La bellezza della Cavalleria

Brani di una riunione per soci e cooperatori della TFP brasiliana in partenza per una campagna di raccolta di firme per chiedere a Papa Paolo VI misure contro l’infiltrazione comunista nella Chiesa, 17 luglio 1968. I sottotitoli sono redazionali.

 

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di Plinio Corrêa de Oliveira
C’è una forma di ammirazione che si prova per il cavaliere che non si prova per altre forme di pienezza che l’uomo può raggiungere: pienezza di saggezza e scienza, pienezza di senso diplomatico o tatto politico, pienezza di gusto artistico o oratoria, ecc. Nessuna di queste pienezze sembra avere alcun valore se le confrontiamo con la cavalleria.
Il cavaliere che parte per la crociata con una croce incisa sul petto e l’iscrizione Deus vult. Con il suo elmo di metallo, piumato, con spada e scudo, tutto immerso nel sole, mentre si lancia in battaglia! Il cavaliere sembra realizzare la pienezza umana in un modo più straordinario di qualsiasi altra forma di pienezza.
Cosa c’è di straordinario nell’ideale di cavalleria che ispira così tanti uomini? A tal punto che oggi, quando si vuole elogiare un uomo e dire che è un uomo completo, una delle forme di lode è dire che è un perfetto cavaliere. In altre parole, un uomo perfettamente virile, nel senso più nobile del termine, è un perfetto cavaliere: allo stesso tempo coraggioso e cortese, condiscendente, gentile, pieno di gentilezza, ma audace, audace e sicuro di sé.
Perché nella TFP amiamo così tanto la cavalleria? Sembrerebbe che alla TFP manchi tutto ciò che è inerente alla cavalleria. Tuttavia, la verità è che, quando parliamo della nostra vocazione e del nostro ideale, tali nozioni esprimono tutta la loro fiamma e la loro piena misura se le accostiamo al concetto di Cavalleria.
Si potrebbe dire che il concetto di cavalleria è per noi ciò che il pennacchio è per l’elmo di un cavaliere. L’elmo può essere il più bello possibile, ma senza il pennacchio che svolazza al vento l’elmo non realizza tutta la sua bellezza. Il pennacchio dell’elmo è l’ideale del cavaliere. Qual è, precisamente, questo ideale? Cos’è la Cavalleria?
L’essenza della Cavalleria: l’ideale cattolico
L’elemento principale dell’ideale cavalleresco è l’alto ideale per cui il cavaliere combatte. Il primo elemento che definisce un cavaliere è che è un cattolico, apostolico, romano. Ma non un cattolico qualsiasi. Egli è un cattolico, apostolico, romano che vive per la causa della Chiesa, che vuole che la causa della Chiesa vinca in ogni modo, sotto ogni aspetto.
Un missionario, un predicatore, un cultore dell’arte sacra possono desiderare che la causa della Chiesa vinca. Il cavaliere non solo serve la causa della Chiesa, ma coglie il bisogno più urgente della Chiesa in quel momento e lo soddisfa. Ad esempio, la lotta contro i musulmani era a quel tempo una necessità primaria. Che senso aveva avere università, costruire cattedrali e castelli, creare una splendida civiltà se i musulmani arrivavano e distruggevano tutto? La lotta contro i mori era così importante che tutto il resto dipendeva da essa. Se i cattolici avessero vinto, avrebbero potuto sperare tutto; se non avessero vinto, tutto sarebbe andato perduto.
Si tratta di una forma particolare di senso cattolico per cui il cavaliere si occupa della causa più importante. Egli si dedica alla salvezza pubblica della causa cattolica, dalla quale tutto il resto dipende.
La bellezza del rischio
Un altro elemento essenziale della Cavalleria è il gusto del rischio. Il cavaliere combatte rischiando la vita. Tutto ciò che ha, tutto ciò che può diventare, egli lo espone per l’ideale. Ecco l’idea dell’eroe cattolico che va incontro alla morte per difendere la Chiesa e la Civiltà cattolica.
Questa nozione del gusto del rischio, del pericolo e del sacrificio va particolarmente sottolineata, perché è in essa che troviamo il tratto più caratteristico del cavaliere.
L’uomo è terrorizzato dal rischio. L’istinto di conservazione e il buon senso lo spingono a proteggersi. Chiunque si trovi di fronte al pericolo ha paura e cerca ragionevolmente di fuggire. Una persona di grande eroismo può affrontare un pericolo con rassegnazione. Ad esempio, qualcuno che cura malati durante un’epidemia di meningite. È un atto di coraggio perché la malattia può essere contagiosa. Ma egli cura i malati, rassegnandosi al rischio.
Un cavaliere va in guerra con rassegnazione? No! Un cavaliere non si rassegna ad andare in guerra. Egli prova euforia, gioia.
Qual è la base della gioia del cavaliere, dell’euforia che egli prova per il rischio? Come può un rischio trasformarsi in gioia per un uomo? Allora comprenderemo la Cavalleria e capiremo meglio di ogni altro aspetto come la TFP possa praticare lo spirito di un cavaliere.
Per ciò che sente in sé stesso e per la dottrina cattolica, l’uomo sa di essere una creatura. Non è esistito sempre, è stato creato, è nato e morirà. La morte fa parte della natura umana. L’uomo sarebbe mortale anche se non ci fosse il peccato originale. Per natura, Adamo ed Eva erano mortali. Dio diede loro la grazia dell’immortalità come dono gratuito. Tolto questo dono, divennero di nuovo soggetti alla morte.
Se Adamo ed Eva non avessero peccato, la fine della loro vita sarebbe stata un’apoteosi, una glorificazione attraverso la loro unione con Dio. Sarebbero saliti di virtù in virtù, raggiungendo la virtù perfetta; Dio li avrebbe allora chiamati a sé in Cielo. In ogni caso, avrebbero dovuto lasciare questa terra.
Qual è il principio dietro a ciò? San Tommaso d’Aquino afferma che il movimento perfetto è quello che ritorna alla propria causa. Perciò, la figura perfetta è il cerchio. Le creature di Dio nascono, vivono e alla fine ritornano a Dio. San Tommaso afferma che la gloria è l’effetto che ritorna alla propria causa e ne mostra la perfezione. L’uomo, creato da Dio, deve tornare a Dio.
Se Dio non avesse tolto l’immortalità a Adamo, e lui fosse morto, sarebbe stato comunque bello. Nonostante l’aspetto sinistro della morte, avrebbe avuto forse, da un certo punto di vista, una bellezza maggiore. L’uomo sa che, terminato il suo pellegrinaggio sulla terra, deve attraversare una distruzione, cioè la separazione dell’anima dal corpo, per ritornare a Dio e rendergli gloria. Egli si immerge in questa distruzione con un atto di adorazione e dice: “Dio, sei così perfetto, così celeste, in una parola, così divino, che voglio unirmi a te, anche se devo percorrere questa valle profonda. Tu meriti la mia distruzione poiché mi hai creato. Accetto la mia distruzione in lode a Te che mi hai creato. So che risorgerò per unirmi a Te per tutta l’eternità”.
C’è quindi una gioia nel morire, che consiste nel ritornare alla nostra Causa e nel darle gloria. Consiste nel comprendere la sublimità di questo atto con cui l’uomo, per amore e la gloria di Dio, accetta di morire, sapendo che così sarà preso da Dio, sarà quasi assunto da Dio. Per quanto triste possa essere, la morte dell’uomo in stato di grazia è una cosa sublime! La morte in stato di grazia è un atto bello, anche se per arrivarci si deve tagliare un traguardo tremendo. L’uomo con Fede accetta la sofferenza e si immerge nella morte, capendone tutta la bellezza.
In certo senso, morire è più bello di vivere. La morte è l’auge della vita. Ecco l’idea dietro alla Cavalleria. Il cavaliere che si lancia a capofitto contro l’avversario per liberare il Santo Sepolcro sa che può essere ucciso, ma capisce che egli è fatto per la morte e, in olocausto al Dio che gli ha dato la vita, dona la sua vita a Dio. Nel momento in cui restituisce a Dio la vita ricevuta, viene preso da Dio e si unisce a Lui per tutta l’eternità, entrando nella gloria. Egli compie questo salto nel buio per trovare la luce eterna dall’altra parte. La logica con cui si butta ha una chiarezza di comprensione e una bellezza unica perché capisce che è l’azione più bella che egli può compiere. Ecco la dignità del cavaliere che sente il gusto per il rischio.
Quando il cavaliere corre un rischio così, egli sfiora la divinità, si sente avvolto da Dio, pronto ad essere afferrato in qualsiasi momento. Allora l’uomo si eleva al di sopra di ogni cosa contingente, di ogni cosa transitoria, e comprende che tutto su questa terra è nulla, che l’unica cosa che conta è Dio, e che Dio è eterno. Questi è di un’altezza, di un’elevazione, di una purezza, di una nobiltà che non può essere paragonata a nulla.
Mi viene in mente la bellezza di un paracadutista che si lancia da un aereo di notte per andare in battaglia. Si lancia nel vuoto e scende tra fasci di luce che lo cercano per mitragliarlo. Spara anche. La sua vita è appesa a un filo e la morte lo circonda da ogni parte, mentre fende il vento freddo e l’aria pura delle altezze. Sente di sfiorare Dio, di essere quasi in contatto con Dio. Atterra, estrae l’arma e si lancia all’assalto!
Egli sa due cose: che sta combattendo per Dio e che si sta sacrificando per Dio. Dall’alto del Cielo, gli angeli lo accompagnano e gli sorridono, cantando e rendendo gloria a Dio per la sua disponibilità a morire per Dio. Se muore, viene portato in Cielo. Se non muore, ha, per così dire, già varcato la soglia della vita. Potrà per sempre vantarsene: ho visto la morte in faccia!
C’è un’altra bellezza. A volte una persona ha la sensazione che Dio non voglia che muoia. Offre la propria vita, sarebbe disposta a morire, ma sa che Dio non vuole che muoia. Allora prova una sorta di fiducia che Dio, in mezzo a mille rischi, la proteggerà. In questo misto di rischio e protezione, tocca comunque Dio.
In ogni caso, per il vero cattolico, il rischio e la morte sono vie per elevarsi splendidamente a Dio. Sono stati d’animo di grande unione con Dio. Ecco la bellezza del rischio e della morte.
C’è anche un’altra bellezza che dobbiamo considerare: la bellezza della lotta. Morire è bello. I martiri sono morti, le vittime della Rivoluzione francese sono morte. Offrirsi come vittima è bello. Ma combattere ha una bellezza speciale.
La bellezza del combattimento
Qual è la bellezza del combattimento?
Dio è il creatore di tutte le cose. Egli associa l’uomo alla Sua opera creativa in due modi: un modo è attraverso la paternità spirituale e fisica. Voi sapete cos’è la paternità fisica. Cos’è la paternità spirituale? Significa generare un altro per la vita eterna. Attraverso l’apostolato si porta un altro ad appartenere alla Madonna, preparandolo così alla vita eterna. È come avere un figlio. Ecco un modo in cui ci associamo all’opera creativa di Dio.
Ma c’è un altro modo in cui ci associamo all’opera creativa di Dio: sterminare ciò che non dovrebbe esistere. È come creare. Uccidere è una prerogativa di Dio. Chiunque uccida qualcuno che, secondo il piano di Dio, secondo la Legge naturale e divina, dovrebbe essere ucciso, esercita una prerogativa divina.
Il caso classico è la legittima difesa, non solo personale o del Paese, ma soprattutto della Chiesa. Secondo il diritto naturale e il Magistero della Chiesa, i cristiani hanno il diritto di uccidere in difesa della Santa Chiesa Cattolica Apostolica Romana. La morale cattolica lo consente. Questo esercizio della giustizia, guidato da una partecipazione all’ira di Dio, ha una bellezza speciale.
Ed ecco il cavaliere che avanza non solo disposto a morire ma anche a uccidere, se necessario, perché la vita soprannaturale si diffonda sulla terra. Egli rappresenta Dio, sta esercitando una prerogativa divina.
Questa è la bellezza delle Crociate, quando i cavalieri cristiani attaccavano eserciti musulmani spesso superiori. Qual è la bellezza di tutto questo? I musulmani non avrebbero dovuto esistere lì; avevano invaso l’Impero cristiano e impedivano la predicazione del Vangelo in quelle terre. Quindi, dovevano essere rimossi. I cavalieri piombavano sui musulmani con una furia della quale è simbolo il tuono. Il tuono è bellissimo. Dà l’impressione di una volontà divina di distruggere ciò che non dovrebbe esistere, che abbatte un ostacolo dopo l’altro. È una sinfonia! Per me, più bello del tuono è solo l’organo.
Questa è l’anima del cavaliere cristiano quando avanza, spinto da santa ira, e uccide i suoi nemici. Alla fine della giornata, dopo la battaglia, è come un tuono che ha scaricato tutta la sua elettricità, e poi riposa placidamente perché la sua santa ira è stata soddisfatta. Nel riposo, dopo essere stato graffiato dalla morte, egli mantiene la familiarità con la morte, che è familiarità con Dio. Ecco la bellezza della vita del guerriero.
Ecco perché amiamo così tanto la Cavalleria.
Una vocazione unica
Cosa differenzia un cavaliere dalle altre vocazioni nella Chiesa? Prendiamo, ad esempio, sacerdoti e suore dei bei tempi, che si esponevano alla morte contraendo malattie o divorati dai selvaggi durante le missioni. Sono persone ammirevoli, e molti sono martiri canonizzati. Possa il loro sangue ottenere da Dio tante grazie per noi. Tuttavia, niente di tutto questo fa un cavaliere.
Il cavaliere non è colui che si rassegna alla morte, ma colui che cammina verso la morte con entusiasmo. Non solo si rassegna al pericolo, ma ne ha fame. Non si rassegna alla lotta, ma ne ha fame. È la santa ebbrezza che si prova in contatto con Dio.
Il cavaliere è un artista della lotta, egli ama la lotta bella, la lotta nobile, la lotta elevata. Per questo si adorna per combattere, per questo osserva le regole del combattimento, e per questo, quando muore, sente di aver fatto un’opera d’arte. Questa gioia, questo entusiasmo, questo senso artistico del combattimento caratterizzano il vero cavaliere.
Si comprende che il cavaliere veniva abitualmente elevato al rango di nobile, perché è incomparabilmente più elevato e dignitoso avere questo spirito che dedicarsi ad attività lecite e necessarie, ma prive di questo contatto con il divino.
Da qui anche la cerimonia di investitura, che prevedeva una veglia d’armi e poi la consacrazione da parte di un sacerdote o di un vescovo, che conferiva il sacramentale per portare le armi per il bene della Chiesa, cioè per la difesa della Fede e la lotta contro le eresie, nonché per la difesa delle vedove, dei poveri, degli orfani e dei deboli.
Il cavaliere accettava di essere un combattente della buona battaglia e aveva presente che doveva praticare una costante abnegazione. Questa abnegazione è un olocausto di sé a Dio.
TFP: cavalleria moderna
Applichiamo tutto questo alla TFP. Un vero membro della TFP è colui che sa, in primo luogo, di essere cattolico, apostolico, romano nel senso più pieno del termine e, per questo, schiavo della Madonna. In secondo luogo, colui che combatte per cause essenziali. Se la Contro-Rivoluzione vince la partita, potremmo avere secoli di gloriosa civiltà cristiana prima della fine del mondo. Se perde, la civiltà cristiana cadrà, e nessuno sa quanto in basso affonderà il mondo, e forse la fine del mondo arriverà.
Se la Rivoluzione non è vinta, a cosa serve qualsiasi altra cosa? La TFP si oppone alla Rivoluzione come gli antichi cavalieri erano contro i musulmani. Noi siamo i controrivoluzionari per eccellenza, come loro erano gli anti-musulmani per eccellenza.
Viviamo in un’epoca in cui il combattimento non è solo fisico. Ai nostri tempi, l’aspetto principale della guerra non è lo sforzo materiale, ma quello intellettuale. Oggigiorno, più persone vengono conquistate attraverso la guerra psicologica che attraverso la guerra militare. Le più grandi conquiste della Rivoluzione non sono con le armi, ma con l’inganno. E contro queste forme di conquista psicologica, o c’è una riconquista psicologica o non andiamo da nessuna parte. Quindi, siamo contro la Rivoluzione che brandisce idee, e noi usiamo pure le idee. La nostra azione va al punto fondamentale.
C’è un rischio? Sì, compresa la morte. Ma non è il principale. Oggi dobbiamo affrontare il discredito di non essere più considerati, amati, ammirati. Corriamo il rischio di essere odiati, disprezzati socialmente. E questo richiede più coraggio della lotta armata. La prova di ciò è che nelle guerre, molte persone vanno a combattere per paura delle risate.
Questo tipo di coraggio è richiesto da voi. Se l’uomo teme il ridicolo più della morte, affrontandolo rende un’immolazione a Dio più preziosa della morte stessa. Pertanto, sfiorare continuamente il ridicolo, affrontare il ridicolo, non curarsi delle opinioni altrui, pestare i piedi agli altri, significa essere un cavaliere. Quando un uomo fa questo, capisce di essere unito a Dio e prova piacere nell’essere vilipeso, insultato, a testa alta, a reagire e a combattere. Lo fa non con rassegnazione, ma con piacere; è un cavaliere perfetto.
Una delle cose che più colpisce il pubblico della TFP è il coraggio dei suoi membri. Cioè, come affrontano le risate e le aggressioni. Nelle campagne c’è una grazia speciale per la quale i membri della TFP sembrano sventolare come stendardi al vento. A volte, nella vita quotidiana, siamo come bandiere che pendono molli lungo il palo, prive di ogni vita. Ma poi, quando arriva il momento delle campagne e soffia il vento della grazia, siamo come stendardi spiegati al vento. E allora diventiamo come atemporali, assunti dall’ideale e così osiamo tutto. Credo che sia una grazia speciale, una sorta di sole che brilla sulle nostre campagne. È una grazia speciale che partecipa della grazia della cavalleria.
E così serviamo la Madonna. Dobbiamo tenere sempre in mente che servire la Madonna non è un favore che noi facciamo a Lei, bensì un favore che Lei ci fa, di chiamarci al suo servizio e darci le forze per questo. La Madonna merita di essere servita, non è un atto di misericordia, ma un tributo della giustizia.

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Fonte: Riunione per soci e cooperatori della TFP brasiliana, in procinto di iniziare una campagna di raccolta di firme per chiedere a Papa Paolo VI misure contro l’infiltrazione comunista nella Chiesa, 17 luglio 1968. In cinquanta giorni furono raccolte 1.600.368 firme, alle quali si sarebbero aggiunte altre 424.833 raccolte in Argentina, Cile e Uruguay. La risposta di Papa Montini fu il silenzio…

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