formati ed educati nella propria casa (“domus”), ricordano bene tale accennato carattere. (1) Ciò è sufficiente per mostrare che nulla v’è di avvilente nella condizione dell’impiegato salariato. Anche in clima industriale e commerciale, deve persistere il carattere familiare di tali relazioni. La Chiesa vuole che i padroni e gli operai siano tra loro, nella misura possibile, come membri di una stessa famiglia, padri e figli che collaborano al benessere comune.
(1) Alla parola “domestico” risponde nel testo originale il termine “criado”, che significa “educato” nell’ambiente familiare.
Dal punto di vista della giustizia, il salario è un sistema di remunerazione soddisfacente, quando realizzi le condizioni stabilite da Pio XI: sufficiente per l’onesto e decoroso sostentamento dell’operaio e della sua famiglia. In tale sostentamento onesto e decoroso va incluso il margine necessario perché l’operaio previdente possa formarsi un peculio. La partecipazione dell’operaio agli utili dell’impresa è presentata da Pio XI e Pio XII come raccomandabile, giammai, però, come obbligatoria (cfr. l’allocuzione al Katholikentag, sopra citata). In certi casi può produrre dei buoni frutti. Ma non è una panacea da applicarsi in ogni caso. E soprattutto non può essere imposta per legge a tutto un paese.
Lo stesso deve dirsi della partecipazione dell’operaio alla proprietà o alla direzione dell’impresa. Quanto a quest’ultimo punto, la dottrina cattolica ammette tale partecipazione nel senso che resti nelle mani del proprietario dell’impresa il potere di decisione e la responsabilità di tutto l’andamento della fabbrica o del regolamento del mercato (A. A. S. 41, pag. 285).
La sentenza impugnata, spinta alle sue ultime normali conseguenze, significherebbe l’abolizione della disuguaglianza di classi, termine ultimo sognato da tutti i rivoluzionari.
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– Secondo S. Agostino, l’unico proprietario delle ricchezze è Dio. L’uomo è soltanto un procuratore. Le ricchezze appartengono perciò alla collettività e il proprietario non è che un semplice amministratore di esse per il bene comune. |
* Secondo S. Agostino, il supremo proprietario delle ricchezze è Dio. Ne deriva che il proprietario deve fare uso dei suoi beni secondo la volontà sovrana di Dio. Dio, però, non si identifica con la collettività. Se il dominio di Dio su tutte le ricchezze è assoluto, non lo è il dominio della collettività. Trasferire i diritti di Dio alla collettività equivale a divinizzare lo Stato e a sacrificare l’individuo. |
Spiegazione
La sentenza impugnata pecca di statolatria. E perciò arriva a conclusioni che soltanto in una concezione statolatrica sarebbero ammissibili. Di fatto il regime di proprietà privata procede dall’idea che lo Stato non è un dio, né un fine a sé stesso, ma soltanto un mezzo. Sicché la posizione del proprietario consiste nell’ esercizio di un diritto personale e proprio, e non già nell’esercizio di un diritto delegato dallo Stato. È questa la ragione che ci vieta di confondere il proprietario con un semplice procuratore.
Ciò che caratterizza il procuratore (o amministratore) è difatti l’esercizio di diritti che non gli sono propri ma che gli sono stati delegati. Questo è il motivo per cui la distinzione tra proprietario e amministratore è valida in tutte le legislazioni dei paesi non comunisti.
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– L’unico titolo di proprietà in senso stretto è il lavoro, sicché l’uomo è proprietario soltanto di ciò che personalmente produce. Le ricchezze naturali che possiede non gli appartengono in senso assoluto; di esse egli è solo l’amministratore e le possiede nella misura in cui le amministra, giacché l’assoluta proprietà di esse appartiene alla collettività. |
* Leone XIII insegna che il titolo originario della proprietà non è il lavoro ma l’occupazione. Sicché l’uomo è proprietario non solo del frutto del suo lavoro, ma anche delle ricchezze naturali, cioè non solo del frutto della terra ma anche della terra stessa. Quest’ultima egli potrà sfruttarla direttamente o per mezzo di altri. |
Spiegazione
La sentenza impugnata si identifica col cosiddetto “socialismo agrario” che nega la proprietà della terra e che è stato condannato dai sociologi cattolici, forti delle ragioni con le quali Leone XIII nella “Rerum Novarum” giustifica la proprietà privata. Infatti il Pontefice, in quella Enciclica, dimostra che l’uomo ha diritto anche ai beni fondiari, legittimamente acquistati.
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– Per sé la terra non è suscettibile di appropriazione individuale perché appartiene alla collettività. Perciò le persone che vivono della terra debbono pagare alla collettività i vantaggi che ricavano dalla esclusiva utilizzazione di essa. Tale pagamento può essere percepito dallo Stato per mezzo di un sistema tributario che faccia ricadere sulla terra tutte le imposte. E siccome la terra è la fonte naturale di tutti i beni, tale regime fiscale deve bastare per coprire le necessità dello Stato. |
* La terra, come tutti gli altri beni mobili o immobili, è suscettibile di appropriazione individuale. Perciò il proprietario della terra non deve allo Stato nessun pagamento per la esclusiva utilizzazione di essa. Le imposte debbono ricadere sui proprietari tanto quanto su qualsiasi categoria di persone, in armonia con la giustizia distributiva. La terra non è l’unica fonte dei beni economici. Un regime fiscale che ricadesse esclusivamente sulla terra, sovvertirebbe l’economia privata e sarebbe insufficiente a coprire le spese normali dello Stato. |
Spiegazione
La sentenza impugnata è una delle tesi classiche del Socialismo agrario di Enrico George. La Chiesa è ben lontana dall’associarsi a codesta fobia per la proprietà privata. Tutto al contrario, Essa vede in tale proprietà un sostegno prezioso alla stabilità delle famiglie, delle classi sociali, delle associazioni pie e di carità, come anche degli istituti ecclesiastici.
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– I grandi latifondi sono intrinsecamente cattivi, perché contrari alla dottrina cristiana che giustifica solo la piccola proprietà, più conforme all’eguaglianza che ha da regnare tra gli uomini. |
* È desiderabile che la proprietà si diffonda il più possibile tra gli uomini, come appannaggio naturale della personalità. La prosperità sociale, tuttavia, comporta ed a volte esige che accanto alla piccola proprietà esistano le medie e le grandi. L’eguaglianza tra gli uomini deve intendersi non in senso livellatore ma in senso proporzionale; i diritti e le responsabilità sono corrispondenti alla posizione che ha la persona nella società. |
Spiegazione
Siccome la proprietà ha anche una funzione sociale, vi sono dei limiti necessari alla grande proprietà. Tali limiti sorgono quando questa favorisce la improduttività delle ricchezze a detrimento del bene comune; quando concentra le ricchezze nelle mani di pochi sino a ridurre gli altri alla miseria, all’indigenza o alla schiavitù, oppure quando toglie a notevole parte degli uomini la possibilità di divenire proprietari.
Intorno alla legittimità dei grandi latifondi si è pronunciato il S. Padre nella allocuzione del 2 luglio 1951, rivolta ai partecipanti al Congresso cattolico di Roma per il miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori dell’agricoltura (A.A.S. 43 (1951) pag. 554 ss.). Dopo aver parlato della convenienza della piccola proprietà rurale, il Papa aggiunse: “Con ciò non si nega l’utilità, spesso le necessità di aziende agricole più vaste”.
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– La questione sociale è una questione di mera giustizia nel campo sociale. Per risolverla non si deve fare appello alla carità. |
* La questione sociale è anzitutto una questione morale e religiosa (Leone XIII, Enc. “Graves de communi”). Essa implica questioni di giustizia e di carità e non sarà risolta dall’esercizio dei meri doveri di giustizia. |
Spiegazione
La sentenza impugnata sarebbe coerente col materialismo storico, giacché, nella questione sociale, non tiene nessun conto dell’esistenza dell’anima umana, ma solo del corpo e delle sue necessità. La Chiesa, infatti, insegna che la questione sociale è prevalentemente morale e perciò essenzialmente religiosa, essendo religiose tutte le questioni morali.
Leone XIII, nella “Rerum Novarum”, insegna che la questione sociale ha una possibilità di soluzione solo ammettendo due principi: 1) disuguaglianza sociale; 2) necessità dell’unione delle classi sociali.
Sviluppando il secondo principio, il Pontefice indica i mezzi da adoperarsi per conseguire l’unione. I mezzi sono: a) la giustizia; b) l’amicizia, che spinge i ricchi a compiere non solo i doveri di stretta giustizia, ma anche ad essere generosi del superfluo. E aggiunge che questo dovere dell’elemosina costituisce vera obbligazione morale, avendo la Provvidenza così disposto per fomentare l’unione tra le classi. È stato precisamente questo il disegno della Provvidenza quando ha dato agli uni più che agli altri, sia di talenti, sia di ricchezze, affinché gli uni servissero agli altri distribuendo a beneficio altrui il proprio superfluo, e così tutti vivessero uniti ed amici; c) in terzo luogo, il sentimento della carità cristiana, penetrando anche nelle altre relazioni tra le classi, impregna la vita sociale di quella ordinata soavità che è la perfezione della convivenza umana. Leone XIII è ben lontano dal circoscrivere la questione sociale agli stretti e gretti confini del “do ut facias”. Egli guarda alla questione in modo umano, con quell’ampiezza con cui Nostro Signore Iddio ha fatto tutte le creature per un medesimo fine ultimo, da conseguirsi mediante i molteplici aiuti che si prestano gli uni agli altri quaggiù sulla terra. Nella “Graves de communi”, scritta dieci anni più tardi, nel 1901, Leone XIII dichiarava categoricamente che la questione sociale non si risolve solo con l’aumento del salario, con la diminuzione delle ore di lavoro, e altri analoghi provvedimenti. La pace sociale è frutto della virtù, che solo la Religione può infondere stabilmente.
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– La Chiesa errò quando in passato approvò i regimi monarchico e aristocratico, che favoriscono le disuguaglianze e l’orgoglio di classe e pertanto sono incompatibili con lo spirito evangelico. |
* Per sé la Chiesa considera compatibili con i suoi principi e quindi con lo spirito evangelico i tre regimi, monarchico, aristocratico e democratico. San Tommaso d’Aquino insegna che, come principio, il miglior regime è il monarchico, ma che, date le contingenze umane, il miglior sistema di governo è quello che contiene elementi di ciascuno dei tre regimi (Summa Theologica, Prima Secundae q. CV, a. 1, c. et ad 1.um). |
Spiegazione
La sentenza impugnata fu condannata da S. Pio X nella sua Lettera Apostolica “Notre Charge Apostolique” contro “Le Sillon”, organizzazione di propaganda modernista, capeggiata da Marco Sangnier. In quel documento il S. Padre dichiara che la civiltà cristiana, secondo Leone XIII, è possibile in qualsiasi delle tre forme di governo.
Inoltre la sentenza impugnata deriva dal falso presupposto che Gesù Cristo abbia insegnato la piena eguaglianza tra gli uomini. Tutti i documenti pontifici che trattano di questioni sociali stabiliscono, come base voluta dalla Provvidenza, a disuguaglianza delle classi. Tali, ad es., la “Rerum Novarum”, la “Quadragesimo Anno”, il radiomessaggio del S. Padre per il Natale 1944 ecc.
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– La democrazia cristiana consiste nel governo del popolo, ossia della maggioranza. |
* “Democrazia cristiana” è un’espressione usata per indicare qualsiasi governo che promuova il bene comune sotto la legge di Dio, sia tal governo monarchico, aristocratico o democratico. Questo è l’insegnamento di Leone XIII quando dice che “non deve aver lo scopo di preferire e preparare una forma di governo in sostituzione di un’altra” (“Graves de communi”). La forma democratica di governo è compatibile con la dottrina della Chiesa nella misura in cui significa la partecipazione del popolo agli affari politici. Ma per “popolo” la Chiesa non intende la maggioranza numerica, anorganica, cioè la “massa” bensì tutta la popolazione, con le sue legittime distinzioni di classi, di regioni ecc. … Pertanto la democrazia legittima non è il dominio delle classi più numerose sulle meno numerose, della massa sull’ “élite “, ma il giusto e proporzionato influsso delle classi, famiglie, regioni e gruppi sociali, negli affari politici. |
Spiegazione
La differenza tra la concezione cattolica e la concezione corrente della democrazia procede da una differente maniera di intendere il termine “popolo”. Per la Chiesa il popolo è, in certo senso, il contrario della massa. Dice Pio XII: “Popolo e moltitudine amorfa o, come suol dirsi, “massa” sono due concetti diversi. Il popolo vive e si muove per vita propria, la massa è per sé inerte, e non può essere mossa che dal di fuori. Il popolo vive della pienezza della vita degli uomini che lo compongono, ciascuno dei quali – al proprio posto e nel proprio modo – è una persona consapevole delle proprie responsabilità e delle proprie convinzioni. La massa, invece, aspetta l’impulso dal di fuori, facile trastullo di chiunque ne sfrutti gl’istinti e le impressioni, pronta a seguire, a volta a volta, oggi questa, domani quell’altra bandiera. Dalla esuberanza di vita d’un vero popolo la vita si effonde, abbondante, ricca, nello Stato e in tutti i suoi organi, infondendo in essi, con vigore incessantemente rinnovato, la consapevolezza delle proprie responsabilità, il vero senso del bene comune” (Radiomessaggio natalizio del 1944: Atti e discorsi di S. S. Pio XII, vol. V, ed. cit.).
Orbene, per la generalità dei democratici il popolo è proprio ciò che Pio XII definisce massa. È quel che si deduce dalle parole del Papa gloriosamente regnante:
“Dappertutto oggi, la vita delle nazioni è disgregata per il culto cieco del valore numerico. Il cittadino è elettore; ma come tale, non è di fatto che una delle unità, la cui somma costituisce una maggioranza o minoranza, che può venire invertita dallo spostamento di qualche voto. Di fronte ai partiti, egli non conta che per il suo valore elettorale, per l’apporto che reca il suo voto; del suo posto, del suo compito nella famiglia e nella professione non si tiene conto“ (Allocuzione ai congressisti del Movimento universale per una Confederazione mondiale – “Atti e discorsi ….“ ed. cit. vol. XIII).
Scrivendo sulla democrazia nel senso accettabile della parola, conviene aggiungere che essa non s’indentifica giammai col mito rivoluzionario della sovranità popolare. Ogni potere viene da Dio. Il popolo – e per “popolo” si intenda ciò che sopra è stato definito in opposizione alla “massa” – può solo scegliere coloro che lo governeranno con l’autorità che loro proviene da Dio.
80
– I cattolici devono preferire il Socialismo al Liberalismo. |
* I cattolici non debbono accettare né il Liberalismo né il Socialismo. |