
“O Legionário”, n. 94, 21 febbraio 1932
En route
di Plinio Corrêa de Oliveira
In uno dei nostri ultimi articoli¹, dedicato alla stupenda opera di J. K. Huysmans, commentavamo il suo libro Là-bas, che è il primo della serie da lui scritta sulla sua dolorosa e interessante evoluzione spirituale, la quale finì per condurlo al vero porto della salvezza, cioè alla Chiesa.
Là-bas, come i lettori certamente ricorderanno, racconta come Huysmans, immergendosi nel satanismo, nelle abominazioni della magia nera, delle messe sacrileghe e delle profanazioni atroci, vide risvegliarsi nella sua anima le prime inquietudini religiose.
Queste inquietudini, che trovarono terreno favorevole in uno spirito d’elezione, profondamente segnato dall’orrore che gli suscitava l’epoca in cui viveva (il XIX secolo) e dalla solitudine che lo circondava sul piano affettivo, andarono crescendo gradualmente d’intensità, fino a determinarlo ad affrontare decisamente il problema religioso.
A questo punto termina Là-bas e comincia En route.
Avvicinato, dagli avvenimenti, a un sacerdote francese intelligente e virtuoso, Huysmans comincia a frequentare le cerimonie religiose cattoliche, le quali suscitarono in lui impressioni indelebili, che ci ha lasciato in pagine magistrali.
Le sue descrizioni della tristezza tenebrosa del De Profundis, delle imprecazioni ardenti del Miserere, della gioia esultante del Magnificat, sono pagine letterarie che glorificano la lingua in cui furono scritte.
Del resto, l’opera di Huysmans costituisce un’applicazione interessantissima del naturalismo a temi religiosi, aspetto che la riempie di originalità.
Dal punto di vista strettamente religioso, interessa soprattutto il nuovo genere di apologetica che Huysmans tentò di instaurare.
Non lo preoccupano gli argomenti filosofici, le dispute scientifiche, nelle quali i sillogismi si affrontano pro o contro la Fede. Già aveva detto il poeta francese che «à force de raisonner, on perd la raison»².
Egli offre una descrizione materiale e oggettiva della Chiesa, attraverso la quale cerca di far risaltare, con inimitabile abilità, i bagliori di soprannaturalità che si sprigionano dalla liturgia magnifica, arricchita da un simbolismo commovente, dal canto gregoriano stupendo, nelle sue imprecazioni veementi, nel tumulto delle sue contrizioni, nell’esplosione dei suoi slanci di fiducia nella Provvidenza divina, nel pianto armonioso dei suoi uffici dei defunti.
Lo colpiscono in modo particolare gli ordini religiosi, nei quali vede, a ragione, la cristallizzazione dello spirito evangelico.
Lo affascinano le penitenze delle carmelitane, le austerità implacabili delle benedettine e delle sacramentine, i rigori delle regole monastiche in generale.
Tra tutte, però, un Ordine attira la sua attenzione per la stupenda bellezza dei suoi principi costitutivi: quello dei Trappisti.
Si decide allora, spinto dai consigli del suo amico sacerdote, a fare un ritiro di alcuni giorni in una lontana Trappa.
Qui comincia la parte più interessante del libro.
È opportuno dire che, alla maniera degli antichi cristiani che proibivano ai pagani di assistere ai sacri misteri, sentiamo il desiderio di vietare la lettura di quanto segue a spiriti increduli, che probabilmente reagiranno di fronte all’incomparabile bellezza morale della vita trappista con il riso stolto o con il motto triviale con cui un ottentotto commenta la complessità – per lui inutile – di un meccanismo moderno, il cui funzionamento supera la sua comprensione.
Secondo il dogma della Comunione dei Santi, la cui accettazione è imposta dalla Chiesa a tutti i fedeli, le sofferenze di un’anima possono essere applicate in espiazione dei peccati di un’altra. Soddisfatta così la Giustizia divina, la Misericordia può spingere il peccatore alla conversione.
Di qui l’importanza degli ordini religiosi che, nella contemplazione di Dio e nella penitenza incessante, rinchiudono (dovremmo dire: seppelliscono) creature umane per tutta una vita in conventi umilissimi, per espiare in tal modo le ignominie del mondo peccatore, e che partecipano pertanto di tutta l’elevazione morale del Santo Sacrificio del Calvario.
È certo che i sibariti, così frequenti nel XX secolo, turbati nei loro piaceri dalla visione di tanta abnegazione e di tanta sofferenza, pretenderanno di qualificare come selvaggeria disumana un simile comportamento.
È certo che, per alcune persone per le quali l’oro è l’unico ideale della vita e che considerano l’uomo esclusivamente in base a ciò che produce, il trappista è un inutile, poiché la sua attività «non rende».
Le loro valutazioni profanano simili argomenti. Meglio sarebbe che tacessero su questioni estranee alla loro comprensione!
Furono tali le considerazioni che occuparono Huysmans nel suo viaggio da Parigi alla Trappa.
La sua impressione, una volta abituatosi alla vita del convento, fu quella di un vero e proprio abbagliamento.
Monaci placidi e austeri, invariabilmente vestiti di bianco, si dedicavano, in una reclusione perpetua, ai lavori manuali e soprattutto alla preghiera e alla penitenza, che consumavano la loro vita. Come letto, una tavola di legno. L’alimentazione, di un rigore estremo, era esattamente quanto bastava per impedire che i monaci si ammalassero gravemente, vittime della fame. Ovunque, il silenzio. Una sola voce parlava: quella della contrizione e della riparazione, espressa attraverso tutti gli atteggiamenti e tutte le azioni.
Le Trappe costituiscono la risposta più magistrale a coloro che affermano che la Chiesa ha perduto la linfa che nutriva i martiri dei primi secoli del Cristianesimo. Se è vero che occorre un eroismo sovrumano per sottoporsi ai tormenti del Colosseo, è altrettanto vero che l’agonia di un’intera vita, trascorsa lentamente tra cilici e mortificazioni, costituisce un tormento che supera tutti, per il rigore e la prova di perseveranza che impone.
Una notte, Huysmans, inquieto, non riusciva a dormire. Si alzò allora e si diresse verso la cappella, che supponeva deserta. Quando entrò, scorse vagamente, attraverso la penombra filtrata dal lucernario di una cupola, le figure bianche dei trappisti, che sottraevano alle loro poche ore di sonno il tempo necessario per nutrire il loro spirito nella preghiera.
Alcuni, curvi nell’umiltà, si prostravano a terra. Altri, come fiamme di candele che si innalzano verso l’alto, ergevano il busto in un atteggiamento di ardente imprecazione, di supplica veemente, che solo la penna di Huysmans riesce a descrivere. Altri, infine, abbattuti dall’enormità dei peccati del mondo che dovevano espiare, gemevano in un Miserere in atteggiamento di profonda contrizione.
Lentamente, il mattino penetra attraverso il lucernario. Le forme bianche precisano il loro contorno, ancora immerse nella dolce chiarità dell’aurora. Infine sorge il sole. Tutti i trappisti si dirigono verso i banchi. Suona la campana e irrompe radioso il Salve Regina.
L’osservazione di tali scene agì profondamente sull’animo di Huysmans, il quale, infine deciso a confessare i suoi peccati, si prostra ai piedi di un trappista, al quale, in profonda contrizione, confida tutte le sue colpe contro Dio e contro gli uomini. Il giorno seguente, fa la Comunione. Compiuta così la sua integrazione nel Cattolicesimo, si ritira dalla Trappa con ricordi imperituri. E En route cede il posto a Oblat.
Note
- Huysmans, “O Legionário”, n. 93, 31-1-1932.
- Traduzione letterale: «A forza di ragionare, si perde la ragione» – nel senso che il modo di ragionare puramente geometrico finisce per deformare lo spirito umano, rendendolo ottuso. N.d.C.