O Legionário, São Paulo, 27 ottobre 1940
di Plinio Corrêa de Oliveira
Si parla molto spesso, e con ragione, dell’amore che il Divino Salvatore dedicò alle anime peccatrici, pentite o meno: a queste ultime, perseguendole con santa ed affettuosa costanza, sino ad ottener da loro una vera corrispondenza alla grazia; a quelle pentite, spalancandogli ampiamente, con divina generosità, le porte del suo Cuore. Intanto, si parla purtroppo molto meno, dell’amore che Nostro Signore Gesù Cristo dedicò alle anime innocenti, dell’estremo zelo con cui difese le pecore fedeli, che mai si allontanarono dall’ovile del Buon Pastore, contro le seduzioni del mondo e gli assalti dei fautori di scandalo.
Uno degli episodi più toccanti del Santo Vangelo è, senza dubbio, quello in cui il Divino Maestro, facendo avvicinare a Se i piccoli, li accarezzò teneramente, e promise il Regno dei Cieli a coloro che gli assomigliassero. Ma chi erano questi piccoli, che Nostro Signore amò con tanta tenerezza, se non altro che i rappresentanti di tutte le anime Innocenti, di ogni età, in tutti i tempi e luoghi, che lo Spirito Santo verrebbe a suscitare nella Chiesa di Dio? E a chi si rivolge quella tremenda minaccia, a cui mai dobbiamo pensare senza timore – che sarebbe meglio per coloro che scandalizzassero uno di quei piccoli, essere gettato in fondo al mare – se non a coloro che cercassero di deviare dal buon cammino le anime innocenti?
Ogni anima innocente è come una provincia prediletta nel Regno di Dio. Per salvare ognuna di queste anime, Nostro Signore Gesù Cristo si incarnò, patì e morì in Croce. Ancorché la Redenzione fosse necessaria per salvare una sola anima, Nostro Signore avrebbe sofferto generosamente tutto ciò che soffrì, per attuare effettivamente tale salvezza.
Così, quindi, il valore di ogni anima innocente equivale a quello del Sangue infinitamente prezioso di Nostro Signore Gesù Cristo. Lanciare nell’abisso del peccato mortale un’anima innocente equivale a sprecare in modo criminale i benefici della Redenzione. Da qui si capisce l’obbrobrio che grava su coloro che con il loro esempio, le loro parole, le loro opere, la loro influenza, trascinano al peccato qualsiasi anima innocente, per quanto ignorante e carente di doti intellettuali sia, posto che il valore dell’anima non va misurato dalla sua cultura, ne dalla sua intelligenza, ma dalle considerazioni fin qui esternate.
Non è minore la responsabilità di coloro che rendono recidive nel peccato le anime penitenti. Per misurare quanto spiace a Dio il cercare di allontanare dal buon cammino le anime sulle quali Egli restaurò il suo Regno, basterà che si leggano le parabole più toccanti del Santo Vangelo. Che cosa direbbe il padre del figlio prodigo, quel padre generoso e buono che accolse con quegli estremi di contentezza il figlio contrito, se dopo il banchetto in cui si celebrò il ritorno dell’infedele, dopo che è stata ristabilita la pace nel focolare ed è stata reinstallata in esso la gioia svanita con l’assenza del figlio ingrato, che cosa direbbe il padre se dopo tutto ciò un perfido amico dei vecchi tempi passasse dalla casa paterna, e con sollecitazioni infami cercasse di trascinarlo di nuovo alla malavita che menava?
Prendiamo adesso la parabola del Buon Pastore. Che cosa direbbe il Buon Pastore, che dà la vita per le sue pecore, se, ritornando dal fondo del precipizio dove era andato a salvare da mille pericoli la pecora smarrita, gli si avvicinasse il lupo per strappargliela dalle braccia? Lui che aveva esposto la sua vita a mille pericoli per salvare la pecorella, non dovrebbe affrontare animosamente il lupo, per difenderla ancora da questo rischio?
Nostro Signore disse che non venne a distruggere il ramo spezzato ne a spegnere la miccia che ancora fuma. Anzi Egli venne a rialzare l’arbusto leso, e riaccendere la miccia che i venti ostili estinsero quasi del tutto. Ma che cosa è un peccatore contrito, che lotta penosamente contro i suoi sensi in ribellione, altro che un arbusto spezzato, che fu rialzato sulla sua base dal Divino Giardiniere, e che, debole ancora, si piega facilmente alla pressione della minore brezza? Quale maggior peccato esisterà, di quello che consiste nello spezzare di nuovo, e forse in modo irrimediabile, l’arbusto che Dio stesso ha affettuosamente risanato? Che cosa è un peccatore contrito, se non una miccia fumante che inizia, lentamente e penosamente, a riaccendersi? Quale cosa ci sarà di più sgradevole a Dio che non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva, che l’azione crudele ed empia di coloro che estinguono volutamente questa miccia, ed uccidono nell’anima ancora convalescente i germogli promettenti di una vita che cominciava a rianimarsi?
Per lo stesso motivo per cui il Salvatore amò il peccatore contrito Gli è sommamente odioso che qualcuno si sforzi a trascinarla nuovamente nella perdizione. Un altro episodio del Vangelo lo dimostra con esuberanza.
Tutti conosco bene la celebre scena del Divino Salvatore, impugnando una frusta e cacciando dal Tempio di Gerusalemme i mercanti che ivi svolgevano un commercio del tutto profano.
Dice la Sacra Teologia che ogni anima è un tempio del Divino Spirito Santo. Far cadere un’anima in peccato è cacciare il Divino Spirito Santo dal tempio che gli fu conquistato dal Prezioso Sangue di Nostro Signore Gesù Cristo, è profanare questo tempio, è trasformarlo, da tempio di Dio, non solo in un luogo profano, ma in tempio di satana.