Il nemico da combattere dal Concilio Vaticano II: la Rivoluzione (di Mons. Geraldo de Proença Sigaud, Vescovo di Jacarezinho-Paraná, Brasile)

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Brani scelti dal libro del professore Philippe Roy-Lysencourt, “Les vota préconciliaires des dirigeants du Coetus Internationalis Patrum » (Institut d’Étude du Christianisme », Strasbourg, 2015, pages 51-69 – i neretti sono del nostro sito) :

Mons. Geraldo de Proença Sigaud, futuro segretario del Coetus Internationalis Patrum e uno dei membri più attivi del gruppo, rispose alla richiesta del cardinale Domenico Tardini con un testo datato 22 agosto 1959 [Acta et Documenta Concilio OEcumenico Vaticano II apparando (AD) I, II, VII, p. 180-195]. Il filo conduttore dei suoi vota è un appello generale alla lotta contro-rivoluzionaria, riguardo alla quale riteneva che il Concilio dovesse presentare un piano d’azione concreto. I suoi vota erano preceduti dalle seguenti parole, indirizzate al cardinale Tardini:

“Eminentissimo Signore,

in conformità con la Sua lettera del 18 giugno [1959], nella quale mi chiede la mia opinione sugli argomenti da trattare nel prossimo concilio ecumenico, Le scrivo la presente lettera. Presenterò con umiltà e modestia alcuni punti che per me sono di grande importanza, ma senza l’intenzione di accusare nessuno né di sottoporre a critica i miei Superiori. Non parlerò di questioni dogmatiche o giuridiche. Altri vescovi ne tratteranno sicuramente.

Affronterò questioni pratiche e fondamentali per il futuro della Chiesa, e vi prego di considerarle con benevolenza.”

I vota di Mons. de Proença Sigaud sono presentati in modo molto strutturato. Dopo un’introduzione, comprendono sei parti intitolate: «I. Il nostro nemico»; «II. La lotta cattolica contro questo nemico»; «III. La strategia del cavallo di Troia»; «IV. Difficoltà interne»; «V. La lotta controrivoluzionaria»; «VI. Epilogo». (…)

Nella sua introduzione, Monsignor de Proença Sigaud si dichiarava pieno di angoscia nel considerare il cattolicesimo, poiché vedeva i principi dello spirito rivoluzionario invadere il clero e il popolo cristiano. Mentre molti ecclesiastici non percepivano più gli errori della Rivoluzione e non le opponevano alcuna resistenza, altri la propagavano e attaccavano coloro che la combattevano.

De Proença Sigaud deplorava il silenzio di un gran numero di pastori, mentre altri abbracciavano apertamente, o in modo più occulto, gli errori e lo spirito rivoluzionario.

Quanto a coloro che denunciavano questi errori e li combattevano, erano perseguitati dai loro colleghi e trattati da «integralisti». Denunciava il fatto che i seminaristi uscivano dai seminari, anche da Roma, con la testa piena di idee rivoluzionarie e si definissero «maritainisti», «discepoli di Teilhard de Chardin», «socialisti cattolici» o «evoluzionisti».

Egli constatava: «Raramente il sacerdote che combatte la Rivoluzione viene elevato all’episcopato; spesso quelli che la favoriscono».

Secondo lui, la Chiesa doveva quindi organizzare «una lotta sistematica contro la rivoluzione» su scala mondiale e, per questo, il Concilio doveva considerare lo stato della Chiesa e studiare il nemico con molta attenzione:

“A mio modesto parere, se il Concilio vuole avere effetti salutari, deve prima considerare lo stato attuale della Chiesa che, a immagine di Cristo, sta vivendo un nuovo Venerdì Santo, consegnata indifesa ai suoi nemici, come diceva Papa Pio XII ai giovani d’Italia. Bisogna vedere la lotta all’ultimo sangue che viene condotta contro la Chiesa in tutti i campi, conoscere il nemico, discernere la strategia e la tattica della lotta, vedere chiaramente la sua logica, la sua psicologia e la sua dinamica, affinché possiamo comprendere con certezza ciascuna delle battaglie di questa guerra, organizzare e condurre in tutta sicurezza la guerra opposta.”

IL NEMICO DA COMBATTERE: LA RIVOLUZIONE

Monsignor Geraldo de Proença Sigaud presentava la Rivoluzione come il nemico implacabile della Chiesa da sei secoli, che cercava di distruggere la città di Dio per fondare la città dell’uomo.

Egli affermava che essa perseguiva il seguente obiettivo: «Costruire l’intero ordine della vita umana, della società e dell’umanità, senza Dio, senza Chiesa, senza Cristo, senza Rivelazione, basandosi esclusivamente sulla ragione umana, sulla sensualità, sull’avidità e sull’orgoglio». Aggiungeva: «Per questo è necessario abbattere radicalmente la Chiesa, distruggerla, sostituirla.» Secondo lui, mentre il nemico era certo della sua imminente vittoria, i cattolici erano ciechi e non volevano vedere il pericolo. (…)

Secondo monsignor de Proença Sigaud, lo sguardo del Concilio doveva essere rivolto alla massoneria, denunciata da Clemente XII (1730-1740) come la «forza centrale» della guerra contro la «società cattolica». (…)

Il prelato brasiliano si indignava per il silenzio della Chiesa sulla massoneria da un certo tempo.

Per quanto riguarda il comunismo, monsignor de Proença Sigaud affermava che il suo obiettivo era lo stesso della massoneria, ma che esso attaccava un’altra classe sociale: «La setta massonica riunisce i “borghesi”; il comunismo riunisce i “proletari”. L’obiettivo di entrambi è lo stesso: una società socialista, razionalista, senza Dio e senza Cristo”. (…)

Il vescovo di Jacarezinho ha continuato presentando il comportamento che, secondo lui, era opportuno adottare di fronte a questa situazione: «Da qui un odio? No! Ma la vigilanza, la lucidità mentale, una lotta sistematica e metodica da condurre contro la lotta sistematica e metodica di questo «uomo nemico», la cui arma segreta è «il fermento dei farisei, che è l’ipocrisia».

Infine, secondo monsignor de Proença Sigaud, il Concilio doveva soffermarsi sulla Rivoluzione, il cui processo era iniziato alla fine del Medioevo, si era sviluppato con il Rinascimento, la pseudo Riforma, la Rivoluzione francese, con l’attacco contro gli Stati Pontifici, la secolarizzazione dei beni religiosi, con il modernismo e, infine, con il comunismo. Il prelato precisava che la grande forza di questo processo rivoluzionario, guidato da un governo centrale che era lo strumento di Satana stesso, risiedeva nell’uso delle passioni umane:

La Rivoluzione impiega due vizi come forze distruttrici della società cattolica e costruttrici della società atea: la sensualità e l’orgoglio. Queste passioni disordinate e veementi sono dirette in modo scientifico verso un obiettivo preciso e si sottomettono alla disciplina ferrea dei suoi capi, per distruggere completamente la città di Dio e costruire la città dell’uomo. Accettano la tirannia totalitaria stessa, tollerano la povertà al fine di edificare l’Ordine dell’Anticristo.”

Il vescovo di Jacarezinho passava poi alla lotta cattolica contro questo nemico, enunciando alcuni principi e chiedendo la pubblicazione di un nuovo Sillabo. (…)

4. IL CAVALLO DI TROIA NELLA CHIESA

In questa parte, Monsignor de Proença Sigaud esaminava le idee perniciose e alcuni dei loro veicoli che si erano introdotti tra i cattolici. Innanzitutto, presentava la dottrina del male minore come un cavallo di Troia che spesso spezzava la resistenza cattolica:

“Tra le molteplici forme con cui la Rivoluzione penetra surrettiziamente nella cittadella cattolica, spicca la tattica del «male minore». Essa è, in questa lotta, ciò che fu il famoso cavallo nella guerra di Troia. La dottrina cattolica insegna: se non possiamo evitare il male, possiamo permettere un male minore, per evitare un male maggiore, purché non facciamo il male in modo positivo. In pratica, la resistenza cattolica spesso cede sotto questo pretesto.”

Secondo monsignor de Proença Sigaud, alcuni cattolici consideravano il male minore come un piccolo male che non giustificava la lotta, mentre altri pensavano che la lotta danneggiasse la Chiesa e, con il pretesto della carità e dell’abilità apostolica, permettevano il male senza lottare.

Il prelato ricordava che il male minore era sempre un male e dava, a questo proposito, l’esempio della separazione tra Chiesa e Stato, nonché il permesso del divorzio per i non cattolici.

La seconda idea perniciosa denunciata dal vescovo di Jacarezinho era lo spirito di compromesso con i non cattolici, «seconda porta segreta attraverso la quale il nemico penetra nella cittadella cattolica».

Secondo lui, il Concilio doveva quindi ricordare:

1) che non era permesso alcun accomodamento quando si trattava di principi;

2) che anche quando i principi venivano mantenuti, un accomodamento con il mondo poteva essere pernicioso per la causa cattolica a causa dello scandalo che poteva generare;

3) che, se una mancanza di compromesso poteva irritare i nemici, ciò non era necessariamente un male e poteva invece trasformarsi in un grande bene. (…)

Riteneva inoltre che il principio generalizzato di una cooperazione con i non cattolici potesse essere molto dannoso per la causa cattolica. Sosteneva che, se la Chiesa poteva trarre qualche beneficio da una collaborazione puntuale, una collaborazione generalizzata era impossibile a causa di una divergenza troppo grande a livello di principi, fini e spirito: «Da un contatto i non cattolici guadagnano poco, i cattolici perdono molto

D’altra parte, monsignor de Proença Sigaud denunciava l’illusione della «buona fede», a proposito della quale scriveva:

Molti mali entrano nel campo cattolico a causa del mito della «buona fede», soprattutto perché incarichi di grande importanza vengono affidati a persone la cui fedeltà non è accertata. Certo, in tempo di pace, «nessuno è cattivo a meno che non sia provato». Ma quando la città è assediata, nessuno è adatto a difendere posizioni pericolose a meno che la sua fedeltà non sia provata.

Il vescovo di Jacarezinho concludeva questa parte denunciando i veicoli della corruzione, ovvero i balli, le mode, i concorsi di bellezza, il cinema, l’educazione cinematografica impartita dall’Azione Cattolica, la critica cinematografica e i libri. (…)

I LIBRI – Dopo aver sottolineato l’utilità delle condanne pronunciate dal Sant’Uffizio, dopo aver deplorato che talvolta fossero arrivate troppo tardi, Mons. de Proença Sigaud insisteva sulla necessità di condannare Jacques Maritain:

I suoi errori hanno causato, soprattutto in America Latina, danni molto gravi alla Chiesa. Il giovane clero ne è infestato. I danni causati dagli errori del partito della «democrazia cristiana» derivano dalle idee di Maritain. Si dice che le agitazioni politiche in America siano opera dei suoi discepoli. I cattolici dicono: il Vaticano approva Maritain, poiché è stato ambasciatore di Francia presso la Santa Sede. Alcuni vescovi si definiscono «maritainisti». Nelle università cattoliche brasiliane le sue dottrine dominano; Roma tuttavia tace. I politici agiscono secondo il principio: la Rivoluzione [francese] è stata sbagliata nel metodo, ma è buona in sé. Aderiamo sinceramente ad essa. Facciamo la Rivoluzione, noi cattolici, prima che la facciano i comunisti.”

5. DIFFICOLTÀ INTERNE ALLA CHIESA

In questa parte, il vescovo brasiliano si sofferma su due difficoltà interne alla Chiesa che favoriscono il processo rivoluzionario, ovvero la stagnazione della scolastica e il naturalismo pedagogico. (…)

Secondo lui [Mons. de Proença Sigaud], era anche necessario sviluppare, tra i cattolici, l’abitudine alle discussioni e alle polemiche:

Per favorire l’influenza della Chiesa e della dottrina cattolica, occorre promuovere l’abitudine al dibattito e alla polemica sulle questioni controverse. Non ci sarà interesse per le questioni certe se non c’è stato interesse per quelle controverse. Naturalmente, occorre fare in modo che la forma sia improntata alla carità. Ma la discussione è necessaria, e persino vitale, affinché nasca l’amore per la verità. I comunisti hanno sperimentato questa tecnica delle discussioni in modo scientifico. Il popolo deve discutere per acquisire l’abitudine al pensiero e l’amore per la dottrina.”

Anche il vescovo di Jacarezinho denunciava il naturalismo pedagogico. Deplorava che l’influenza di Jean-Jacques Rousseau si facesse sentire anche tra i cattolici, molti dei quali avevano una concezione errata dell’autorità paterna e della natura del bambino. Monsignor de Proença Sigaud insisteva in particolar e su due punti:

1) l’innocenza dei bambini che, nelle questioni relative alla sessualità, doveva essere preservata per quanto possibile, pur ammettendo la necessità di trasmettere loro rapidamente l’integrità delle idee e dei principi sull’argomento;

2) la natura viziata del bambino, che non doveva essere lasciato in balia dei propri appetiti con il pretesto di evitare complessi.

6. PRINCIPI PER UNA LOTTA CONTRO-RIVOLUZIONARIA

Nella sua ultima parte, il vescovo di Jacarezinho presentava alcuni principi per una lotta controrivoluzionaria, soffermandosi in particolare su alcune dottrine e sull’atteggiamento che la Chiesa doveva avere nei loro confronti. Secondo lui, proprio come la cospirazione rivoluzionaria, anche la lotta controrivoluzionaria doveva essere organizzata in modo strategico sotto la guida della Santa Sede. Per spiegare il suo pensiero, monsignor de Proença Sigaud portava l’esempio dell’organizzazione comunista e mostrava in che modo la Chiesa avrebbe dovuto ispirarsi ad essa:

“(…) Mi sembra che debbano essere creati una strategia cattolica e un centro di lotta controrivoluzionaria metodica in tutto il mondo, e che i cattolici debbano essere chiamati a farne parte. Allora ci sarebbe la speranza dell’alba di un mondo veramente migliore. È legittimo che sia la Santa Sede stessa a guidare questa «offensiva». Gli elementi che, nel clero e nel laicato, hanno già dato prova di sé nella lotta controrivoluzionaria dovrebbero formare il “Capitolo” di questo esercito. Bisognerebbe creare una vera e propria scienza della guerra controrivoluzionaria, così come esiste una scienza della rivoluzione.”

Secondo monsignor de Proença Sigaud, la ricostruzione della società cattolica «non significa correggere difetti parziali, ma quasi una nuova creazione».

Egli riteneva che la Santa Sede fosse sufficientemente potente per fermare la Rivoluzione e instaurare il regno del Sacro Cuore:

«Il potere della Santa Sede è immenso. Se convocasse i fedeli e li guidasse, per questa prova, in modo energico, chiaro, metodico, attraverso una vera e propria lotta mondiale, sotto la guida del Pontefice Romano, la marcia trionfale della Rivoluzione sarebbe fermata e il Regno del Sacro Cuore di Gesù instaurato. “Ricapitolare tutto in Cristo.” (…)

Monsignor de Proença Sigaud insisteva inoltre sul fatto che non era possibile alcuna coesistenza o cooperazione tra la Chiesa e il comunismo:

«L’opposizione del comunismo alla Chiesa cattolica è essenziale, radicale, perpetua, totale». Se il comunismo faceva una tregua con la Chiesa, era per colpirla meglio. (…)

Secondo il vescovo di Jacarezinho, la forza segreta del comunismo risiedeva nel suo odio per Cristo e la sua forza di attrazione nell’utopia socialista che prometteva un paradiso in terra: «Senza Dio: libertà. Senza re né padre: uguaglianza. Senza proprietà né classi sociali: fraternità.» Questa utopia era facilmente abbracciata dai cattolici, che ritenevano che la Chiesa primitiva fosse socialista. Per monsignor de Proença Sigaud, la solenne condanna di questa chimera da parte del Concilio era necessaria, perché la vita sulla terra non doveva essere paradisiaca, perché il paradiso socialista non sarebbe mai arrivato, perché le diverse classi sociali ed economiche erano essenziali per la normale vita della società e perché il socialismo educava all’odio delle virtù cristiane quali l’umiltà, la carità, la povertà e la castità.

Infine, il futuro segretario del Coetus Internationalis Patrum deplorava la crescente ingerenza dello Stato nella vita degli individui e dei gruppi. Se queste incursioni erano spesso rese necessarie dalla dissoluzione della vita collettiva, distrutta dal liberalismo, la Chiesa, secondo lui, doveva ammetterle solo come straordinarie, anomale, transitorie e da abolire il prima possibile. Egli faceva notare che la soluzione alle difficoltà era spesso ricercata nello Stato e nella trasformazione delle istituzioni tradizionali e naturali, mentre tali difficoltà derivavano in genere dai costumi corrotti. Ora, per correggere tali costumi era necessaria la religione cattolica. Concludeva quindi che la soluzione alle difficoltà non si trovava nelle conferenze internazionali, ma nella ricristianizzazione dei costumi. Aggiungeva: «Se Dio e il suo Cristo fossero posti alla base della vita individuale, familiare e nazionale, anche le cose della natura, che dovrebbero essere aiutate dall’intelligenza e dall’umile buona volontà umana, troverebbero le loro soluzioni connaturali».

7. PROGRAMMA POSITIVO DI AZIONE CONTRO-RIVOLUZIONARIA

Monsignor de Proença Sigaud concludeva i suoi voti preconciliari con un epilogo in cui iniziava respingendo l’ideologia sostenuta da alcuni cattolici, secondo cui una nuova umanità sarebbe stata sul punto di nascere e avrebbe potuto affrancarsi dal diritto naturale e dalla morale. (…)

Secondo lui, se il Concilio avesse chiamato i cattolici all’azione controrivoluzionaria e all’edificazione della cristianità, con un programma concreto, questa iniziativa avrebbe avuto successo:

«Se il Concilio ecumenico presentasse un programma positivo di azione controrivoluzionaria e di edificazione della cristianità, con le sue parti concrete, e se chiamasse i cattolici a questa opera, penso che verrebbe l’alba del Regno del Sacro Cuore di Gesù e del Cuore Immacolato di Maria».

La prospettiva adottata dal vescovo di Jacarezinho nei suoi voti è diversa da quella degli altri futuri membri del CIP, i cui testi sono stati presentati in precedenza [di Mons. Marcel Lefebvre e di Mons. Luigi Maria Carli]. (…)

La lotta contro-rivoluzionaria era al centro delle preoccupazioni del prelato. Insieme a Mons. Antonio de Castro Mayer, al professor Plinio Corrêa de Oliveira e ad altri, combatteva la Rivoluzione in Brasile da diversi anni, in particolare nelle riviste O Legionário e Catolicismo (*). Ne parleremo nel prossimo capitolo, dopo la presentazione dei voti di Mons. de Castro Mayer, che seguono la stessa logica di quelli di Mons. de Proença Sigaud.

(*) Philippe ROY-LYSENCOURT, Le Coetus Internationalis Patrum, un groupe d’opposants au sein du concile Vatican II, thèse de doctorat en cotutelle, Faculté de théologie et de sciences religieuses de l’Université Laval, Département d’histoire de la Faculté des Lettres et Civilisations de l’Université Jean Moulin Lyon 3, 2011, p. 261-271. Attraverso lo stesso link è possibile consultare i “voti” degli altri quattro membri principali del “Coetus” (di Mons. Marcel Lefebvre, Mons. Luigi Carli, di Dom Jean Prou e di mons. Antonio de Castro Mayer).

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