L’autodemolizione della Chiesa, fattore capitale della demolizione del Cile

Manifesto dalla TFP cilena (Sociedad Chilena de Defensa de la Tradición, Familia y Propiedad)23 febbraio 1973

(Dal sito dell’Associazione italiana Tradizione, Famiglia, Proprietà)

Indice

Introduzione

I – La debolezza dei cattolici, causa determinante dell’avanzata comunista

II – Preti, socialismo e miseria

  1. Prima delle elezioni presidenziali del 1970
  2. Prima della elezione del Presidente da parte del congresso
  3. Con Allende al potere
  4. La contraddizione rivelatrice del progressismo

III – Al di sopra dei preti, l’Episcopato

  1. Prima della elezione presidenziali del 1970
  2. Prima della elezione del presidente da parte del Congresso Nazionale
  3. Con Allende al potere

IV – Alla guida dell’Episcopato, il Cardinale arcivescovo di Santiago

Interventismo clericale per impedire lo scontro legale di opinioni?

V – La Santa Sede

“Dite una sola parola e la nostra patria sarà salva!”

Conclusione

*     *     *

Introduzione

Si è detto ripetutamente che la competizione elettorale di marzo (1) sarà, a causa delle condizioni in cui vive il paese, una delle più importanti della nostra storia. Indubbiamente, vasti settori della opinione pubblica, pervasi da un certo senso di frustrazione di fronte alle alternanze della politica nazionale durante questi due ultimi anni, si chiedono: «Anche nel caso che il risultato delle elezioni si riveli sfavorevole al governo, questo risultato cambierà da solo la rotta della nazione?».

È una domanda che si fonda su gravi ragioni, dal momento che, infatti, vi sono fattori decisivi, la cui azione potente ammortizza e quasi paralizza la capacità di reazione della maggioranza anticomunista del popolo cileno.

La Sociedad Chilena de Defensa de la Tradición, Familia y Propiedad – TFP (2) considera un ineludibile dovere di coscienza mettere in evidenza il più importante di questi fattori, per richiamare su di essi l’attenzione della opinione pubblica, e così neutralizzare la funesta azione che potrebbero svolgere nei prossimi avvenimenti.

I – La debolezza dei cattolici, causa determinante dell’avanzata comunista

È necessario rendersi conto che la causa determinante dell’avanzata comunista non sta tanto nel Partito Comunista in quanto tale e nelle forze politiche a esso simili, ma piuttosto nella infiltrazione delle idee di sinistra negli ambienti cattolici, e nella conseguente relativizzazione della dottrina della Chiesa nella coscienza di un gran numero di nostri compatrioti. Per questa ragione, la TFP, nel corso degli ultimi anni, ha concentrato principalmente la sua azione nella denuncia e nella lotta contro tale infiltrazione, specialmente nel clero.

Questa affermazione si rivela particolarmente vera, se si tiene conto del processo di “autodemolizione” che si svolge all’interno della Chiesa e al quale ha fatto riferimento Paolo VI (3).

Infatti, la mentalità e il tipo di azione che si vanno sviluppando all’interno della Chiesa per produrre questa autodemolizione, contagiano a poco a poco la società temporale in modo tale che gli autodemolitori della Chiesa, agendo nella sfera civile, si comportano come demolitori dello Stato.

Ora più che mai, si rende imprescindibile mettere a nudo questo aspetto essenziale della nostra attuale realtà ideologica e politica.

Il Cile è un paese fondamentalmente cattolico (4). Il suo destino dipende in gran parte dalla posizione che i fedeli assumeranno di fronte a un fondamentale problema di coscienza, acuito in loro dalle sollecitazioni cui sono sottoposti, tanto da parte di una propaganda comunista ininterrotta, quanto dal cattivo esempio permanente del sinistrismo cattolico. Tale problema può essere formuIato in questi termini: «È lecito ai cattolici appoggiare candidati o governi marxsti?».

Il comunismo può ottenere vittorie decisive soltanto se riesce ad avere l’appoggio di un numero considerevole di cattolici e a fare sì che la maggioranza — anche se non lo appoggia — desista dal combatterlo con intransigenza, perché è giunta a ignorare o a relativizzare gli argomenti che la dottrina cattolica le presenta in proposito. Il fatto è stato provato con una chiarezza meridiana dalle elezioni presidenziali del 1970 (5).

Il carattere gerarchico della sacrosanta struttura della Chiesa e la enorme influenza che, secondo l’ordine naturale delle cose, è proprio del clero esercitare sui fedeli, fanno sì che l’atteggiamento dei cattolici di fronte al problema sopra presentato dipenda, al massimo grado, dalla posizione che assumono al riguardo i vescovi e i sacerdoti.

Se ne ha un esempio caratteristico a proposito della Democrazia Cristiana.

La DC infatti ebbe una parte decisiva, remota e prossima, nella ascesa di Allende al potere. Remota, per la politica di sinistra che svolse durante il governo di Frei, come lucidamente aveva dimostrato – senza essere confutato – l‘avvocato e scrittore brasiliano Fabio Vidigal Xavier da Silveira nel suo libro «Frei, il Kerensky cileno» (6); prossima, quando il Congresso Nazionale, il 24 ottobre 1970, riunito in seduta plenaria dovette scegliere, secondo il dettato costituzionale, tra i candidati che avevano ottenuto le due più alte percentuali relative nella consultazione popolare, e i parlamentari della DC scelsero di votare per Allende. Orbene, è inammissibile che un partito che si dice cristiano e che conquista la maggior parte dei suoi elettori, perché questi immaginano, seguendo il partito, di seguire la voce della Chiesa, abbia preso un tale orientamento senza che I’episcopato abbia avuto in proposito una grande responsabilità.

Costituisce quindi un fatto storico che l’atteggiamento del clero cileno, considerato nel suo insieme, ha avuto e ha una parte preponderante nel processo di spostamento a sinistra del Cile, processo che ha portato il marxismo al potere e ve lo sostiene. La cosa si vedrà ancora più chiaramente dopo la elencazione di fatti e di date che di seguito presentiamo.

II – Preti, socialismo e miseria

  1. Prima delle elezioni presidenziali del 1970

Nella misura in cui la campagna presidenziale avanzava, davano il loro appoggio alla candidatura marxista di Allende gruppi di cattolici che, benché numericamente non rappresentassero gran cosa – come Iglesia Joven, il MAPU (7), settori sudenteschi della Università Cattolica, ecc. – servono a far credere a molti cattolici che era lecito appoggiare un candidato marxista. Questi gruppi erano guidati da sacerdoti che facevano frequenti dichiarazioni e comparse in pubblico di aperto appoggio al marxismo.

Tale il caso, ad esempio, del padre Fernando Ugarte, – oggi apostata – che, come fu ampiamente riferito dalla stampa e dalla TV nelle diverse occasioni, si presentava spesso sul palco insieme ad Allende durante i suoi comizi; o del padre Hernan Larraín S. J., direttore della rivista Mensaje, che dichiarò alla televisione: “Non vedo nessuna ragione che possa impedire a un cristiano di votare per un marxista”, affermazione che il quotidiano El Siglo, organo ufficiale dei Partito Comunista, si affrettò naturalmente a pubblicare con risalto (8); o del padre Juan Ochagavia, decano della facoltà di teologia dell’Università Cattolica e attuale provinciale dei gesuiti, che faceva parte della delegazione di professori universitari della stessa università in visita a Cuba, e che, al ritorno, portò materiale di propaganda del regime castrista, in seguito trasmesso sul canale 13 della TV della Università Cattolica (9).

L‘adesione clericale al marxismo e la sua impunità da parte della Gerarchia giunsero al punto che, a Santiago, nella chiesa di Santa Caterina, situata nel quartiere Salvador Cruz Gana, si svolse una pubblica manifestazione di omaggio a Lenin, presieduta insieme dal parroco e dal dirigente locale del PC. Il fatto fu anticipatamente annunciato dal quotidiano El Siglo (10).

Questi e numerosi altri atteggiamenti clericali a favore del marxismo – così numerosi che non possiamo citarli tutti senza dare a questo manifesto una ampiezza eccessiva, ma a proposito dei quali abbiamo a disposizione una vasta documentazione – furono riferiti da giornali delle più varie sfumature ideologiche e ampiamente sfruttati dalla stampa di sinistra per confondere l’elettorato cattolico.

Tuttavia, ciò che più attirò l’attenzione del pubblico fu forse l’assoluto mutismo dei sacerdoti conservatori nella loro generalità – e quasi senza eccezione – durante la campagna presidenziale, nel corso della quale perfino le voci più autorevoli del clero anticomunista si mantennero in silenzio.

  1. Prima della elezione del Presidente da parte del congressonazionale (11)

In consonanza con questi precedenti, quando Allende fu eletto, l’euforia progressista si manifestò in innumerevoli occasioni. Ne ricordiamo qualcuna:

– Il padre Manuel Segura, allora provinciale della  Compagnia di Gesù, indirizzò una lettera a tutti i gesuiti chiamandoli a collaborare con il programma della UP (12). Da essa traiamo alcuni brani: “Il programma di Unidad Popular, noto a tutti voi, fissa alcune mete che potremmo considerare come autenticamente cristiane […] Deve essere per noi motivo di allegrezza profonda, il fatto che il gruppo che ha ottenuto la maggioranza alle elezioni prometta di lavorare per il popolo e per i poveri […] Il nostro atteggiamento sincero deve essere di leale collaborazione in tutto ciò che  significhi il bene dei poveri e nella creazione di una società più giusta. Non dobbiamo in nessun modo apparire come alleati di coloro che si oppongono a queste trasformazioni, molte volte in difesa dei loro interessi personali… ” (13).

– L‘associazione Iglesia Joven, i cui membri avevano occupato nel 1968 la cattedrale di Santiago, creando uno scandalo che ebbe ripercussione mondiale, diede pubblicamente la sua “adesione sincera” ad Allende (14).

– Da parte loro, organismi dipendenti dalla Gerarchia, come il movimento operaio di Azione Cattolica e l’Azione  Cattolica Contadina, manifestarono calorosamente il loro appoggio ad Allende (15).

  1. Con Allende al potere

Durante i due anni e più trascorsi dal 4 novembre 1970, la simpatia o la adesione al marxismo da parte di sacerdoti e laici cattolici, come pure da parte di istituzioni dipendenti dalla Chiesa, è stata costante. Di seguito citiamo alcuni fatti tra i più caratteristici:

– Il 14 aprile 1971, ottanta sacerdoti pubblicarono una  dichiarazione che auspicava la collaborazione con il marxismo (16). Alla loro presa di posizione aderirono pubblicamente diversi professori di teologia della università Cattolica di Santiago (17).

– L‘intima collaborazione del progressismo con il regime marxista (18) è un fatto confessato da elementi dello stesso clero. Infatti, il Centro Bellarmino, dei gesuiti, noto organismo ecclesiastico (19), pubblicò i seguenti risultati di una inchiesta organizzata dal padre Renato Poblete e da un gruppo di  tecnici: il 37% dei sacerdoti intervistati, benchè dicessero di rifiutarne la dottrina, si mostrarono favorevoli al dialogo con il marxismo; il 53% si espresse a favore di una collaborazione amichevole con il marxismo, benchè dichiarasse di avere delle divergenze che sarebbe stato necessario tenere presenti (20).

-120 sacerdoti ebbero un incontro con Fidel Castro, a  Santiago, quando questi visitò il Cile nel novembre del 1971. La febbre di entusiasmo marxista in diversi settori del clero era tale che, non bastando loro collaborare con il marxismo in Cile, sentivano la necessità di indirizzare liriche espressioni di appoggio al marxismo cubano: un gruppo di questi sacerdoti andò poi a Cuba a tagliare canna da zucchero … (21).

– Il primo Incontro di Cristiani per il Socialismo si svolse a Santiago, nell’aprile 1972, capeggiato da mons. Méndez Arceo, vescovo di Cuernavaca, Messico. In tale occasione 400 delegati di 28 nazioni si pronunciarono decisamente a favore di un socialismo che elimini completamente la proprietà privata dei mezzi di produzione, come unica via d’uscita per i paesi sottosviluppati. Si dichiararono favorevoli alla lotta di classe, elogiarono il Che Guevara, sulla cui statua deposero una corona di fiori, e intonarono lodi al prete apostata e capo guerrigliero colombiano Camilo Torres (22).

– A questi fatti si deve aggiungere I’appoggio continuo della rivista dei gesuiti Mensaje al governo di Allende, come pure quello di numerosi istituti di insegnamento appartenenti alla Chiesa. In questi ultimi è notoria – e lo affermiamo senza timore di essere smentiti – la simpatia per il regime, simpatia che si manifesta in modi diversi.

Questa impressionante continuità di atteggiamenti che procede dalla fine degli anni Sessanta, dura fino a oggi. Utimamente la rivista Mensaje ha cominciato a fare pressioni sulla Democrazia Cristiana perché passi a sostenere il marxismo dopo le prossime elezioni, entrando nel governo di Unidad Popular (23).

***

I fatti citati sono assolutamente probanti, però – come è notorio in Cile – ne esistono centinaia di altri che parlano nello stesso senso, rispetto ai quali non crediamo che qualcuno ci chieda prove, perché tutto il paese li conosce. In ogni caso, se qualcuno le desidera, può scriverci, e noi gliele forniremo abbondantemente.

Resta così chiaramente tracciato un panorama del permanente proselitismo filo-marxista a cui sono stati sottoposti i cattolici, proprio da parte di sacerdoti costituiti per essere i loro naturali orientatori.

  1. La contraddizione rivelatrice del progressismo

D’altra parte, i fatti precedenti mettono a nudo una spaventosa contraddizione da parte del clero progressista. Questo, infatti, prima della andata al potere di Allende, si immischiava ostentatamente nelle questioni di carattere politico-nazionale sociale con il pretesto di ottenere, in questo modo, la liberazione del popolo dalla povertà. E non esiste dubbio che se fosse un regime capitalista quello che sta producendo la miseria che attualmente desola il Cile (24), questo clero si leverebbe per protestare unito come un sol uomo. Siccome però tale miseria – che il Cile non ha mai conosciuto primadi Allende – è frutto della instaurazione di un regime socialista e marxista, lo stesso clero non si solleva, ma appoggia quelli che la producono.

Quanto sopra esposto permette di vedere, ancora meglio, che esso occultava i suoi autentici moventi assumendo l’atteggiamento seducente della lotta contro la miseria. Sapeva infatti che sarebbe stato male accolto dal popolo se avesse rivelato gli autentici fini ideologici che perseguiva. Oggi, siccome si tratta di conservare un regime marxista, esso lascia vedere il fondo dei suoi autentici obiettivi.  La contraddizione che si nota nell’atteggiamento del clero progressista ha una spiegazione. Per esso, l’avvento di una Società rigorosamente ugualitaria, conforme alla dottrina  marxista, è un idolo. al quale deve essere sacrificato in olocausto l’interesse materiale della nazione. Infatti, tale interesse è usato come un semplice giocattolo, come un fattore utile per abbattere quelli che vuole distruggere. E poi, è considerato come qualcosa da cui si può assolutamente prescindere, la cui privazione il popolo deve sopportare in onore del regime, quando questo corrisponde ai suoi fini ideologici. Appare a questo punto una specie di misticismo marxista riflesso nelle tesi politico-sociali che i preti progressisti predicano. Fino a questo sono giunti i membri del clero progressista!

Di questa posizione aberrante partecipano quei sacerdoti considerati non progressisti che, per inerzia, con il loro mutismo generalizzato danno un avallo difficilmente sottovalutabile alla corrente più attiva del clero che favorisce il marxismo (25).

III – Al di sopra dei preti, l’Episcopato

La fedeltà alla logica rende inevitabile porsi questa domanda:

Sarebbe stata possibile questa disseminazione così generalizzata della cancrena comunista e progressista tra sacerdoti e laici, senza lo stimolo o la compiacente tolleranza della immensa maggioranza dei loro superiori gerarchici?

Quale è stato dunque l’atteggiamento dell’episcopato nel suo insieme di fronte a questa situazione?

E’ evidente che tali sacerdoti e laici difficilmente avrebbero osato spingersi tanto avanti nel loro impegno aperto e costante con il regime marxista, se avessero temuto sanzioni e lotta sistematica da parte dei loro superiori.

E avevano ogni ragione per non temere nulla in questo senso.

I quotidiani dell’epoca mostrano, da una parte, che vi fu una solidarietà – benché tacita – da parte dell’episcopato con questo impegno di sacerdoti e laici a favore del regime marxista di Allende. Infatti, la Gerarchia cilena mantenne un silenzio notorio, impressionante e scandaloso di fronte alla situazione descritta. Silenzio al quale si unì la più completa impunità per i preti che assunsero questi atteggiamenti filo-marxisti, i quali mantennero tutti i loro incarichi, le loro posizioni e i loro posti di responsabilità come vollero. Di più. A questo punto si situa il patente silenzio di molti sacerdoti che non avrebbero voluto tacere e che, se lo fecero, tutto porta a credere che non fu per disinteresse per la causa della Chiesa in Cile, ma per una pressione venuta dall’alto. Infatti, come cattolici, ci riesce penoso ammettere che questi sacerdoti si siano disinteressati fino a questo del bene della Chiesa e del paese.

D’altra parte, l’episcopato cileno, considerato nel suo insieme, diede anch’esso chiare manifestazioni di appoggio al regime marxista di Allende. Lo diciamo, perché il cardinale e diversi vescovi fecero dichiarazioni in questo senso, e con essi formarono un solo corpo le figure dell’episcopato presumibilmente rappresentative di una posizione anticomunista. Queste ultime, anche se non manifestarono individualmente la loro simpatia per il governo di Allende, mantennero un mutismo che riempie di stupore e che costituisce, almeno, una forma di condiscendenza inerte con i restanti vescovi.

Come logico, questa linea di condotta del clero e della Gerarchia determinò uno sconcerto profondo nella compatta maggioranza del popolo cileno. Sarebbe stato naturale che, nella misura in cui le autorità ecclesiastiche svolgevano la loro azione collaborazionista, si fossero date cura di spiegare alle loro pecorelle i motivi che le portavano ad agire così, e la congruenza che immaginavano esistere tra questi motivi e la dottrina della Chiesa.

Come abbiamo già visto, le autorità ecclesiastiche si sottrassero a questo compito spinoso, perché si rendevano ben conto che non sarebbero riuscite a persuadere il nostro popolo così intelligente.

Questo silenzio fu rotto solo una volta. Di fronte a uno scandalo veramente senza paragone anche rispetto ai fatti fino a ora narrati, Sua Eminenza il cardinale giudicò necessario dare una soddisfazione che era, potremmo dire, quasi una imposizione della opinione pubblica che reclamava una sua parola. Ci riferiamo al Primo Incontro di Cristiani per il Socialismo, tenuto – come già abbiamo detto – a Santiago.

A questo proposito il cardinale dichiarò “la sua profonda preoccupazione per questa riunione politica di chiaro orientamento marxista”, in una lettera di risposta al cosiddetto “gruppo degli 80”; il che poi non gli impedì di ricevere in una udienza molto cordiale una delegazione dell‘Incontro.

Commentando l’udienza, mons. Méndez Arceo, vescovo di Cuernavaca, la figura più rappresentativa dell’Incontro, dichiarò che l’atteggiamento delle autorità ecclesiastiche cilene era stato determinato dal desiderio di non partecipare affinché loro, i partecipanti, si sentissero più a loro agio (26).

Da parte sua, mons. Oviedo si era incaricato di informare tutti i vescovi del continente che il citato incontro non aveva il patrocinio dell‘episcopato cileno.

Tuttavia, non consta che i sacerdoti cileni che parteciparono a questo Incontro, e che, ipso facto, si dimostrarono non idonei a formare l’opinione dei loro fedeli in questa delicata situazione, siano stati privati delle loro cariche e del prestigio di cui fino ad allora avevano goduto.

L’atteggiamento del cardinale è quindi una parentesi, una incrostazione richiesta dalle circostanze, all’interno della sua linea generale di azione, che in tutto il resto non variò.

  1. Prima della elezione presidenziali del 1970

Parallelamente, già da tempo, l’opinione pubblica poteva osservare le crescenti manifestazioni di ostilità da parte di personalità rappresentative dell’episcopato contro quanti combattessero categoricamente il comunismo. La Sociedad Chilena de Defensa de la Tradicion, Familia y Propiedad, proprio durante una campagna destinata a denunciare la infiltrazione di sinistra negli ambienti cattolici, fu oggetto di una acida nota da parte dell’arcivescovado di Santiago, che, nell’agosto 1968, manifestò il suo disappunto per tale iniziativa (27). Tre giorni dopo preti e laici occupavano scandalosamente la cattedrale di Santiago e diffondevano pubblicamente parole d’ordine filo-marxiste… (28). Alla fine del 1969 la curia metropolitana negò categoricamente l’autorizzazione alla celebrazione di una messa voluta dalla TFP per le anime delle vittime causate dal comunismo … (29).

Alcuni mesi dopo, al contrario, la segreteria generale dell’episcopato, attraverso il suo titolare, mons. Carlos Oviedo, diffuse preghiere speciali in vista delle elezioni presidenziali, affinché fossero recitate nelle chiese. Una di esse per esempio diceva: “Togli dal nostro cuore ogni angoscia e ogni timore di fronte ai cambiamenti sociali, perché eleggiamo l’uomo che possa condurre la nostra patria a cambiamenti molto profondi in pro di tutti i cileni, come Tu desideri. Preghiamo il Signore”(30).

  1. Prima della elezione del presidente da parte del Congresso Nazionale

Tre giorni dopo l’elezione presidenziale, il vescovo mons. Jorge Hourton, amministratore apostolico di Puerto Montt, precedette il verdetto del Congresso Nazionale, dando per certa la ratifica definitiva di Allende, con il sottolineare in un pubblico documento che: “Il popolo cileno si è eletto un governo democratico e di progresso sociale; ha il diritto di aspettarsi e di esigere che gli sia dato proprio questo e non un altro” (31).

Il 25 settembre 1970, il segretariato generale dell’episcopato pubblicò una dichiarazione a nome della conferenza episcopale cilena, nella quale tra l’altro affermava: “Siamo alle soglie di una nuova epoca storica del nostro continente, […] di liberazione da ogni schiavitù, di maturazione personale e di integrazione collettiva. Noi cristiani vogliamo partecipare alla formazione dell’uomo nuovo. […] Abbiamo collaborato e vogliamo collaborare ai cambiamenti…” (32).

Questa dichiarazione, nelle circostanze che la accompagnarono, fu interpretata da tutti i circoli politici come una manifestazione di appoggio ad Allende, con l’aggravante che costui non era ancora stato eletto dal Congresso (33).

  1. Con Allende al potere

Il 22 aprile 1971, i vescovi emisero una dichiarazione confusa, dalla cui vergognosa ambiguità finisce per risultare che aprono la porta alla collaborazione con il regime marxista di Allende. In tale dichiarazione puntualizzano: “Di fronte al legittimo governo del Cile rinnoviamo l’atteggiamento che ci viene da Cristo: rispetto per la sua autorità e collaborazione con il suo impegno di servizio del popolo. Ogni sforzo per costruire una società più umana eliminando la miseria, faccendo prevalere il bene comune sul bene privato, reclamo l’appoggio di chi, come cristiano, è impegnato nella liberazione dell’uomo” (34). I vescovi si servono così, in questa manovra, della sacra persona di Nostro Signore Gesù Cristo per chiamare il popolo cattolico alla collaborazione con il regime che va conducendo il paese proprio alla più tragica miseria, quella stessa che essi dicevano di voler eliminare.

Nel febbraio del 1971, lo stesso mons. Ariztía, vescovo ausiliare di Santiago, che nel 1968 aveva firmato la nota di disappunto per la campagna della TFP contro I’infiltrazione di sinistra nel clero, fece una visita di quindici giorni a Cuba insieme al vescovo di Talca, mons. Carlos González (35).

Al ritorno, il primo dichiarò alla effervescente stampa marxista del paese: “Il nostro popolo non può pagare l’alto prezzo pagato dai cattolici cubani con la loro serrata opposizione ai cambiamenti. I cristiani non devono emarginarsi dal processo rivoluzionario. Devono integrarsi in esso e consacrarvi il meglio di sé. Non devono rimanersene al margine criticando” (36).

Il secondo, dal canto suo, qualche tempo dopo, pubblicò una lettera pastorale nella quale afferma: “Il Cile assiste a un processo di cambiamenti che lo portano verso il socialismo. Del socialismo non bisogna avere paura. I sacerdoti possono e devono dare il loro contributo afinchè questo cambiamento si produca” (37).

Quando, nel novembre del 1971, Castro visitò il Cile, fu ricevuto in pompa magna, nelle rispettive diocesi, dal cardinale insieme ad altri vescovi a Santiago, dagli arcivescovi di Antofagasta e di Concepcion, e dai vescovi di Iquique, Puerto Montt e Punta Arenas (38). Orbene, poichè il Cile è un paese in cui la Chiesa è separata dallo Stato, la visita del dittatore cubano alle autorità ecclesiastiche non aveva carattere ufficiale, dettato da obblighi di protocollo, ma era soltanto la manifestazione del suo desiderio di essere ben accolto dall’episcopato, con il risultato di impressionare il pubblico cileno. A questa manovra chiaramente propagandistica I’episcopato si prestò dunque in tutta la misura in cui fu sollecitato a farlo. Non si ebbe notizia neppure di una sola parola di critica o di protesta di qualcuno di questi prelati per il carattere intrinsecamente ingiusto del regime comunista rappresentato da Fidel Castro, né per la situazione di miseria che prostra il popolo cubano, sotto l’oppressione di tale regime.

L‘intervento dell’episcopato attraverso l’uso della sua autorità per esercitare una pressione morale sui fedeli perché appoggino, o almeno accettino il cammino del Cile verso il comunismo, toccò un vertice caratteristico durante i giorni dello sciopero dell’ottobre dell’anno scorso (39).

Di fronte a un popolo che non solo soffriva la miseria, ma scendeva nelle strade in gran numero per protestare contro di essa – in manifestazioni memorabili come la cosiddetta “marcia delle pentole vuote” del dicembre 1971 (40) – non vi fu un solo sacerdote, non vi fu un solo vescovo presente a manifestare la sua solidarietà a questo popolo che gemeva. Al contrario, il loro atteggiamento consisteva nel tenere in piedi la raccomandazione conciliante di appoggio al governo, autore di questa miseria. Così, durante i riferiti avvenimenti dell’ottobre scorso, in cui le manifestazioni di protesta popolare si moltiplicavano, prima sette vescovi in visita ad Allende, e poi il comitato permanente dell’episcopato lanciarono un appello per far cessare i dissensi all’interno della opinione pubblica nazionale. Il comitato permanente dell’episcopato giunse a sostenere il suo desiderio che “si continui con il processo di cambiamenti tendenti a liberare i poveri da qualsiasi situazione di ingiustizia e di miseria” (41).

Come si può vedere, ogni forma e grado di appoggio che il governo marxista di Allende poteva desiderare da parte deli’episcopato furono a esso dati in modo ininterrotto e più che sufficiente. Questo si può affermare, anche facendo la riserva sopra ricordata relativa ad alcuni vescovi che non si pronunciarono, dal momento che, in assenza di una loro protesta, furono considerati dalla nazione – a giusto titolo – come concordi con l’aberrante comportamento dei vescovi che si pronunciarono.

IV – Alla guida dell’Episcopato, il Cardinale arcivescovo di Santiago

Esaminati i fatti riferiti, è impossibile tralasciare di chiedersi: L‘episcopato avrebbe assunto l’atteggiamento descritto, se il cardinale avesse esercitato la sua influenza in senso contrario?

Sembra evidente la risposta negativa. Un atteggiamento di intervento così costante e determinato nei problemi politici del paese e che non ha precedenti prossimi nella nostra storia, è inverosimile che sarebbe stato assunto dall’episcopato senza lo stimolo del cardinale primate. A maggior ragione, se si tiene conto che questo intervento viola a tal punto l’ordine naturale delle cose, dal momento che si esercita a favore di un regime marxista.

La realtà dei fatti mostra che l’atteggiamento di laici, sacerdoti e vescovi a favore dell’attuale regime non è altro che il riflesso coerente e fedele delle posizioni assunte dal cardinale, mons. Silva Henriquez.

Ricordiamo ora quelle che ebbero una influenza più notoria nell’esercitare pressioni e nel confondere l’opinione pubblica cattolica:

– Come gran cancelliere della Pontificia Università Cattolica di Santiago, nell’agosto del 1969, concesse il titolo di Doctor scientia et honoris causa a Pablo Neruda, poco prima che fosse nominato aspirante candidato alla presidenza della Repubblica del Partito Comunista (42).

– Nel dicembre dello stesso anno dichiarò alla stampa che era lecito a un cattolico votare per un candidato marxista (43), dichiarazione che ovviamente avvantaggiò la candidatura di Allende. In questa occasione la TFP chiese al cardinale di chiarire o smentire la grave affermazione a causa della confusione in cui poteva trarre lo spirito dei fedeli, del beneficio che apportava alla candidatura marxista e della situazione che si veniva creando rispetto alla vigenza del decreto di scomunica promulgato da Pio XII contro coloro che collaborino con il comunismo. Veniva in questo modo tacitamente sollevato iI delicato problema: se il decreto di scomunica rimane in vigore, non potrebbe ipso facto giungere ad applicarsi all’arcivescovo stesso? Questo problema, a sua volta, avrebbe sollevato un problema di giurisdizione dei più complessi per tutta la archidiocesi. Tuttavia, il cardinale giudicò preferibile non smentire né chiarire la sua affermazione pubblica e rifiutare poco pastoralmente e molto scortesemente qualunque risposta alla TFP (44).

– Dopo la ratifica dell’elezione di Allende da parte del Congresso Nazionale, mons. Silva Henriquez ferì altre volte la coscienza cattolica: Dichiarò che la posizione della Chiesa rispetto al governo deve essere di “franca e leale collaborazione in tutte le cose relative al bene comune” (45), omettendo molto abilmente di aggiungere che lo avrebbe dovuto combattere in quanto fosse stato contrario alla legge di Dio e al diritto naturale; fece visita ad Allende regalandogli una Bibbia e si fece fotografare numerose volte insieme a lui in atteggiamenti di grande amicizia; rilasciò alla stampa cubana dichiarazioni di elogio ad Allende; offerse appoggio e collaborazione alle “riforme di base” del programma di Unidad Popular e chiese a Dio di “aiutare il popolo cubano nell’opera che sta realizzando” (46).

– In occasione dell’insediamento del presidente marxista, diresse nella cattedrale un Te Deum “ecumenico”, con la partecipazione di pastori protestanti e di rabbini (47).

– Per la prima volta nella storia, il cardinale assistette, il primo maggio 1971, alla manifestazione della Central Unica de Trabajadores – controllata dal PC – seduto in tribuna a fianco di Allende e dei suoi ministri. In questa occasione indirizzò un messaggio al presidente della CUT e sfilò, insieme alla gioventù operaia cattolica, in uno dei cortei della manifestazione (48). Questo importante atto di presenza si sarebbe ripetuto nuovamente nel maggio del 1972 (49).

– Nel novembre 1971, ricevette Fidel Castro all’aeroporto di Santiago, comparve a un cocktail offerto al dittatore cubano nel palazzo presidenziale La Moneda ed ebbe con lui un cordiale colloquio nell’ufficio cardinalizio, durante il quale gli regalò una Bibbia. Castro lo qualificò come “una persona magnifica” (50). Dal suo punto di vista aveva molte buone ragioni per esprimersi così…

– Nel dicembre dello stesso anno dichiarò alla televisione che il governo lavorava sinceramente e faticosamente per il benessere della collettività. Tale dichiarazione fu fatta all’epoca della “marcia delle pentole vuote” (51), nella quale più di 100.000 donne protestarono nelle vie di Santiago contro la scarsità di generi alimentari prodotta dalla politica del governo.

  – Nel settembre 1972, continuando nella stessa linea di condotta, il cardinale indirizzò una lettera aperta a “tutti i ciIeni di buona volontà”. In essa, la sua preoccupazione principale non era quella di attenuare le disastrose conseguenze del processo di comunistizzazione del Cile, ma piuttosto quella di placare gli scontenti sempre più numerosi che il processo veniva provocando, e che mantenevano il governo in uno stato di crescente preoccupazione (52).

Interventismo clericale per impedire lo scontro legale di opinioni?

Tutto questo impressionante insieme di atteggiamenti che il clero cileno, alto e basso, ha cominciato ad adottare in questi ultimi anni, è diventato ormai insopportabile in un paese in cui gli stessi vescovi si dicono favorevoli alla separazione tra la Chiesa e lo Stato. Simile interferenza diventa più significativa se si considera che dal 1925, quando si decretò questa separazione, l’episcopato si era mantenuto estraneo alla politica, e ha abbandonato solo ora questa posizione di distacco.

Questo atteggiamento promosso dal cardinale e dai vescovi sta sovvertendo il sistema costituzionale vigente. Se il cardinale e i vescovi desiderano l’unione tra la Chiesa e lo Stato, adesso che è al potere un presidente marxista, perché, allora, non la chiedono? Finché non lo fanno, il loro atteggiamento rimane, anche da questo punto di vista, assolutamente inaccettabile e sovversivo. Infatti, con che diritto i vescovi scendono sul piano concreto a indicare gli atteggiamenti politici che devono essere adottati nelle successive fasi della crisi che il paese sta vivendo?

Quando numerose proprietà private cominciarono a essere prese d’assalto dagli uomini del MIR (53) – senza opposizione efficace da parte della polizia -n alcune regioni si venne a instaurare un clima di violenza e di contro-violenza. Da parte sua, l’episcopato ha continuamente sostenuto di essere contro la violenza.

Nessuno, certamente, nega il diritto del cardinale e dei vescovi di manifestare la loro preoccupazione per la violenza. Però essi avrebbero dovuto attaccare la violenza del terrorismo del MIR e di organizzazioni analoghe e appoggiare la contro-violenza fatta per legittima difesa dai proprietari assaliti. È inoltre necessario far notare che i vescovi non hanno per nulla preso nella dovuta considerazione il fatto che in Cile la violenza maggiore non è quella che si manifesta ai margini dell’azione dello Stato, ma è Ia violenza messa in opera dallo Stato stesso attraverso la violazione continua dei diritti individuali e naturali. Nell’attuale situazione è ancor meno tollerabile che i vescovi, nelle loro dichiarazioni contro la violenza, arrivino a rimproverare la disunione, che d’altronde è caratteristica del regime democratico. Con questo atteggiamento il cardinale e i vescovi tentano di promuovere virtualmente una coalizione generale del popolo attorno al governo, e fanno così uso delle loro sacre investiture per soffocare le manifestazioni di legittima protesta provocate dalla violazione di diritti naturali calpestati, come pure dai traumi e dagli scandali che un regime anticristiano genera nella coscienza cattolica. Tutto questo è ancora più degno di nota se si tiene presente che questa protesta si è espressa in conformità con il carattere del regime politico, che è democratico.

Se il cardinale e i vescovi sono contrari alla democrazia, perché non lo dicono? E se sono a essa favorevoli, perché allora fanno credere che lo scontro legale delle opinioni è un fatto che logora il paese? O dobbiamo andare più oltre e ammettere allora che il cardinale e i vescovi sono favorevoli alla democrazia quando pensano che serva come strumento per abbattere il regime di proprietà privata, e che sono a essa contrari quando la vedono come una forma di difesa di questo diritto naturale?

V – La Santa Sede

Figli devoti della santa Chiesa, assistiamo con profondo dolore allo svolgersi di questo processo nel corso del quale i principi dottrinali, ispiratori della autodemolizione della Chiesa, superano l’ambito propriamente religioso e penetrano sempre di più nella vita pubblica del paese, producendo così in essa effetti analogamente deleteri.

Questa profonda tristezza coesiste in noi con un sentimento di rispetto ugualmente profondo, e per altro inalterabile. Sappiamo che la santa Chiesa cattolica non si identifica con le colpe dei suoi figli, per quanto alto Sia il loro grado. E perciò essa rimane infallibile e indefettibile oggi, come ieri, come per tutti i secoli venturi.

Amare la Chiesa comporta amare in un modo assolutamente speciale il suo capo visibile, cioè il Papa. E con esso, la Santa Sede.

Rinnoviamo dunque qui l’espressione del nostro amore reverenziale profondo, del nostro attaccamento al Sommo Pontefice e alla Santa Sede, nel momento in cui, con grandissimo dolore, siamo costretti, dal corso stesso del nostro pensiero, ad affrontare un altro problema:

Sarebbe comprensibile che le strutture gerarchiche della Chiesa cilena agissero come stanno agendo, se non avessero ricevuto una approvazione completa e diretta di Paolo VI per farlo?

Questa domanda diventa ancora più inevitabile se si considera che mons. Silva Henriquez, come cardinale, è in contatto permanente con il Vaticano; e che, d’altra parte, è sempre presente in Cile un nunzio apostolico incaricato non solo di rappresentare il Vaticano presso il governo cileno, ma anche presso l’episcopato, nunzio che dispone di tutte le facilitazioni possibili per trasmettere a mons. Silva Henriquez, all’episcopato e al clero in generale le intenzioni di Paolo VI.

È dunque inammissibile che non esistesse questa approvazione, sia per i vincoli cardinalizi, sia per la struttura gerarchica della Chiesa in generale, sia per la continuità e per l’ampiezza di questa inusitata politica del clero cileno.

D’altra parte, durante questo periodo di tempo, non si ebbe sentore di nessun atteggiamento – neppure velato – di freddezza o di disappunto del Vaticano a proposito delle prese di posizione del cardinale, dell’episcopato e del clero favorevoli al regime marxista di Allende.

Al contrario, i fatti noti confortano soltanto ciò che la logica deduzione obbliga a congetturare:

– Appena Allende fu eletto dal Congresso, il cardinale, accompagnato dal segretario della conferenza episcopale mons. Oviedo e dal vicario generale dell’arcivescovado di Santiago mons. Jorge Gomez, gli consegnò personalmente un messaggio di Paolo VI. Messaggio un poco enigmatico dal momento che non fu pubblicato, ma a proposito del quale mons. Silva Henriquez dichiarò: “Si tratta di un saluto affettuoso, niente di più; dice che prega per il Cile e per il suo presiden-te”. In seguito, riferendosi al capo di Stato marxista, aggiunse: “Siamo venuti a porgere ii nostro saluto al presidente del Cile e a dirgli che siamo a sua disposizione per servire il nostro popolo e per aiutarlo a realizzare i grandi programmi di pubblico bene che coltiva” (54).

– Paolo VI mandò come inviato speciale al Te Deum “ecumenico” di ringraziamento che seguì l’insediamento del presidente Allende, il nunzio apostolico a Santo Domingo, mons. Antonio del Giudice (55).

– Il 19 novembre 1970, il nuovo rappresentante ufficiale di Paolo VI in Cile, nunzio apostolico mons. Sotero Sanz Villalba, presentando le credenziali ad Allende “sottolineò in modo speciale il suo compiacimento per il programma di progresso sociale in cui è impegnato il paese, per il quale assicurò l’aiuto della Chiesa” (56).

– Lo stesso nunzio comparve al cocktail offerto da Allende a Fidel Castro nel palazzo presidenziale La Moneda e dichiarò che il viagio del dittatore comunista cubano era “di grande arricchimento tanto per Cuba come per il Cile” (57).

– Nell’agosto del 1972, Paolo VI inviò i suoi saluti ad Allende attraverso il suo delegato personale, il cardinale spagnolo Arturo Tabera, in visita ufficiale nel paese (58).

– Nell’ottobre del 1972, durante le acute manifestazioni di malcontento popolare contro la politica governativa, il cardinale Silva Henriquez da Roma – dove era andato per incontrare Paolo VI – inviò un messaggio pubblico ad Allende manifestandogli la sua preoccupazione per gli avvenimenti e offrendosi di ritornare immediatamente in patria se Allende lo riteneva necessario (59).

Pertanto, ben vicino a Paolo VI e, per così dire, dall’alto dei gradini del trono pontificio, il cardinale non sentì il sia pur minimo impedimento né la presenza di ostacolo alcuno a fare questa mossa suprema della sua collaborazione, che consistette non più soltanto neil’aiutare a costiuire il regime marxista di Allende, ma anche nel promettergli il suo aiuto per permettere a tale regime di soffocare le proteste della popolazione gettata nella miseria e nel malcontento.

Di fronte a questo tragico panorama, è significativo che lo stesso presidente marxista Allende abbia notato, in una intervista che aveva concesso al New York Times a Santiago nell’ottobre del 1970, che la Chiesa in Cile aveva rotto con la sua dottrina tradizionale. Tra l’altro Allende dichiarò:

“Credo che sia perfettamente noto che le vecchie incompatibilità tra la massoneria e la Chiesa sono superate. Il fatto più importante è che la Chiesa ha subito mutamenti fondamentali […]. Ho avuto occasione di leggere la dichiarazione dei vescovi a Medellin e il linguaggio usato è lo stesso che usiamo dalla nostra iniziazione alla vita politica, da trent’anni. A quel tempo, eravamo condannati per il linguaggio usato oggi dai vescovi cattolici.

“Credo che la Chiesa non sarà un fattore di opposizione al governo di Unidad Popular. Al contrario, sarà un elemento a nostro favore, perché tenteremo di tradurre in pratica il pensiero cristiano” (60).

Queste dichiarazioni – che descrivono uno dei maggiori scandali della storia della Chiesa di tutti i tempi – non furono oggetto di nessuna protesta da parte delle autorità ecclesiastiche cilene né della Santa Sede. Al contrario, le relazioni si mantennero cordiali fino al punto che potè essere inviato ad Allende il messaggio di appoggio sopra ricordato.

“Dite una sola parola e la nostra patria sarà salva!”

Finalmente, il consenso dato da Paolo VI all’orientamento assunto dall’episcopato e dai settori più influenti del clero cileno sotto la sua egida, autorità e potere, è confermato dal suo atteggiamento di fronte a due memorabili petizioni a lui dirette dalla TFP cilena.

La prima consistette in un reverente e filiale messaggio indirizzato a Paolo VI, nel 1968, per sollecitarlo a prendere urgenti misure contro l’infiltrazione comunista negli ambienti cattolici.

La TFP prevedeva il pericolo che andava prendendo corpo, e che minacciava il paese, di un trasbordo massiccio del clero e della opinione pubblica cattolica verso la sinistra, nei termini della più recente strategia del comunismo, brillantemente descritta dal professor Plinio Correa de Oliveira nella sua opera, che ebbe ripercussione internazionale, «Trasbordo ideologico inavvertito e dialogo» (61).

La TFP tentò allora di lanciare un grido di allarme per evitare che gli avvenimenti presagiti attraverso questo trasbordo si verificassero realmente. A questo fine, e vedendo la inutilità dei contatti privati, promosse una pubblica raccolta di firme a sostegno di una petizione che richiamasse l’attenzione della Gerarchia cilena e del Papa Paolo VI sull’angoscia con cui migliaia di cileni vedevano lo svolgersi della situazione.

Questa petizione pubblica indirizzata a Paolo VI fu sostenuta dalle firme di 121.210 cileni (62).

La risposta di Paolo VI fu un silenzio pesante e significativo.

Mentre figli fedeli della Chiesa erano trattati con tale inusitata freddezza, l’opinione pubblica potè constatare con quale affabilità furono ricevuti da Paolo VI i terroristi africani – al punto che il governo cattolico del Portogallo ritenne opportuno presentare al Vaticano una protesta ufiiciale. E come continuamente sono accolti con identica benevolenza non soltanto personaggi del mondo politico di oltre cortina, ma anche capi delle chiese-fantoccio da costoro istituite come strumenti di dominio delle rispettive patrie; o di quanta cordiale impunità godano da parte del Vaticano quei vescovi cubani che hanno avuto e hanno una condotta così simile a quella dei vescovi cileni.

Non essendo stata ascoltata la parola che la TFP cilena fece arrivare al trono ponfificio per prevenire la catastrofe della salita al potere del marxismo, essa formulò una seconda petizione. I membri del consiglio nazionale della TFP, insieme ad altri militanti, l’8 ottobre 1970 indirizzarono a Paolo VI una lettera, nella certezza che una sola sua parola sarebbe bastata per evitare che i parlamentari democristiani consumassero la vittoria di Allende in Congresso. Uno dei brani della lettera diceva:

“Sul limitare della grande tragedia che sovrasta tutto un popolo, ci rivolgiamo a Vostra Santità per chiedervi, come padre sommo della Cristianità, di almeno ora degnarvi di volgere lo sguardo verso il grido di angoscia che parte dal Cile affinché in questa ora drammatica, faccia udire la Sua augusta voce, ancora in tempo per salvare una nazione cattolica che è ormai sull’orlo dell’abisso” (63).

Una volta di più, la risposta del padre comune della Cristianità fu il più completo e sdegnoso silenzio.

Conclusione

Tale, fino a questo momento, il triste comportamento del clero e dell’episcopato cileni, considerati nel loro insieme, salve le onorevoli eccezioni. Cioè, quasi fino all’ora in cui il popolo si pronuncerà sul processo di tortura morale e materiale a cui è stato sottoposto dalla instaurazione del regime marxista.

Tutto porta a credere che una strepitosa sconfitta elettorale del governo manifesterà il rifiuto di questo processo da parte del popolo cileno. Ancor più, dal momento che lo stesso Allende ha dichiarato che spera di ottenere soltanto il 4O% dei voti.

È possibile che nella imminenza di quella che sarebbe una catastrofe per i suoi amici della coalizione governativa, la Gerarchia ecclesiastica pubblichi un manifesto nel quale prenda le distanze dai suoi protetti, che adesso cominciano a essere per essa amici compromettenti. Soprattutto, è possibile che un tale atteggiamento sia preso dopo le elezioni. Se questo succederà, la dichiarazione ecclesiastica concepita a questo modo, sotto la pressione di situazioni tattiche ben evidenti, non può far dimenticare al popolo cileno gli anni passati, nei quali fu ben chiaro il polo di attrazione ideologico verso il quale si rivolgono le simpatie della Gerarchia, sempre e quando non è pressata da ragioni tattiche.

Infine, di fronte a questo panorama di una gravità senza precedenti, la Sociedad Chilena de Defensa de la Tradición, Familia y Propiedad si vede nella inevitabile necessità di mettere in guardia i suoi fratelli nella fede, a proposito della nefasta influenza che il clero sta esercitando nel drammatico processo di comunistizzazione del paese. È assolutamente necessario, per il bene della civiltà cristiana e della patria, che i cattolici, fedeli ai principi tradizionali insegnati dalla Chiesa, sappiano agire con consequenzialità, senza lasciarsi influenzare dal comportamento del clero.

Dobbiamo rimanere tanto più fedeli alla Chiesa, quanto più diminuisce la fedeltà di quelli che sono i suoi principali rappresentanti.

Lanciare questo allarme è per noi un dovere di coscienza che compiamo con dolore. Lo facciamo perché l’opposizione al regime comunista in Cile non perda nulla della sua forza per la falsa impressione che non trova più fondamento nella dottrina cattolica e nella coscienza cristiana. Nulla potrà revocare le luminose direttive della dottrina tradizionale della Chiesa. Nessuno ha revocato il decreto di Pio XII di scomunica per tutti coloro che danno la loro collaborazione al comunismo (64).

Il dovere dei cattolici, al di sopra di tutte le confusioni, di tutte le omissioni, di tutti i comodismi e di tutte le capitolazioni, rimane quello di lottare più che mai contro il comunismo, che si rivela contrario al diritto naturale, anche nell’esperienza dei fatti: basta solo applicarlo, perché ne nasca la miseria.

Dal fondo delle nostre anime desideriamo che il popolo cileno rimanga sempre più fermo nella fede, e che la Madonna del Carmine, regina e patrona del Cile, ci dia nei giorni venturi la grazia di un clero effettivamente cattolico, perché anche nella nostra Patria si realizzi il trionfo del suo Cuore Immacolato, come lo ha promesso a Fatima.

Santiago, 23 febbraio 1973

Per la

Sociedad Chilena de Defensa

De la Tradición, Familia y Propiedad

Luiz Montes Bezanilla

Andrés Lecaros Concha

Note:

(1) Secondo la Costituzione cilena si devono svolgere elezioni per il rinnovo completo della Camera dei deputati e il rinnovo parziale del Senato esattamente ogni quattro anni. Le elezioni del 4 marzo prossimo ottemperano a questo dettato della Costituzione.

(2) La Sociedad Chilena de Defensa de la Tradición Familia y Propiedad è stata fondata il 26 aprile 1967 da un gruppo di giovani universitari che fino ad allora si riunivano attorno alla rivista Fiducia organo destinato a difendere i principi della civiltà cristiana alla luce della dottrina cattolica. Le principali azioni di Fiducia prima, e della TFP poi, furono compiute attraverso campagne nelle vie per mettere in guardia l’opinione pubblica sul trasbordo ideologico a cui era sottoposta. Queste azioni furono:

– Nel 1965, una interpellanza al presidente Frei sulla violazione del diritto di proprietà privata, che l’allora presidente stava per compiere riformando l’articolo 10 della Costituzione.

– Nel 1966, un manifesto nel quale si analizzava, alla luce della morale cattolica, il progetto di legge di riforma agraria di Frei; il documento giungeva alla conclusione che il progetto era socialista e confiscatorio. Sostennero pubblicamente Fiducia mille universitari. Nell’agosto, Fiducia inizia una campagna nel corso della quale i suoi collaboratori percorrono l‘intero paese, per un periodo di sette mesi.

– Nel 1968, la TFP indirizzò un reverente e filiale messaggio a Paolo VI, sottoscritto da più di 120.000 cileni, chiedendo urgenti misure contro l’infiltrazione comunista negli ambienti cattolici (vedi nota 61).

– Alla fine del 1968, la TFP indirizzò una nuova interpellanza a Frei chiedendogli una definizione non equivoca della posizione del suo governo di fronte alle riforme di struttura socialiste e confiscatorie.

– Nel 1969, i militanti della TFP percorrono il paese vendendo un numero di Fiducia in cui si denunciava la trama in opera per distruggere la Chiesa attraverso I’IDO-C e i “gruppi profetici”. Furono venduti più di 24.000 esemplari della rivista.

– Durante il 1970, la TFP svolse diverse azioni, alcune destinate a frenare gli effetti nocivi del riformismo socialista del governo – principalmente della riforma agraria – e altre a illuminare l’opinione pubblica a proposito delle elezioni presidenziali che si avvicinavano.

– Durante il 1971 e il 1972 la TFP non smise di lottare e di diffondere Fiducia en exilio, smischerando le manovre del marxismo. Queste pubblicazioni ebbero grande ripercussione in tutto il paese, come pure sulla stampa nazionale e internazionale. La TFP si impegnò in modo speciale nel contrastare la propaganda che il governo di Allende, per ragioni più che evidenti, faceva all’estero. A questo scopo, i suoi manifesti e le sue pubblicazioni -che mostravano l’autentico dramma del popolo cileno -furono riprodotte da tutte le organizzazioni similari e da vari quotidiani e riviste di diversi paesi. In Brasile Argentina Uruguay Colombia, Venezuela ed Ecuador vi sono, molto attive, società di difesa della tradizione, famiglia e proprietà (TFP) dello stesso tipo di quella cilena; e anche negli Stati Uniti, in Spagna, Portogallo e Italia vi sono organizzazioni che hanno affinità con la TFP.

(3) Paolo VI, Allocuzione agli alunni del Pontificio Seminario Lombardo, del 7-12-1968, in Insegnarnenti, vol. VI, p. 1188.

(4) Attualmente la popolazione del Cile supera i 10 milioni di abitanti, l’84% dei quali si professa cattolico.

(5) In tali elezioni, risultò vincitore Allende con il 36,3% dei suffragi espressi nella votazione popolare diretta del 4 settembre 1970, cioè, solo con l’1,4% in più del candidato conservatore Jorge Alessandri, che ottenne il 34,9% dei voti. Il candidato giunto in terza posizione fu il democristiano Radomiro Tomic che ottenne il 27,8%. Sommando i voti non comunisti ci si rende conto dell’autentica condizione minoritaria del candidato Allende. D’altra parte, bisogna sotto!ineare che il candidato marxista era sostenuto da una coalizione di partiti, tra i quali se ne trovavano alcuni di sinistra ma non apertamente marxisti, come il cosiddetto Partito Radicale e gruppi dissidenti della Democrazia Cristiana. Inoltre, l’azione demagogica e socializzante del govemo democristiano di Eduardo Frei -con il suo programma di riforme confiscatorie -contribuì potentemente a trasbordare certi settori cattolici verso una posizione di collaborazione, o almeno di simpatia, per i postulati marxisti.

(6) Cfr. FABIO VIDIGAL XAVIER DA SILVEIRA «Frei, il Kerensky cileno», trad. it., Cristianità, Piacenza 1973. L‘autore, morto alla fine del 1971 a San Paolo, è stato un dinamico e brillante membro del consiglio nazionale della TFP brasiliana. Nel suo libro, con tre anni di anticipo, previde che la politica di Eduardo Frei preparava l’avvento al potere della minoranza marxista, allo stesso modo in cui, in altre circostanze, la politica di Kerensky preparò in Russia l’ascesa di Lenin al potere. L‘opera; pubblicata nel 1967. è stata qualificata come autenticamente profetica. In Cile il governo democristiano la proibì, ma finì per circolare ampiamente e in ogni modo, di mano in mano, ed ebbe una vastissima diffusione in tutta l’America Latina, con quindici edizioni per un totale di più di 102.000 copie. Di queste edizioni, sei sono state fatte in Argentina, quattro in Brasile, due in Venezuela, una in Ecuador. una in Colombia e una a El Salvador. Ebbe grande ripercussione sulla stampa internazionale e costituì un vibrante grido di allarme per i cattolici dell’Arnerica Latina.

(7) Il gruppo Iglesia Joven corrisponde a quei nuclei che si autodenominano  “profetici” e postulano l’abolizione delle strutture gerarchiche della Chiesa. per lasciare posto a una una Nuova Chiesa desacralizzata e ugualitaria, impegnata nella rivoluzione sociale del marxismo. Militano in questo gruppo preti, religiosi e religiose e alcuni laici provenienti dalle cosiddette “comunità di base”. Benché minoritario, è attivo e utilizza i metodi caratteristici del movimento contestatore.

Il MAPU – Movirnienfo de Acción Popular Unitaria – è frutto diuna dissidenza dalla Democrazia Cristiana, formata da leaders che furono parlamentari della DC, da ex-funzionari del governo di Eduardo Frei. ecc.

(8) Cfr. El Siglo 4-7-1970.

(9) Cfr. E1 Siglo; 7-8-1970.

(10) Cfr. El Siglo, 18 e 22-4-1970.

(11) Si tratta della votazione richiesta dalla Costituzione cilena quando, nelle elezioni per scegliere il presidente della Repubblica, nessuno dei candidati ottenga la maggioranza assoluta dei suffragi. Di fatto, in tale situazione, alcune settimane dopo, il Congresso Nazionale  (costituito dal Senato e dalla Camera dei deputati in seduta congiunta) deve scegliere il presidente del Cile tra i candidati che hanno ottenuto più voti. Nel caso concreto, il Congresso doveva scegliere tra il marxista Allende e il conservatore Alessandri. separati, nelle votazioni popolari, come abbiamo visto, dall’1,4% dei suffragi.

(12) Programma di governo della Unidad Popular, coalizione di partiti che presentarono la candidatura di Allende e oggi formano la sua équipe di governo. I due partiti maggioritari e più importanti della coalizione sono il Partito Comunista e il Partito Socialista; a quest’ultimo appartiene lo stesso presidente Allende. Anche il Partito  Socialista si dichiara marxista-leninista e in campo politico assume atteggiamenti più estremistici dello stesso Partito Comunista. Tale programma contiene le mete fissate per trasformare gradualmente le strutture economico-sociali e politiche del Cile in strutture marxiste.

(13) The Tablet, 19/26-12-1970, p. 1260.

(14) Cfr. CIDOC. n. 253.

(15) Cfr. CIDOC; n. 254 e 255.

(16) Cfr. El Mercurio, 14-4-971.

(17) Cfr. El Mercurio, 15-4-1971.

(18) Allende ha detto in alcune occasioni che il regime da lui presieduto non è marxista, benché egli personalmente lo sia; e ha spiegato la ragione della sua affermazione: nel regime – o almeno, diremmo noi, nell’immagine che il regime cerca di presentare di sé – vi è un  rispetto delle forme democratiche e una libertà politica che non sono compatibili con la dittatura del proletariato propria del marxismo.  Questo vuol dire che Allende nega il carattere marxista del regime  soltanto per quanto riguarda la sopravvivenza della democrazia, e non  a proposito della ispirazione marxista della struttura socio-economica, che sta gradualmente imponendo al paese, e che è precisamente quel  sistema ingiusto e causa di miseria, per la cui instaurazione abbiamo fatto osservare la collaborazione del clero progressista.

(19) Noto e influente centro di studi, informazioni e ricerche socioculturali, che dispone di vasti mezzi di azione, e nel quale si raccolgono i più dinamici sacerdoti gesuiti che operano in Cile.

(20) Cfr El Mercurio 11-5-1971.

(21) Cfr. La Tercera 15-12-1971. El Clarin 18-3-1972.

(22) Cfr. La Nación 27-4-1972; El Mercurio 21-5-1972;  Ercilla 10/16-5-1972.

(23) Cfr. Mensaje, n. 215 ss.

(24) Per dare al lettore una idea della grave crisi economica e di approvvigionamento che il Cile sta attraversando, presentiamo di seguito alcuni dati:  Il raccolto di grano nell’annata agraria 1970-71 è stato di 13 milioni di quintali; nell’anno 71-72 è stato di 7milioni, e si calcola che nei 72-73 sarà di 3. milioni e 500mila, cioè il 73% meno dell’anno 70-71.

La produzione di carne: a) bovina nel periodo 70-72 è scesa da 130.000 a 62.000 tonnellate; b) avicola è scesa da 55.000 a 35.000 tonnellate; c) suina è scesa da 74.300 a 48.000 tonnellate.

Nello stesso periodo la produzione di latte condensato è scesa da 17 milioni di litri a 12 milioni. La produzione di zucchero è diminuita da 282.000 tonnellate a 165.000 (cfr. El Mercurio, 19-1-1973).

Il ministro dell’Agricoltura, seguendo la linea del governo marxista, ha decretato il controllo del commercio del grano, ammettendo, nello stesso tempo, la possibilità di adottare più avanti una identica misura a proposito di altri prodotti (cfr. La Prensa, 13-1-1973).

Il quotidiano La Prensa di Santiago informa che nel 1972 il prezzo dei generi alimentari è salito del 240%, una cifra record nella storia del Cile, paragonabile soltanto alla situazione di nazioni devastate dalla guerra. Le patate, per esempio, sono aumentate del 1.670% (cfr. La Prensa, Santiago, 17-1-1973).

Di fronte a questo panorama, non possono meravigliare le lunghe file che si vedono nelle vie delle città del Cile per comprare prodotti di prima necessità, comprese le sigarette. E’ la miseria socialista, frutto della violazione del diritto di proprietà privata e della instaurazione del collettivismo. Di fronte a questa crisi il governo marxista sta mettendo in pratica il razionamento, controllato dalle Juntas de Abastecimkntos y Precios – commissioni per gli approvvigionamenti e i prezzi – (JAP) per la distribuzione dei generi alimentari. Con questo sistema il governo tenta di dare a ogni famiglia una quantità di generi alimentari proporzionata al numero delle persone che la compongono. Le JAP sono organismi che operano nei quartieri, con lo scopo di controllaree i commercianti e i consumatori. Secondo il ministro delle Finanze e le Juntas de Abastecimientos Y Precios stabiliranno le necessità reali di ogni famiglia.

Questi organismi fanno parte del dispositivo del Partito Comunista per instaurare il suo regime di persecuzione e schiavitù.

(25) Tra tutti i documenti esaminati abbiamo trovato soltanto una  eccezione degna di nota, e cioè la dichiarazione illuminata e intelligente del sacerdote Pedro de la Noi B., professore di filosofia dell’Università Cattolica, pubblicata su La Prensa del 24 aprile 1971, intitolata Gli ottanta sacerdoti e gli altri. In essa, il citato sacerdote confuta la posizione filo-marxista del cosiddetto “gruppo degli ottanta”.

(26) Cfr. Qué Pasa?, n. 55, 4-8-1972

(27) Cfr. El Mercurio, 11-8-1968

(28) Cfr. Fiducia, n. 32.

(29) Cfr. Fiducia, n. 31.

(30)  El Clarín, 7-8-1970.

(31) CIDOC, n. 251

(32) El Mercurio, 26-9-1972.

(33) Prima delle elezioni dirette del 4 settembre 1970, i vescovi avevano deciso di non fare visite di riconoscimento al candidato vincitore, se questi non avesse ottenuto la maggioranza assoluta (cfr. El Mercurio, 6-9-1970). Ma poiché il candidato vincente fu il marxista Allende, benché non avesse ottenuto la maggioranza assoluta, con queste dichiarazioni trovarono il modo di riconoscerlo, per allontanare cosi il sia pur minimo rischio che qualche parlamentare della DC votasse contro di lui nella elezione che il parlamento doveva effettuare il 24 ottobre.

(34) El Diario Austral, 22-4-1971.

(35) Cfr. Mundo 71, giugno 1971.

(36) La Tercera, dicembre 1971.

(37) Ibidem.

(38) Cfr. Tribuna, 25-11-1971.

(39) I conflitti di ottobre costituirono la maggiore manifestazione di scontento contro il governo di Allende espressa dal popolo cileno. Furono originati da uno sciopero del sindacato dei camionisti, al quale aderirono subito commercianti, professionisti e altre categorie, paralizzando praticamente il paese per circa un mese. Il conflitto, nato dalla opposizione dei camionisti di fronte alla minaccia di statalizzazione di un settore delle loro imprese, assunse un evidente carattere di protesta nazionale. Essa fu sintetizzata nella Carta de Reivindicaciones de Chile, presentata dagli scioperanti al governo. In essa esponevano richieste opposte al programma governativo su diversi punti fondamentali.

(40) Tra i numerosi moti di scontento della opinione pubblica contro il governo bisogna sottolineare per la loro ampiezza:

  1. a) La “marcia delle pentole vuote”, nel dicembre del 1971. Più di centomila donne protestarono nelle vie di Santiago contro la mancanza di generi alimentari e in generale contro la politica del governo. Le proteste durarono tutto il mese di dicembre. Quotidianamente si udiva il fracasso delle pentole vuote battute dalle casalinghe, fracasso che diventò la nota caratteristica di tutte le manifestazioni della opposizione.
  2. b) Nell’aprile del 1972 vi furono grandi manifestazioni popolari a Santiago e nelle città più importanti del paese, in difesa dei diritti conculcati e contro le misure del governo. A Santiago, a un solo corteo presero parte più di 750.000 persone.
  3. c) Nell’agosto dello stesso anno si svolsero pure grandi manifestazioni contro il governo di Allende. Vi parteciparono specialmente studenti medi e universitari.
  4. d) Infine, lo sciopero di ottobre già ricordato.

(41) Cfr. El Mercurio 22-10-1972; Ultimas Noticias, 21-10-1972.

(42) Cfr. Ultimas Noticias 21-8-1969.

(43) Cfr. Ultima Hora, 24-2-1969.

(44) Cfr. Fiducia, supplemento al n. 31. La Sacra Congregazione del Sant’Offizio, per mandato e con l’autorità del Sommo Pontefice Pio XII, il primo luglio 1949 emanò un decreto, nel quale condanna in modo categorico il comunismo e ogni collaborazione con esso. Eccone il testo, nella traduzione italiana dell’Osservatore Romano di venerdì 15 luglio 1949:

“A questa Suprema Sacra Congregazione sono stati fatti i seguenti quesiti: 1) se sia lecito iscriversi a Partiti comunisti o dare ad essi appoggio; 2) se sia lecito pubblicare, diffondere o leggere libri, periodici, giornali o fogli volanti, che sostengono la dottrina o la prassi del comunismo, o collaborare in essi con degli scritti; 3) se i fedeli, che compiono consapevolmente e liberamente atti di cui ai nn. 1 e 2 possano essere ammessi ai Sacramenti; 4) se i fedeli che professano la dottrina del Comunismo, materialista e anticristiano, ed anzitutto coloro che la difendono o se ne fanno propagandisti, incorrano ipso facto, come apostati dalla fede cattolica, nella scomunica in modo speciale riservata alla Sede Apostolica.

“Gli Em.mi e Rev.mi Padri, preposti alla tutela della fede e dei costumi, tenuto presente il parere dei Rev.mi Consultori, nell‘adunanza plenaria di Feria III (al posto della IV), del giorno 28 giugno 1949, hanno decretato che si rispondesse: al 1°  Negativamente: il Comunismo, infatti, è materialista e anticristiano; i dirigenti, poi, del Comunismo, benché a parole dichiarino qualche volta di non combattere la Religione, di fatto però, con la teoria e con I’azione, si dimostrano ostili a Dio, alla vera Religione e alla Chiesa di Cristo; al 2° Negativamente: perché proibiti dallo stesso d!ritto canonico (can. 1399); al 3° Negativamente: secondo i principi guardanti il rifiuto dei Sacramenti a coloro che non hanno le necessarie disposizioni; al 4° Affermativamente.

“Nella seguente Feria V, 3a dello stesso mese ed anno, Sua Santità Pio Papa XII, nella consueta Udienza concessa a Sua Eccellenza Rev.ma Mons. Assessore del S. Offizio, ha approvato tale deliberazione degli Em.mi Padri ed ha ordinato che venga promulgata sugli Acta Apostolicae Sedis, Roma, 1° luglio 1949.

(45) El Clarin, 1-11-1970.

(46) Ultima Hora 12-11-1970

(47) Cfr. La Revista Católica, n. 1015, p. 5885.

(48) Cfr. El Siglo, 2-6-1971.

(49) Cfr. Tribuna, 2-5-1972.

(50) Cfr. El Siglo, 24-11-1971, El Clarin, 24-11-1971.

(51) Cfr. Ultma Hora, 27-12-1971.

(52) Cfr. El Mercurio, 22-9-1972.

(53) MIR, Movimento da Izquierda Revolucionaria – Movimento della Sinistra Rivoluzionaria. Gruppo marxista fautore della rivoluzione violenta; versione cilena del movimento Tupamaros uruguayano.

(54) Ercilla, 4-10-11-1970. La sottolineatura è nostra. Gli storici saranno un giorno sconcertati dovendo prendere atto del fatto che il programma al quale il Cile deve la sua miseria fu appoggiato fin dall’inizio dall’episcopato.

(55) Cfr. La Revista Catolica, n. 1015, p. 5885.

(56) Ibidem, p. 5886.

(57) El Clarin, 14-11-1971. Il termine “arricchimento” sembra perfino ironico, trattandosi di una nazione che procede verso la miseria, e di un’altra che si trova già al fondo di essa!

(58) Cfr. El Mercurio, Valparaiso, 29-8-1972.

(59) Cfr. El Mercurio, 29-10-1972.

(60) Vedi il testo alla nota 63, che riporta la lettera della TFP cilena a Paolo VI.

(61) Cfr. PLINIO CORREA DE OLIVEIRA «Trasbordo ideologico inavvertito e dialogo», trad. it., Edizione de L’Alfiere, Napoli 1970.

(62) Identica raccolta a sostegno del messaggio fu promossa dalle TFP brasiliana, argentina e uruguayana, che raccolsero, insieme alla TFP cilena, più di 2.000.000 di firme di sudamericani che sottoscrissero la richiesta diretta a Paolo VI. Come la TFP cilena, neppure le TFP brasiliana, argentina e uruguayana ebbero risposta da Paolo VI.

(63) Testo della lettera della TFP cilena a Paolo VI.

“Buenos Aires 8 ottobre 1970.

Santissimo Padre, noi sottoscritti, giovani dirigenti membri della Sociedad Chilena de Defensa de la Tradición, Familia y Propiedad (TFP), siamo fuori dal Cile perché pensiamo di non avere più garanzie per la nostra libertà di protestare, nei limiti imposti dalla legge e dalla morale cristiana, contro le violazioni dei diritti umani che caratterizzano il regime di imminente instaurazione nella nostra patria.

“Viviamo dunque lontani dalle nostre famiglie e in precarie condizioni economiche. Abbiamo timore per la sorte di queste nostre famiglie, che non hanno potuto lasciare il Cile, ma soprattutto rabbrividiamo di fronte alla prospettiva della perdita di moltissime anime, perché un regime marxista e anticattolico è di per sé un potente elemento di perdizione delle anime.

“Sul limitare della grande tragedia che sovrasta tutto un popolo, ci rivolgiamo a Vostra Santità per chiedervi, come padre sommo della Cristianità, di almeno ora degnarvi di volgere lo sguardo verso il grido di angoscia che parte dal Cile.

“I firmatari di questa lettera sono gli stessi che nel 1968 sottoscrissero, in rappresentanza della TFP cilena e insieme alle TFP del Brasile, Argentina e Uruguay, il reverente e filiale messaggio inviato a Vostra Santità per chiedere che allora si degnasse di adottare urgenti misure per contenere l’infiltrazione comunista negli ambienti cattolici, accompagnandolo con le firme di più di 2.000.000 di sudamericani, tra cui quelle di 120.000 cileni. Speriamo che Vostra Santità almeno ora osservi la condizione dolorosa e pericolosa nella quale questa infiltrazione ha posto il Cile.

“A maggior ragione, dal momento che la prova di questa infiltrazione non viene più da ambienti che potrebbero essere guardati con sospetto in quanto mal disposti nei confronti del Nuovo Ordine, ma è data dall’esponente stesso di questo Nuovo Ordine, cioè dal candidato marxista Allende. Come Vostra Santità potrà constatare, tale candidato afferma che la Chiesa in Cile ha integralmente fatta propria la dottrina massonica, che non è altro che la dottrina marxista, in una recente intervista concessa a Santiago al quotidiano New York Times. Ecco infatti il testo cui facciamo riferimento e che qui di seguito riportiamo:

 “Domanda: Nella sua qualità di massone, considera la Chiesa cattolica un potenziale elemento di opposizione al suo governo?

“Risposta (di Allende): “Credo che sia perfettamente noto che le vecchie incompatibilità tra la massoneria e Chiesa sono superate. Il fatto più importante è che la Chiesa ha subito mutamenti fondamentali. Per secoli la Chiesa cattolica ha difeso gli interessi dei potenti. Oggi, dopo Giovanni XXIII, essa si è orientata, almeno in alcuni luoghi, nella direzione di tradurre il Vangelo di Cristo in realtà. Ho avuto occasione di leggere la dichiarazione dei vescovi (dell’America Latina) a Medellin (Colombia, durante la Seconda Conferenza dell’episcopato latino-americano ivi tenuta nel 1968), e il linguaggio usato è lo stesso che usiamo dalla nostra iniziazione alla vita politica, da trent’anni. A quel tempo, eravamo condannati per il linguaggio usato oggi dai vescovi cattolici. Credo che la Chiesa non sarà un fattore di opposizione al governo di Unidad Popular. Al contrario, sarà un elemento a nostro favore, poiché tenteremo di tradurre in pratica il pensiero cristiano”.

“Supplichiamo dunque Vostra Santità affinché, in questa ora drammatica, faccia udire la Sua augusta voce, ancora in tempo per salvare una nazione cattolica che è ormai sull’orlo dell’abisso. Ai piedi di Vostra Santità, chiedono la benedizione apostolica”,

(Seguono le firme di ventisei membri della TFP cilena)

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