L’uguaglianza dei punti di partenza, ecco l’ingiustizia

Folha de S. Paulo, 11-12-1968. Versione italiana pubblicata su Tradizione Famiglia Proprietà, Roma, anno 7, n° 2, giugno 2001

Da tutte le parti sento dire che la giustizia imporrebbe che, al punto di partenza della vita, tutti avessero le stesse opportunità. L’educazione dovrebbe perciò essere uguale per tutti, come pure il curriculum delle diverse professioni. Chi avesse più capacità, finirebbe fatalmente con l’emergere. Il merito troverebbe stimolo e ricompensa. E la giustizia – finalmente! – regnerebbe sulla terra.

Questa opinione assume talvolta sfumature “cristiane” (e qual è la sciocchezza che non tenta oggi di mascherarsi da “cristiana”?). Alla fine, dicono, Dio premierà tutti gli uomini secondo i loro meriti, a prescindere dalla culla. Nella prospettiva della giustizia divina, di fronte all’eternità, ci sarebbe dunque una negazione del valore dei punti di partenza. Sarebbe pertanto lodevole, degno, cristiano, organizzare l’esistenza terrena secondo i canoni della giustizia divina, facendo sì che i vantaggi della vita terrena siano nella stessa misura alla portata di tutti, affinché ne possano usufruire i più capaci.

Prima di analizzare questo principio in se stesso, vediamo alcune delle sue applicazioni concrete.

Certi imprenditori, per esempio, ritengono che il carattere ereditario dell’azienda sia un privilegio antipatico. I loro figli non saranno proprietari per diritto di successione. Entreranno a farne parte come semplici dipendenti, svolgendo le mansioni più modeste. Per giungere ai livelli manageriali, dovranno farsi strada da soli.

Ci sono poi famiglie facoltose e di buona formazione che, tuttavia, considerano un imperativo di giustizia l’istituzione di un modello omogeneo di scuola elementare e media, con la conseguente soppressione o riforma di tutte le istituzioni scolastiche che trasgrediscano questo modello.

Non sono rare le persone che, avendo costituito un certo patrimonio, hanno tuttavia un rimorso di coscienza nel trasmetterlo ai figli. Le tormenta l’idea che essi possano ipso facto profittare di un privilegio antipatico ed ingiusto, acquisendo beni che non provengono dal loro lavoro né dal loro merito personale.

Così la dottrina dell’uguaglianza obbligatoria dei punti di partenza sfocia in conseguenze che possono devastare il regime di proprietà privata.

Prima di proseguire, occorre far notare alcune allegre contraddizioni in cui cadono i difensori di queste idee. Fanatici del merito come unico criterio di giustizia, tuttavia promuovono nelle scuole la pedagogia moderna, ostile al sistema di premi e castighi, ritenuti perniciosi in quanto fonte di complessi. In questo modo, l’idea di merito e il suo necessario corollario, cioè l’idea di colpa, vengono cancellate dall’educazione dei futuri cittadini della civiltà fondata appunto sul merito.

D’altra parte, gli stessi fanatici del merito sono spesso favorevoli a cimiteri con tombe uguali per tutti. In questo modo, alla fine d’una esistenza organizzata esclusivamente secondo il criterio del merito individuale, e alle soglie d’una vita eterna felice o infelice a seconda del merito o della colpa, viene cancellato qualsiasi riconoscimento del merito. Tombe rigorosamente uguali per l’insigne cattedratico e per l’uomo comune, per colui che ha governato popoli e per colui che si è curato appena della propria esistenza, per la vittima innocente e per l’infame assassino, per il fautore di scismi e di eresie e per l’eroi che è vissuto e morto in difesa della Fede.

Come spiegare che questi fanatici possano, allo stesso tempo, divinizzare il merito e negarlo così radicalmente?

Però, la più stupefacente contraddizione di questi partigiani dell’uguaglianza dei punti di partenza si palesa quando si proclamano anche difensori della famiglia. Questa è, in effetti, in mille modi la più energica negazione dell’uguaglianza dei punti di partenza. Vediamo perché.

Esiste un fatto naturale, misterioso e sacro, intimamente associato alla famiglia: l’eredità biologica. È innegabile che, in questo campo, alcune famiglie sono più dotate di altre, indipendente dal livello di assistenza sanitaria di cui abbiano goduto. E questa eredità biologica produce importanti riflessi di ordine psicologico. Per esempio, ci sono famiglie che si trasmettono di generazione in generazione uno spiccato senso artistico, o una grande facilità di parola, o un acuto senso medico, o uno speciale fiuto per gli affari. La stessa natura – e quindi Dio che ne è l’Autore – infrange, attraverso la famiglia, l’uguaglianza dei punti di partenza.

Ma la famiglia non trasmette solo doti biologici e psicologici. Essa è un’istituzione educativa, anzi, per l’ordine naturale delle cose, è la prima delle istituzioni educative e formative. Un figlio educato da genitori altamente dotati – dal punto di vista del talento, della cultura, delle belle maniere o, soprattutto, della moralità – avrà ipso facto un punto di partenza superiore. L’unico modo di evitare questo sarebbe sopprimere la famiglia ed educare tutti i figli in scuole statali ugualitarie, secondo il modello comunista.

Esiste dunque una disuguaglianza ereditaria più importante di quella del patrimonio derivante, direttamente e necessariamente, dalla propria esistenza della famiglia.

E l’eredità del patrimonio? Si un padre ha veramente un cuore paterno, egli per forza amerà più degli altri suo figlio, carne della sua carne e sangue del suo sangue. Egli agirà secondo l’ordine naturale e la legge cristiana se non risparmierà sforzi, sacrifici né abnegazioni per accumulare un patrimonio che possa mettere suo figlio al riparo delle tante sfortune che la vita può comportare. Questo lodevole affanno lo porterà a produrre molto di più di quello che avrebbe prodotto se non avessi avuto figli. Alla fine d’una vita di lavoro, quest’uomo potrà morire in pace, conscio di lasciare i figli nelle migliori condizioni per affrontare la vita.

Immaginiamo, però, che subito dopo la morte del padre arrivi lo Stato e, in nome della legge, confischi l’eredità per imporre il principio dell’uguaglianza dei punti di partenza. Questa imposizione non costituisce una frode nei confronti del morto? Essa non calpesta forse uno dei valori più sacri della famiglia, un valore senza il quale la famiglia non è famiglia e la vita non è vita, e cioè l’amore paterno? Sì, l’amore paterno che si strugge per offrire protezione e assistenza al figlio, indipendente dal merito, semplicemente perché è figlio.

E questo vero crimine contro l’amore paterno, cioè la soppressione dell’eredità, può essere compiuto in nome della Religione e della Giustizia?

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