La grande divisione nella Chiesa Cattolica: tradizionalisti e progressisti – Chi avrà la vittoria?

Apertura della XXVI SEFAC (Settimana Specializzata per la Formazione Anticomunista), 15 gennaio 1976

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di Plinio Corrêa de Oliveira

 

Credo sia conveniente iniziare i giorni di studio che state per intraprendere rispondendo a una domanda fondamentale, che si pone all’inizio di ogni corso di studi. La questione è questa: nel complesso dei problemi moderni con i quali dovrete confrontarvi oggi, nella situazione in cui vivrete e alla giovane età che avete, quale importanza concreta hanno le questioni che studieremo qui? Quale relazione hanno con il mondo attuale, con il quale siete in contatto?
Mi sembra che la formulazione di questa domanda richieda una risposta piuttosto dettagliata e un po’ estesa, affinché sia chiarita in modo adeguato. Una volta posti, e ben posti, i punti fondamentali dell’argomento, vi sarà facile comprendere che non esiste, in assoluto, tematica più importante nel mondo moderno di quella di cui ci occuperemo in questi giorni.
Qual è il fondo di tutti i problemi che si studiano oggi? Potete notare che attualmente vi è una grande disorganizzazione, una lotta di nazioni contro nazioni, una grande lotta di classi sociali le une contro le altre, di interessi economici, culturali, ecc. Sotto ogni punto di vista, lo scontro è la grande caratteristica del mondo contemporaneo. Se aprite un giornale, di qualunque paese — Stati Uniti, Argentina, Bolivia, Cile o altrove — ciò che vedete è lo scontro, la lotta.
Qual è la causa profonda di questa lotta?
È, evidentemente, un disaccordo di interessi. Tuttavia, al di là del disaccordo di interessi, vi è il disaccordo delle idee. Perché contrasti d’interessi tra gli uomini ci sono sempre stati; ma quando gli uomini condividono le stesse idee, riescono a trovare un modo per risolvere tali contrasti. Quando, invece, oltre al conflitto di interessi, non c’è accordo nemmeno nelle idee, allora lo scontro è totale.
In tal caso, la situazione — se non è una situazione di guerra aperta — non può comunque essere definita una situazione di pace. Ed è precisamente questa la condizione del mondo contemporaneo.
Ora, la Storia ci insegna — e ce lo ha insegnato in modo particolare il Pontefice Leone XIII — che vi fu un tempo in cui non si può dire che regnasse una pace totale e assoluta, ma sugli argomenti fondamentali gli uomini erano concordi tra loro. Almeno in Europa vi era un consenso essenziale, una reciproca comprensione di fondo, pur con guerre occasionali da una parte e dall’altra.
Quest’epoca fu la parte aurea del Medioevo, della quale Leone XIII affermò, in una sua Enciclica, che rappresentò l’apice della civiltà cristiana.
Se osserviamo bene il corso della Storia, si nota un fatto che porta spontaneamente a una domanda: se, per esempio, nel XIII secolo — secondo il giudizio di Leone XIII, grande Papa, uomo di intelligenza straordinaria, celebre per la sua cultura ed erudizione, considerato uno dei più grandi intellettuali del suo tempo — si toccò l’apice della civiltà cristiana, perché essa declinò? Perché non continuò a crescere? Perché non progredì verso un ordine, una concordia e una pace ancora più perfetti, invece di giungere allo stato di lotta estrema in cui siamo oggi?
A questa domanda si dà una risposta che, in linea generale, già conoscete: vi fu una decadenza della Chiesa; vi fu una decadenza della civiltà cristiana; e a causa di questa decadenza religiosa seguì una lenta decadenza della civiltà. Per tale motivo ci troviamo oggi nella situazione attuale.
Quanto sto dicendo, dal punto di vista storico, si potrebbe facilmente dimostrare con prove documentate. È vero che, dopo il Medioevo, il mondo continuò a crescere e a svilupparsi sotto vari aspetti; ma è altrettanto vero che, quanto più si sviluppava, tanto più gravi diventavano i suoi problemi, e che questo sviluppo era superficiale, come può accadere a un giovane.
Un giovane può essere gravemente malato e, nondimeno, continuare a crescere. E mentre cresce, la malattia cresce con lui. Alla fine, se la malattia non viene curata adeguatamente, quel giovane muore… più grande di prima, ma più malato che mai.
Questo è ciò che è accaduto alla società contemporanea: sempre più malata, e al tempo stesso sempre più ricca, potente, tecnica, organizzata… fino a crollare nello scontro che oggi vediamo. Tutto ciò si potrebbe dimostrare facilmente con un’esposizione storica, come potrete constatare nei giorni di studio che farete qui ad Amparo.
Il problema delle dimostrazioni storiche, però, è che richiedono molto tempo: bisogna prendere in esame vari fatti e analizzarli attentamente. È naturale, dunque, che ciò esiga tempo.
Preferisco, quindi, dare alla stessa affermazione — ossia che la causa della crisi contemporanea è religiosa e che il mondo di oggi troverà soluzione solo quando affronterà la sua crisi religiosa — una dimostrazione teorica. Questa, pur appoggiandosi su una solida base storica, ha il vantaggio di essere più breve e di condurre più rapidamente a una conclusione chiara.
Questa dimostrazione è valida per i cattolici. E poiché qui mi rivolgo a un uditorio cattolico, apostolico e romano, che ammette come vera la Chiesa Cattolica, posso partire dalla verità della sua dottrina e sviluppare il ragionamento conseguente.
Comincio dunque col porvi una domanda: qual è la ragione per cui esistono i Dieci Comandamenti della Legge di Dio, elementi fondamentali della morale cattolica e cristiana? Perché Dio ha proibito all’uomo di compiere le azioni vietate nei Dieci Comandamenti? E perché ha dato all’uomo il grande precetto positivo e obbligatorio del Primo Comandamento — “Amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima…”?
San Tommaso d’Aquino lo spiega in modo eccelso: Dio è l’Autore dell’universo; in quanto Autore dell’universo, è Autore della natura; e in quanto Autore della natura, è Autore delle leggi che la governano. Tutta la natura è retta da leggi, che Dio ha stabilito nel momento stesso in cui ha creato l’universo.
Esiste la natura degli esseri privi di vita; la natura degli esseri viventi privi di anima spirituale; e la natura degli esseri viventi dotati di anima spirituale. L’insieme di questi tre ordini di esseri costituisce l’universo, e ciascuno di essi è regolato da leggi proprie. Alcune leggi sono generali e comuni a tutte le creature, animate e inanimate, razionali e irrazionali; altre sono specifiche della creatura razionale.
Queste leggi corrispondono alla natura di ciascun essere; e proprio perché corrispondono alla natura dell’uomo, Dio le ha codificate nei Dieci Comandamenti, affinché egli le conoscesse: per far sì che conosca le leggi fondamentali da osservare per vivere in ordine, glorificare Dio e trarre dall’universo tutti i benefici che il Creatore ha voluto concedere all’uomo mediante un uso retto delle cose create.
Se dunque ci chiediamo perché l’uomo debba amare Dio sopra ogni cosa, la risposta è questa: ciò deriva dalla natura di Dio e dalla natura dell’uomo. Dio è un Essere infinito, perfettissimo, modello, fonte ed essenza di ogni santità; l’uomo, creatura fatta a Sua immagine, è stato creato per adorare un Essere così perfetto e per diventargli simile.
Ecco perché gli si comanda di amare Dio: amandolo, diventa simile a Lui; diventando simile a Lui, compie la Sua volontà. È nella stessa natura delle cose che l’uomo debba amare Dio.
Perché l’uomo non deve nominare invano il Santo Nome di Dio? Il Nome di Dio è simbolo della Persona divina, così come i nostri nomi sono simbolo delle nostre persone. Nessuno può ritenersi soddisfatto se il proprio nome viene pronunciato in modo offensivo, perché offendere il nome significa offendere la persona.
Allo stesso modo, chi usa invano o oltraggia il Nome di Dio pecca contro la natura di Dio, che ha diritto alla nostra venerazione.
E così si potrebbe passare in rassegna tutti gli altri Comandamenti, mostrando che ciascuno di essi non è altro che l’espressione della legge naturale sotto un determinato aspetto.
Per esempio: perché non è lecito a un uomo uccidere un altro uomo? Perché, per natura, ogni uomo è padrone di sé stesso, ma nessuno è padrone della vita altrui. Togliere la vita a un altro significa commettere una gravissima forma di furto: è contro la natura stessa dell’uomo essere ucciso da un altro.
“Non rubare” e “Non desiderare i beni altrui”: perché? Perché l’uomo ha diritto alla proprietà. È nella sua natura essere padrone di sé; se lavora e, con il suo lavoro, produce qualcosa, ne è proprietario. La proprietà, dunque, è una conseguenza intrinseca alla natura umana. Chi ruba il frutto del lavoro altrui viola questa natura.
In breve: analizzando i Dieci Comandamenti, si scopre che essi costituiscono il codice più perfetto e sublime dell’ordine naturale stabilito da Dio.
Ora, immaginate un Paese in cui tutti osservano i Dieci Comandamenti: potrete facilmente concludere che si tratta di un Paese perfetto.
Uso qui un argomento di Sant’Agostino, grande Vescovo di Ippona e Dottore della Chiesa: pensate a una scuola in cui il direttore e i professori osservano perfettamente i Dieci Comandamenti, e lo stesso fanno tutti gli alunni.
In una scuola simile, l’insegnamento sarà il migliore possibile, perché direttore e professori, per giustificare la retribuzione che ricevono dai genitori, si impegneranno a dare le lezioni migliori. Gli alunni, dal canto loro, studieranno al massimo delle loro possibilità.
Se i professori e gli alunni sono molto intelligenti, la scuola sarà eccellente; se sono mediocri, non sarà comunque una scuola mediocre, ma una buona scuola: perché, quando anche i mediocri traggono il massimo dal proprio talento, il risultato è buono.
Ecco perché il principale elemento di una scuola non sono gli edifici, i materiali didattici o l’aria condizionata per le giornate calde: la cosa principale è che direttori, insegnanti e alunni siano buoni cattolici praticanti. Quando lo sono, tutto il resto finisce per organizzarsi; quando non lo sono, nessuno trae beneficio e si arriva al disastro.
Lo stesso vale per altri ambiti: piantagioni, allevamenti, aziende… Se proprietari e lavoratori sono buoni cattolici, la terra produce quanto può di meglio; se non lo sono, col tempo arrivano conflitti, divisioni, scioperi, crisi e incomprensioni, fino alla rovina.
Non dispongo di molto tempo, ma potete fare voi stessi l’esperimento mentale: immaginate un Paese in cui tutti siano cattolici, qualunque sia la forma di governo — una monarchia come quella di San Luigi nel XIII secolo, o una repubblica come l’Ecuador ai tempi di García Moreno.
Se il capo dello Stato è un vero cattolico — come lo fu San Luigi, come lo fu García Moreno — e se il popolo è veramente cattolico, quel Paese progredisce. Ma se non lo è, decade.
La ragione è semplice: il vero cattolico conosce le leggi fondamentali della natura, che sono i Dieci Comandamenti. Chi non li conosce, non può osservarli. Il risultato è la decadenza.
Qualcuno potrebbe obiettare: “Ma i protestanti conoscono i Dieci Comandamenti. Come si spiega, allora, che nei Paesi protestanti ci siano tante crisi?”
La risposta è facile: li interpretano male. Ad esempio, ammettono il divorzio. Il Nono Comandamento proibisce di desiderare la donna d’altri; i protestanti lo interpretano ammettendo il divorzio, che permette di sposare la donna d’altri o l’uomo d’altri. Così si distrugge la famiglia.
Non basta, quindi, conoscere i Dieci Comandamenti: bisogna conoscerli bene. E per conoscerli bene, occorre un’autorità infallibile che li interpreti e li insegni correttamente.
Questa autorità, in termini pratici ed efficaci, esiste solo nella Chiesa Cattolica, Apostolica e Romana.
Da ciò si trae una conseguenza: i Dieci Comandamenti della Legge di Dio sarebbero inutili per l’umanità se non ci fosse la Chiesa Cattolica, Apostolica e Romana. Solo nelle mani della Chiesa questi Comandamenti sono veramente utilizzabili.
Prendiamo, per esempio, i greci scismatici. Essi ammettono l’infallibilità, come i cattolici, ma non quella del Papa: solo l’infallibilità di tutti i vescovi della terra riuniti insieme. Ma come si potrebbe, ogni anno, convocare una riunione plenaria di tutti i vescovi del mondo? È impossibile.
Il risultato è che l’esercizio dell’infallibilità, secondo il loro sistema, è talmente difficile che, da quando si sono separati da Roma, non hanno mai celebrato un Concilio generale infallibile. La loro stessa storia dimostra l’impraticabilità della struttura che si sono dati.
La Chiesa, invece, ha celebrato numerosi Concili con risultati importanti.
Ecco, dunque, il filo del mio ragionamento:
  • l’ordine naturale è la condizione di ogni ordine;
  • l’ordine naturale si conosce nei Comandamenti;
  • i Comandamenti si conoscono solo se sono interpretati correttamente;
  • la corretta interpretazione presuppone l’infallibilità;
  • l’infallibilità praticabile si trova solo nella Santa Chiesa Cattolica, Apostolica e Romana, infallibile nella riunione dei Vescovi col Papa, ma anche nella persona stessa del Papa, che ha la missione di insegnare infallibilmente e di guidare gli uomini alla conoscenza dei Dieci Comandamenti.
Ma è tutto qui? Basta conoscere i Dieci Comandamenti per osservarli? In realtà, no. È facile leggere i Comandamenti e riconoscerne la sublimità, desiderando metterli in pratica; ma, quando arriva il momento di viverli concretamente, cominciano le difficoltà.
Tutti noi sappiamo quanto sia arduo osservare i Comandamenti: è complicato!
Come può, dunque, un uomo avere la forza di osservarli?
Oggi, tra i “figli delle tenebre”, circola l’idea che la morale cattolica sia così difficile e austera da risultare impossibile per l’uomo.
Qual è la risposta della Chiesa a questa obiezione?
Prendiamo l’esempio della purezza, della castità. È vero: la castità è una virtù molto difficile da praticare — solo uno sciocco potrebbe sostenere il contrario.
Come si può, allora, esigere da un uomo la pratica della castità?
La Chiesa risponde in modo mirabile:
  • Primo, Dio non può comandare l’impossibile.
  • Secondo, per la natura umana, l’osservanza prolungata e perfetta dei Dieci Comandamenti è impossibile. Per quanto virtuosa, una persona non riesce, con le sole proprie forze, a praticarli sempre.
Poiché Dio ordina di osservarli, ne consegue che Egli dà all’uomo la forza per farlo: una forza soprannaturale, creata da Lui, di natura superiore a quella umana, che rende possibile, ad esempio, essere puri e casti.
Dunque, l’uomo puro e la donna pura sono, secondo la dottrina cattolica, un miracolo. Un miracolo frequente, alla portata di tutti coloro che vogliono utilizzare la grazia che Dio concede; ma pur sempre un miracolo, nel senso che non è possibile praticare una castità duratura e completa senza la grazia di Dio.
Questa grazia Dio la offre a tutti; bisogna chiederla, e chi la chiede la ottiene. Con essa, qualunque persona di buona volontà, dotata di spirito di sacrificio e coerente con le proprie risoluzioni, può vivere castamente.
L’esperienza lo conferma: dove non c’è la Chiesa Cattolica, non c’è — ad esempio — il celibato sacerdotale. Tra i protestanti non esiste; tra i greci scismatici, una delle prime riforme dopo la separazione da Roma fu l’abolizione del celibato dei sacerdoti.
Nella Chiesa Cattolica, invece, il celibato esiste. E ci furono tempi in cui era effettivo e autentico, quando la grande maggioranza — se non la totalità — dei sacerdoti viveva castamente. Lo stesso valeva per le suore, e per moltissimi laici, puri anch’essi, a migliaia.
Non perché l’uomo avesse forza propria per farlo, ma perché la grazia soprannaturale, discesa dal Cielo, dava questa possibilità: l’opera più straordinaria dell’universo.
La più grande meraviglia non è un grattacielo o una centrale atomica, ma un uomo o una donna che osserva i Dieci Comandamenti della Legge di Dio: un dono immenso, un capolavoro di Dio.
Questo capolavoro — l’uomo che vive secondo i Comandamenti — è la condizione stessa della civiltà.
Cos’è la civiltà?
Non entrerò qui in una definizione tecnica, ma in modo sommario si può dire che il “civilizzato” è l’opposto del “barbaro”: tutte le azioni che caratterizzano il barbaro sono contrarie a quelle del civilizzato.
Se la barbarie è lo stato di maggiore umiliazione in cui può trovarsi l’umanità, è naturale che lo stato di maggiore gloria sia la civiltà.
E qual è l’uomo civilizzato per eccellenza? L’apice della civiltà è essere un buon cattolico. Chi lo è, possiede le virtù morali che il barbaro non ha, proprie del cristiano; grazie ad esse, trae pieno vantaggio dalle proprie qualità naturali, raggiungendo la condizione di civilizzato perfetto.
Qualcuno potrebbe obiettare che vi furono popoli con grande civiltà senza essere cattolici, come i greci. È vero che, sotto certi aspetti, i greci furono altamente civilizzati; ma avevano anche aspetti che erano pura barbarie.
Per esempio, la schiavitù: la maggior parte della popolazione greca e romana era costituita da schiavi, considerati proprietà dei padroni fino al punto di poter essere uccisi o torturati impunemente, come animali. Era lecito farlo.
Possiamo chiamare “civiltà” un popolo che costruisce magnifici edifici ma tratta così gli uomini?
Possiamo dire, dunque, che l’antica Grecia ebbe una mescolanza di civiltà e barbarie. Lo stesso vale per tutte le civiltà antiche, nelle quali troviamo elementi mostruosi.
Restando ai greci: gli dèi della mitologia classica erano eleganti, letterari, scultorei, adatti a essere rappresentati in opere d’arte; ma non erano l’unica religione dei greci. Essi praticavano anche altri culti, tra cui — è spiacevole dirlo, ma è la verità — i culti fallici.
Che cos’era un culto fallico? Era il culto reso ufficialmente all’organo sessuale maschile: si costruivano statue gigantesche di tale organo e si organizzavano processioni in suo onore, persino ad Atene.
Se lo avessero fatto i barbari, lo si sarebbe giudicato normale, perché erano barbari; ma furono i grandi greci a farlo!
E se parlassimo dei romani, quante altre cose dovremmo raccontare! Insomma: non era civiltà sotto tutti gli aspetti. Se fossero stati veri cattolici, avrebbero avuto una civiltà completa; la loro arte sarebbe stata ancor più splendida e molti aspetti orribili della loro struttura sociale, politica e dei costumi sarebbero stati radicalmente diversi.
Ne consegue che, nella misura in cui l’umanità conosce e obbedisce a Nostro Signore Gesù Cristo e alla Sua Chiesa, trova civiltà, ordine, gloria e pace; nella misura in cui se ne allontana, scivola nella disgregazione e nella rovina finale.
Se questo è vero — ed è la grande verità fondamentale su cui si fonda la TFP — allora tutto ciò che la TFP afferma è facile da dimostrare; se invece non fosse vero, quasi nulla di ciò che essa sostiene potrebbe essere provato.
Se questa verità fondamentale è autentica, ne consegue che: la causa della crisi contemporanea è religiosa.
Se gli uomini torneranno alla vera religione, tutto finirà per raddrizzarsi; se invece coloro che se ne sono allontanati non si convertiranno, nulla potrà giungere a una buona soluzione. Si potranno fare leggi, regolamenti, creare strutture come l’ONU… ma vedremo solo disastri, conflitti, incomprensioni, frodi e barbarie.
La prova di ciò è la tendenza evidente del mondo moderno verso la barbarie. Una delle correnti filosofiche più prestigiose del nostro tempo, il strutturalismo, ha tra i suoi massimi esponenti il celebre antropologo Claude Lévi-Strauss.
Ebbene, egli sostiene nei suoi libri che l’epoca d’oro dell’uomo fu il Paleolitico, l’inizio della preistoria — neppure il Neolitico! Secondo lui, bisogna tornare al Paleolitico.
Ecco il paradosso della modernità: il “progresso” che predica il ritorno alla barbarie. Il mondo moderno produce barbarie perché la sua radice è essa stessa barbara: incredulità e empietà.
In un’epoca normale, potrei concludere qui la mia esposizione dicendo semplicemente: “Siamo dunque buoni cattolici”.
Ma nel tempo in cui viviamo, non possiamo fermarci a questo punto, perché subito sorge un’altra domanda: che cosa significa essere un buon cattolico?
Oggi vediamo la Chiesa Cattolica divisa, almeno, in due grandi correnti: la progressista e la tradizionalista. Le concezioni di queste correnti sono diametralmente opposte, in completo contrasto. Non è possibile che entrambe abbiano ragione, perché due posizioni contrarie non possono essere simultaneamente vere.
O una ha ragione e l’altra no, oppure nessuna delle due ce l’ha.
Formulo allora la domanda: quale delle due correnti ha ragione all’interno della Chiesa Cattolica? E quale riflesso ha, sul mondo contemporaneo, questa divisione nella Chiesa?
Per rispondere, dobbiamo innanzitutto chiarire: che cos’è il progressismo, secondo i progressisti stessi? Non voglio dare io, da tradizionalista, una definizione, perché potrei essere accusato di parzialità.
Essi si definiscono progressisti perché affermano che l’umanità è in continua trasformazione; di conseguenza, anche la religione deve adattarsi costantemente a questa evoluzione. La religione, quindi, deve cambiare, assumere la mentalità del mondo, rifletterlo, per poterlo attrarre.
Questo è l’opposto di ciò che pensa un tradizionalista.
Per il tradizionalista, se la religione insegna la verità — e la verità è unica e immutabile — la dottrina cattolica non può mai cambiare.
Se la legge di Dio dice “Non uccidere”, questo deve rimanere proibito fino alla fine del mondo, perché è un precetto divino che riflette la natura, e la natura, nei suoi elementi fondamentali, non può mai mutare.
Attraverso una tradizione viva, il presente e il futuro devono rimanere nella linea del passato, almeno nelle questioni fondamentali (non in quelle accidentali). Questo è ciò che chiamiamo tradizione.
Siamo dunque tradizionalisti perché sosteniamo che esistono verità e principi immutabili, così come esistono elementi della natura che non cambiano mai. Nostro Signore Gesù Cristo aveva ragione quando diceva che il cielo e la terra passeranno, ma le Sue parole non passeranno; e quando affermava di essere venuto non per abolire la Legge, neppure in una minima parte, ma per portarla a compimento.
Egli era, quindi, tradizionalista: manteneva la tradizione e la completava con il Suo insegnamento.
I progressisti, invece, vogliono che le cose cambino.
Alla radice di questa differenza vi è un diverso concetto della missione della Chiesa:
  • per noi tradizionalisti, la Chiesa è la regola fissa a cui il mondo deve conformarsi;
  • per i progressisti, il mondo è la regola variabile a cui deve adattarsi la Chiesa.
Ed ecco lo scontro totale.
Ma dove si colloca Dio in tutto questo?
Dio, eterno e immutabile, che si è incarnato, che ha parlato a Mosè, che ha dato i Dieci Comandamenti, che si è fatto uomo in Gesù Cristo e ci ha lasciato gli insegnamenti del Vangelo… può forse essere “aggiornato” dall’uomo?
L’uomo ha il diritto, la capacità o il potere di correggere, secondo il proprio capriccio, ciò che Dio ha stabilito?
Chiunque comprende che una religione che ponga l’uomo al di sopra di Dio, dandogli la facoltà di correggerLo, non è una religione ma un’anti-religione: il contrario stesso della religione.
Questo è così evidente che non serve spendere altro tempo per dimostrarlo.
Andiamo oltre.
Se le cose stanno così, la grande battaglia contemporanea non è soltanto — e, aggiungo, non è principalmente — quella dei cattolici contro i comunisti o contro i non cattolici.
È necessario combattere, all’interno stesso della Chiesa Cattolica, i falsi fratelli, i falsi cattolici, per espellerli dalla Chiesa: far sì che siano detestati dalla Chiesa stessa, che li ammonisca e, se non si convertono, li allontani definitivamente.
Questa purificazione interna della Chiesa è il punto di partenza per tutto il resto. Con una Chiesa in gran parte sviata, non si può dare al mondo un orientamento vero: chi è sviato non può guidare nessuno sulla retta via.
Il Vangelo ci presenta la parabola del cieco che guida un altro cieco: entrambi cadono nel fosso. Così pure il progressista che guida altri progressisti: sono ciechi che vogliono correggere Dio, anziché lasciarsi guidare da Lui; e così cadono nel precipizio.
Occorre dunque contestare loro il diritto di dirsi cattolici, e far capire al mondo che i veri cattolici sono coloro che mantengono la tradizione — tra i quali, i membri della TFP.
Il grande centro della battaglia contemporanea — la battaglia immensa tra verità ed errore, tra bene e male, che si svolge ovunque — è nel cuore stesso della Santa Chiesa Cattolica, Apostolica e Romana: lo scontro tra tradizionalisti e progressisti.
Questo non significa che la TFP si limiti a combattere solo i progressisti.
Sapete bene quanto la TFP combatta anche i comunisti, i fautori del divorzio, e altri avversari; ma il nostro principale nemico, cioè coloro che più ci odiano e che abbiamo il dovere primario di sconfiggere, sono i progressisti.
Senza dubbio, noi siamo il loro bersaglio principale. E lo sappiamo per esperienza diretta, per averlo provato sulla nostra stessa pelle.
La TFP è come una piccola tromba, ma potente; la loro tromba è enorme (dei progressisti, NdR), ma con poco suono.
Prendiamo la nostra tromba e suoniamola con tutta la forza, in onore di Maria Santissima, affinché voi, giovani, impariate a farlo, vogliate farlo e lo facciate con tutto l’amore necessario, così che la nostra tromba abbia il suono magnifico che deve avere.
Per questo si realizza questa settimana di studi.
Che la Vergine Santissima, in onore della quale si svolge questa settimana, vi benedica e vi faccia trarre da essa tutto il frutto possibile.
[Applausi]
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Fonte: pliniocorreadeoliveira.info Traduzione a cura di Samuele Maniscalco. 

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