Lottare virilmente, e lottare sino alla fine – Il magnifico esempio di Sant’Ignazio di Loyola (31/7)

di Plinio Corrêa de Oliveira

Catolicismo, luglio 1956 (*)

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Sant’Ignazio di Loyola (Azpeitia, 24 dicembre 1491 – Roma, 31 luglio 1556), il Fondatore della Compagnia di Gesù (Gesuiti): nel 1622 è stato proclamato santo da Papa Gregorio XV

La ricorrenza, il 31 di questo mese, del quarto centenario della morte di Santo Ignazio di Loyola ci da l’occasione di scrivere qualcosa su questo grande Santo. Lo facciamo con una certa esitazione, poiché ci sarebbe tanto da dire sulla sua vita, la sua spiritualità, la sua opera, che non basterebbero le dimensioni, per quanto allungate, di un articolo di giornale. Ci riconforta il fatto che una parte di quel che avremmo da dire a lode di Santo Ignazio, lo abbiamo già pubblicato nel libro “In difesa dell’Azione Cattolica”, in un momento in cui erano tanto insistenti certi  attacchi alla sua spiritualità. Da quel libro raccogliemmo frutti tipicamente ignaziani: dispiaceri, inimicizie, una prefazione orientativa del grande Nunzio, oggi Cardinale Masella, e una lettera di encomio inviata a nome dell’augusto Pontefice Pio XII. Quindi, tribolazioni da un lato, elogi del Santo Padre dall’altro. Riteniamo che Santo Ignazio non abbia mai desiderato per sé qualcosa di diverso… Ma “In difesa dell’Azione Cattolica” è stato pubblicato da tempo, quasi quindici anni fa. Che dire, oggi, su questo argomento? Le circostanze sono cambiate. Sarà cambiata pure l’applicazione che si può fare dei principi della spiritualità ignaziana?

I tempi sono cambiati, è vero, e sono cambiate le circostanze. Ma, “plus ça change, plus c’est la même chose”. I problemi di oggi sono quelli di ieri, ma aggravati, sofisticati, esacerbati. E se ieri l’insegnamento ignaziano era attuale ed utile, si può dire che oggi è diventato attualissimo ed utilissimo.

Per i molteplici aspetti della realtà contemporanea ai quali le norme di Santo Ignazio potrebbero essere applicate, e nell’impossibilità di trattarli tutti, ne rileviamo almeno uno. Come si vedrà, per la sua importanza e profondità merita proprio di essere trattato.

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Andiamo innanzitutto alla realtà spiccia dei banali fatti quotidiani. Come si sa, un vento di egualitarismo soffia su tutta la società contemporanea. Ad ogni occasione i genitori si vedono nella contingenza di tutelare la propria autorità e il proprio prestigio, contro le manifestazioni dello spirito di indipendenza dei loro figli. Lo stesso si può dire dei padroni in relazione agli impiegati, degli insegnanti rispetto agli allievi, delle persone ragguardevoli o anziane nel rapporto con coloro che gli devono considerazione e rispetto. Dinanzi a questo fatto, quale atteggiamento mantenere?

È chiaro che bisogna prima di tutto insegnare con pazienza e bontà le massime su cui si fonda l’obbedienza e il rispetto ai superiori. Tuttavia pensare che, semplicemente così, tutto sia risolto, è la più rammendata ingenuità. Innanzitutto, perché le persone pizzicate dalla mosca del liberalismo e dell’egualitarismo detestano le massime, le norme e i principi, vanno sempre di fretta e non gli piace ascoltare spiegazioni dottrinarie svolte con coerenza, calma e bontà. Esse vivono di emozioni, e nulla gli sembra più monotono di queste spiegazioni. La calma li irrita o li assopisce. La bontà sembra loro scialba e senza valore. Consentono di ascoltare soltanto ciò che gli viene detto con un certo sale, in poche parole, e in modo molto facile. Come gli ammalati che accettano di essere curati soltanto se il medicinale corrisponde a una piccola compressa facile da inghiottire, dal colore attraente e dal piacevole sapore. Ora, non tutti hanno la forma speciale – e persino specialissima – di talento necessaria per dare questa presentazione alla verità. E anche se qualcuno conoscesse dei trucchi per trasformare la buona dottrina in pillole, ci sarebbe molto da dubitare che con pillole del genere si riuscisse a formare una persona. Da questo punto di vista, l’anima è come i polmoni, che esigono per il normale funzionamento, non solo due o tre boccate sporadiche di aria fresca, ma il contatto stabile, permanente, ampio, con un’atmosfera naturale e pura. Lo spirito umano è ciò che dovrebbe essere, soltanto quando respira sempre in un’atmosfera di buoni principi. Quindi – perlomeno in via di principio – non è con questo o quel soffio di buona dottrina che si forma una anima. E così, ogni persona seria dovrà riconoscere che i buoni consigli, la mitezza, la mansuetudine non risolvono tutti i casi. Dunque, cosa fare?

Non si ritenga che questo problema esista soltanto nell’ambito ristretto della vita particolare e domestica.  Visto in una scala più ampia, esso assume l’aspetto di un grande problema sociale. Coloro che si occupano specialmente della questione operaia trarrebbero molto vantaggio – a nostro avviso – nel riflettere attentamente su questo argomento. Lo stesso andrebbe detto di tutte le persone che si addossano maggiori responsabilità nel corpo sociale. Consideriamo, infatti, non solo un professore nella sua classe, o un padrone nella sua fabbrica, o un padre in casa propria, ma l’insieme dei genitori, dei professori o dei padroni di una nazione. Se sapranno assumere un atteggiamento coerente e corretto dinnanzi alla marea montante dell’egualitarismo, è chiaro che avranno fatto a se stessi e al paese un grande beneficio. Ma se agiranno scorrettamente avranno letteralmente consegnato la propria patria alla perdizione.

Il fatto è che questo problema col quale ognuno di noi si imbatte in scala individuale, e che gli osservatori più penetranti non possono non considerare in scala sociale, finisce col diventare pure un grande, un immenso problema politico. Quando in un paese la marea dell’egualitarismo diventa quasi inarrestabile, ci si deve preparare ad un futuro triste, perché gli resterebbero solo due vie: la disgregazione, frutto fatale del liberalismo, oppure una implacabile dittatura poliziesca. Poiché il métier [mestiere] di governare gli uomini si trasforma, quando questi si lasciano pizzicare dalla mosca velenosa del liberalismo, nella funzione di domare belve.  Di conseguenza i peggiori disastri vanno evitati soltanto per mezzo di gabbie e fruste. Gabbie e fruste: ecco una poverissima allegoria per occultare una realtà mille volte peggiore, cioè quella degli apparecchi di tortura, dell’onnipresenza dello spionaggio, della soppressione di tutti i diritti, delle guerre di nervi, della propaganda pilotata che rimbecillisce intere moltitudini, nonché mille altri mezzi di oppressione che i dittatori applicano con un  esecrabile lusso di sofisticazioni arricchite dalle tecniche dell’era scientifica in cui viviamo.

Liberalismo, totalitarismo, non è ben questa l’abominevole, la funesta alternativa in cui si dimena il mondo di oggi? E da dove è venuto tutto ciò se non dal fatto che il secolo XIX e XX non resistettero all’uragano dell’anarchismo egualitario, scatenato dalla pseudo-Riforma nel secolo XVI, e trasformato dalla Rivoluzione Francese in un cataclisma universale?

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Esiste, quindi, la necessità di ricorrere ad altri mezzi, che non la mera spiegazione fatta con bontà, la quale peraltro continuerà ad essere sempre l’arma prima e prediletta di qualsiasi cattolico.

Quali mezzi saranno questi? Se insegnare e sorridere non basta, cosa fare allora?

In tutto il mondo c’è una corrente, un’intera famiglia di anime, che possiede una formula sorprendente. Se non è sufficiente insegnare e sorridere, sorridi senza insegnare. In altre parole, non affermare principi, non sostenere massime, non provocare discussioni. Se i tuoi figli ti mancano di rispetto, sorridi, fingi di non capire, mantieni il tuo buon umore. Finiranno col commuoversi e si correggeranno. Se i tuoi alunni fanno disordine in classe, ridi sportivamente come se tu fossi uno di loro, fingi di divertirti con l’accaduto. Loro rimarranno disarmati e indietreggeranno. Se i vostri operai si ribellano, non arrabbiarti, finiranno col volerti bene.

Questa corrente però non giunge ancora sino in fondo. Vi sono coloro che ritengono che il non insegnare massime e principi sia un bene, il sorridere sia qualcosa di meglio, ma nulla di questo corrisponde all’ottimo. L’ottimo consiste nel cedere, nell’indietreggiare, nel concedere. Fare silenzio sui principi, sorridere dinanzi alle esplosioni di indipendenza e di ribellione, fare concessioni, concessioni e ancora concessioni. Ecco la formula perfetta.

Alcuni esempi di questa tattica potrebbero essere chiarificatori. Se i figli  si degradano in un ambiente impregnato dal principio dell’autorità paterna, il padre deve democratizzarsi. Cioè deve farsi dare del “tu”, deve rinunciare al posto di capo tavola nei pasti, deve abbandonare gli atteggiamenti convenienti ad una persona adulta, deve trasformarsi in un giocherellone, in un raccontatore di barzellette, insomma, deve essere il bambinone più grande di casa. O meglio, il bambinone anziano. Spoglia di tutti i suoi elementi esteriori ed accessori, che sono irritanti, l’autorità paterna non colliderà più. E il padre avrà fatto smettere la rivolta dei figli. Se un padrone è vittima di una propaganda demagogica, che si proletarizzi. Assuma il modo di camminare, di parlare e di vestirsi degli operai (almeno quando sta in fabbrica). Faccia sospendere tutti gli usi e stili che marcano la sua persona con il segno dell’autorità e della superiorità sociale. Così avrà smesso di irritare. E il problema sarà risolto come per incanto. Anche il professore deve navigare nelle stesse acque: abbia uno spirito sportivo, racconti barzellette in classe, trasformi la sua lezione in una chiacchiera animata. Si appiattisca, si inserisca, si immerga, si aggiunga alla massa degli alunni. Allora sarà stimato. E tutti faranno quel che lui desidera, non perché lo ordini, ma perché tutti vorranno ciò che lui vuole.

È chiaro che molta gente non enuncia questi principi con tanta nitidezza. Ma essi fluttuano sull’ambiente moderno come una nuvola impalpabile benché molto reale, e danno origine a uno di quegli stati di spirito indefinibili, che filtrano tutto, si manifestano in tutto, e mai, o quasi mai, sono percettibili con nitidezza dalle persone in cui risiedono.

Il fatto è che la buona e la mala fede  sono nelle società umane ciò che la salute e la malattia sono nel corpo. Traspaiono ovunque, ma è impossibile mostrare concretamente, e in modo assoluto esatto, in che cosa consistono tali trasparenze.

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Potremmo dire che questo stato d’animo è costruito su di un mito, cioè, il mito della bontà. La bontà ottiene tutto. Le uniche armi valide sono quelle della bontà. Qualsiasi resistenza irrita l’avversario. Ogni concessione lo tranquillizza. Adoperare qualsiasi forma di discussione, di lotta, di misura repressiva contro i tumori che si formano nel corpo sociale è più o meno tanto stupido quanto raschiare bene sino alla pelle una ferita protuberante, con l’illusione che così la si curerà. Gli unguenti della bontà risolvono tutto. L’era della violenza, della chirurgia sociale, è passata. Entriamo nel dolce periodo della clinica. Le pomate della pazienza e della accondiscendenza hanno tutte le penicilline necessarie per curare i problemi individuali e sociali…

Se si vuole conoscere un argomento recente in cui questo stato d’animo si è manifestato, è sufficiente ricordare la questione dell’amnistia ai comunisti brasiliani. Secondo certe opinioni la cosa giusta sarebbe rinunciare a qualsiasi repressione legale e poliziesca. Poiché questa servirebbe solo ad irritare gli animi, e aggraverebbe il problema. L’amnistia invece sarebbe un colpo tremendo ai comunisti, ecc. ecc. La “stupidaggine” – non c’è un altro termine – con cui in certi circoli dell’Occidente si sta accogliendo i sorrisi di Kruchtchev e di Bulganin  proviene dallo stesso stato d’animo. Nel più profondo dell’anima dei signori del Kremlino il sole del sorriso ha lanciato i primi raggi di una aurora che nessuno ormai riuscirà a fermare. Bisogna concordare con loro in tutto, accettare tutto, credere in tutto. Con la nostra buona volontà, li addolciremo ulteriormente. E tra poco la Russia sarà vinta, non con colpi di cannone, ma con i soavi spruzzi di glicerina dei nostri sorrisi.

Luigi XVI crebbe ai suddetti principi. Sorrise, cedette, concesse. Verificando che non serviva a nulla, pensò che fosse dovuto a un’amministrazione insufficiente del medicinale. E perciò sorrise ancor più, concesse ancor più. La dose non bastò. Quindi raddoppiò la ricetta.  E, a quanto pare, aprì gli occhi soltanto quando si trovava incarcerato tra le mura e le sbarre della Torre del Tempio. Più recentemente, fece lo stesso il Cardinale Initzer, Arcivescovo di Vienna, nei rapporti con i nazisti. Non vi fu gentilezza che non l’avesse fatta a Hitler. Non vi fu prova di considerazione rifiutata dal presule. Eppure tutti sanno quale fu la triste sorte della Chiesa e del Cardinale sotto a quel regime.

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Madonna della Strada (Chiesa del Gesù, Roma), di cui era molto devoto Sant’Ignazio

Cosa ci dice su questo grave problema Santo Ignazio di Loyola? La sua bontà divenne proverbiale tra tutti coloro che ebbero la fortuna di trattare con lui. Non avrebbe neppure potuto essere elevato all’onore degli altari, se non avesse preferito, in ogni occasione, le armi della bontà anziché quelle della replica e della severità. Ma nella vita spirituale, come pure nell’azione apostolica, egli non credeva che i sorrisi, i silenzi “prudenti” e le concessioni fossero l’unica o la principale arma. Neanche considerava che in questo consistesse la vera bontà soprannaturale del cristiano.

Per convincerci di questo, basta leggere alcune tra le sue più celebri pagine, come quelle che consacrò al “discernimento degli spiriti” e al “sentire cum Ecclesia”. Purtroppo, per mancanza di spazio, in questo articolo tratteremo solo delle prime.

Le regole relative al discernimento degli spiriti costituiscono un’applicazione intelligentissima di ciò che la dottrina cattolica ci insegna sulla natura umana decaduta, la grazia e il demonio. Infatti, l’anima di ogni uomo è un campo di battaglia, nel quale si scontrano il bene e il male. In conseguenza del peccato originale, tutti noi abbiamo inclinazioni profondamente disordinate che ci portano con veemenza al peccato. Queste propensioni vengono rafforzate non di rado dall’azione del demonio. Così, l’uomo prova una viva attrazione per il male. Tale attrazione si presenta a volte con una franchezza sgarbata. Altre volte invece si manifesta per modi indiretti, come che timoroso. Per lottare contro questo terribile pericolo, l’uomo ha le energie sane della propria natura, e i soccorsi della grazia di Dio. Tra le forze che lo portano al bene o al male c’è, come l’ago della bilancia, il libero arbitrio umano. Appena l’uomo inclina il libero arbitrio verso il bene, deve combattere contro la sua natura corrotta e l’azione diabolica.

Come si combatte questa battaglia? Per mezzo di un’intransigenza assoluta verso qualunque cosa che possa direttamente o indirettamente, celatamente o palesemente condurre al male. Se un sentimento di allegria porta all’appetito dei piaceri illeciti, dev’essere inesorabilmente rifiutato, perché qualsiasi concessione o temporaggiamento potrà soltanto aggravare la tentazione, anziché eliminarla. Se invece questo stesso sentimento ci conduce alla virtù, al bene, alla pietà deve trovare le porte della nostra anima aperte, perché conduce a Dio. Lo stesso và detto della tristezza. Ci sono tristezze che suscitano il pentimento, l’emendamento della vita, che provengono dallo Spirito Santo e meritano la piena corrispondenza della nostra volontà. Ma vi sono tristezze come quella di Giuda, che spingono verso lo scoraggiamento, verso la disperazione, perché provengono dalla debolezza dell’uomo, o dalle suggestioni del demonio, e di conseguenza meritano una guerra senza tregua. Anche L’aridità deve essere vista alla luce di questo concetto militante della vita spirituale. A volte, è una prova che viene da Dio. In questo stato di desolazione l’uomo deve raddoppiare la vigilanza contro il demonio e la carne. Deve diffidare di sé stesso, non prendere risoluzioni che possano essere suggerite dalla situazione interiore in cui si trova. Deve intensificare le preghiere. Vincerà così la prova, per il bene della sua anima e la gloria di Dio. Tuttavia se l’aridità proviene dalla negligenza e dalla tiepidezza, è necessario combattere energicamente questi difetti, affinché, cessata la causa, spariscano i suoi cattivi frutti.

E in questo combattimento, insistiamo, è necessario essere diffidenti e rigidi. Sulla sfiducia interiore contro le insidie del demonio, Sant’Ignazio offre questo testo saporito: “Il demonio fa come la donna: fa il debole, quando affrontato con energia; e si mostra forte, quando gli si cede terreno. Quindi, così come è proprio alla donna invigliacchirsi e fuggire appena l’uomo si impone energicamente; e, al contrario, la sua furia, il suo desiderio di vendetta e ferocità vanno in crescendo e arrivano all’estremo, se l’uomo, perdendo il coraggio, incomincia a cedere, così pure è proprio al demonio invigliacchirsi e perdere l’audacia, desistendo dei suoi attacchi appena la persona si esercita nelle cose spirituali lo affronta impavidamente, opponendosi diametralmente a ciò che gli suggerisce. Se, però, l’esercitante comincia ad avere paura e a scoraggiarsi in mezzo alle tentazioni, allora non ci sarà in tutto il mondo una belva talmente spaventosa e che persista con tanta malizia nei suoi malefici intenti, come il nemico della natura umana” (Regole sul discernimento degli spiriti, n°13). E sulla rigidità troviamo un po’ prima queste parole: “Il demonio procede pure come un falso innamorato, che corteggia di nascosto e non vuole essere scoperto. Poiché, così come l’innamorato – che con le sue pessime sollecitazioni per sedurre la figlia di un padre onesto, o la sposa di un marito onorato, fa in modo che le sue conversazioni insinuanti rimangano in segreto; e invece rimane molto dispiaciuto che la ragazza o la moglie svelino al padre o al marito le sue frivole conversazioni e le sue intenzioni depravate, perché teme che il tentativo vada a monte – così pure il nemico del genere umano, quando inculca nell’anima del giusto le sue frodi e suggestioni, vuole a tutti i costi che siano accolte e tenute in segreto” (ibid., n° 12)

Di tutto questo ne risulta un principio. È che il vero cattolico può cedere in tutto… purché la sua concessione non nutra le cattive passioni. Perché ogni concessione che avesse questo effetto, aggraverebbe i problemi invece di risolverli.

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Ora, quello che si dice della lotta che ognuno di noi combatte dentro di sé stesso, lo si deve pure dire delle lotte che dobbiamo combattere nei confronti del prossimo. La carità ci porta a cedere sempre che la prudenza lo permetta. Ma questa prudenza stabilisce molti limiti. Uno di questi deriva dall’estrema combustibilità delle passioni umane. Il padre, il maestro, il padrone, l’uomo pubblico devono assolutamente contrastare le cattive inclinazioni dei loro sudditi. E se abbandonassero questa lotta abbandonerebbero puramente e semplicemente il loro dovere. Orbene, sempre che una concessione fomenti la sregolatezza delle passioni, sempre che un sorriso sembri una ritirata di fronte allo spirito di ribellione che così si fa più insolente, sempre che un gesto di debolezza dia l’impressione all’errore, al vizio o al crimine di essere autorizzati a diffondersi, è doveroso rifiutare quel sorriso, evitare quel gesto, negare quella concessione. Per di più: è doveroso sostituire il sorriso con una fisionomia cupa e grave, sostituire la concessione con una minaccia, e impedire il male con tutte le risorse disponibili. In una parola, è doveroso lottare, e lottare sino alla fine.

Questa è la grande conseguenza – valida su scala individuale, ed anche sociale o politica – che possiamo trarre dalle sapientissime regole sul discernimento degli spiriti.

 

(*) Traduzione del sito Plinio Corrêa de Oliveira – Sicilia

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