Perché è stata introdotta la festa della Trasfigurazione di Nostro Signore Gesù Cristo?

Catolicismo, Campos (Rio de Janeiro), n. 70 – Ottobre 1956
di Plinio Corrêa de Oliveira

 

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MICHELANGELO riuscì a rappresentare con incomparabile forza espressiva il volto virile e ispirato di Mosè, paterno e severo pastore del popolo di Dio nel suo lungo pellegrinaggio alla ricerca della Terra Promessa. L’esempio del grande Patriarca rimarrà per tutti i secoli come affermazione che, al servizio del bene, è necessario costruire e distruggere. Legislatore e guida del popolo eletto, si rivelò al tempo stesso un combattente insuperabile contro tutti coloro che si opponevano al Decalogo e volevano profanare la Legge di Dio. I Maccabei, i crociati, gli eroi di Belgrado sono degni continuatori di questo spirito di affermazione e di combattività, così lodevole in tutte le epoche e così necessario ai nostri giorni.
Le Crociate costituiscono un tema storico che sta acquisendo oggi un’inaspettata attualità. Non è proprio che si cerchi – al di fuori del mondo chiuso degli specialisti – di fare ricerche più ampie sull’argomento o di conoscerne meglio i dettagli. È il substractum dottrinale delle Crociate che interessa oggi un numero crescente di persone colte, specialmente nei circoli cattolici. In ultima analisi, ci si chiede con maggiore insistenza, con più viva attenzione, con un desiderio di chiarezza più esigente, se le Crociate costituirono un movimento coerente con i principi fondamentali della nostra religione.
Non è difficile indovinare il motivo di questa «resurrezione» di un tema così antico. Infatti, che lo si voglia o no, la situazione internazionale mette sempre più in evidenza un fatto che vent’anni o trent’anni fa sarebbe sembrato del tutto impossibile alla maggior parte dei politici. È l’intreccio tra questioni religiose e internazionali. Dai trattati di Westfalia, la dissociazione tra le une e le altre si è accentuata costantemente fino ai nostri giorni. A tal punto che la semplice idea di una presa di posizione della Chiesa in un conflitto internazionale, in nome dei diritti e degli interessi della fede, sembrerebbe a molti del tutto fuori luogo e superata dagli eventi. Tuttavia, negli ultimi decenni la situazione internazionale ha subito trasformazioni che richiedono una revisione di questo atteggiamento psicologico. Sarebbe facile dimostrarlo con l’analisi della politica europea alla vigilia della Seconda guerra mondiale. Ma l’attuale congiuntura diplomatica ci fornisce elementi di osservazione ancora più salienti in questo senso. Non sembra difficile evocarli e studiarli.
Secondo il linguaggio giornalistico, il mondo è oggi diviso in tre grandi zone. Da un lato, gli Stati Uniti, seguiti dall’Inghilterra, dalla Francia e dalle potenze libere dell’Europa, dell’America e dell’Oceania. È quello che viene chiamato l’Occidente, che conta sul sostegno del Giappone e di alcune altre nazioni asiatiche. Dall’altro lato, la Russia, non solo con la Cina e i satelliti circoscritti dalla cortina di ferro, ma anche con alcuni paesi che si trovano geograficamente al di fuori di questa cortina, ad esempio la Jugoslavia… e San Marino. Infine, l’India, le nazioni arabe, ecc., che costituiscono una sorta di terza forza che si afferma neutrale tra Washington e Mosca.
Ora, ciascuno di questi tre grandi blocchi si differenzia dagli altri per alcuni tratti culturali, morali, politici e sociali, per un intero stile di vita, insomma. Ed è certo che, dopo un’eventuale guerra mondiale, se l’umanità non sarà annientata, o quasi annientata, sarà interamente dominata, per molti secoli, dai principi culturali, morali ecc. del vincitore.
È ciò che tutti sentiamo. Viviamo in anni che costituiscono il punto culminante di un’immensa crisi plurisecolare. C’è un desiderio universale che questa crisi si risolva finalmente. La soluzione non può tardare molto. Resta da vedere a vantaggio di chi sarà.
Stando così le cose, è impossibile evitare che un cattolico, mosso dall’ideale dell’instaurazione del regno sociale di Nostro Signore Gesù Cristo, secondo i desideri del Santo Padre Pio XII, si chieda quale dei due esiti sarebbe più conducente a questo fine. Ciò implica, per lui, passare in rassegna gli elementi costitutivi dello spirito dominante in ogni campo e vedere cosa è più vicino o meno lontano dalla Chiesa. Quello che offre alla Chiesa condizioni di esistenza e di azione più facili, o meno difficili, se così si può dire.
Ora, da questa analisi risulta che in uno dei campi le autorità semplicemente non consentono l’esistenza della Chiesa.
La Chiesa vive in quel campo in regime di clandestinità. Oppure, se le è permesso di vivere alla luce del sole, è solo per colpirla più sicuramente. Da qui nasce il problema: è lecito al cattolico impugnare la spada per combattere questo avversario? In altri termini, nel caso in cui scoppiasse una guerra mondiale, con da una parte i comunisti e dall’altra gli occidentali, i cattolici delle nazioni non attaccate dovrebbero entrare in conflitto, se ciò fosse necessario per la sconfitta della Russia?
Nell’attuale confusione degli animi, è particolarmente difficile rispondere, nei limiti ristretti di questo articolo, a una questione che coinvolge una tale pluralità di aspetti. Tuttavia, due aspetti della questione sono magnificamente chiariti da un recente documento del Santo Padre Pio XII. Vogliamo quindi mettere a fuoco i punti salienti di tale documento, vale a dire la Lettera Apostolica ai popoli perseguitati d’Europa, datata 29 giugno di quest’anno, quinto centenario della Lettera «Cum his superioribus annis» di Callisto III.
Innanzitutto, su un punto di fatto. Non ci siano dubbi. La situazione dei cattolici è la più angosciante nei paesi dietro la cortina di ferro. A questo proposito, le speranze di molti elementi “ottimisti” e “fiduciosi” non hanno alcun fondamento nella realtà.
Il Sommo Pontefice inizia esprimendo in quella Lettera Apostolica quanto «con l’animo afflitto consideriamo le gravissime condizioni in cui la chiesa cattolica soffre in non poche nazioni a causa del materialismo ateo ivi imperante».
Denuncia poi la persecuzione che grava sull’Ungheria, l’Albania, la Bulgaria, la Cecoslovacchia, la Jugoslavia, la Romania, nonché sui «popoli di Germania e di Polonia» e «abitanti le regioni che voi avete a oriente o a settentrione lungo i lidi del Mar Baltico». Cioè, in tutte le regioni dell’impero sovietico in cui vi sono concentrazioni considerevoli di cattolici, che possono costituire un pericolo per il comunismo.
«Ormai, come sapete per esperienza, da più di dieci anni la chiesa di Cristo è privata, sebbene non dappertutto nello stesso modo, dei suoi diritti: le pie associazioni e i sodalizi religiosi sono violentemente disciolti e dispersi, e i sacri pastori sono ostacolati nell’esercizio del loro ministero quando non sono deportati, esiliati o messi in carcere; si è preteso addirittura di sopprimere con temerario arbitrio le diocesi di rito orientale e spingere con ogni mezzo clero e fedeli allo scisma. Sappiamo altresì che non pochi sono perseguitati in tutti i modi per aver professato la fede con franchezza e coraggio e per essersi valorosamente adoperati a difenderla. Ciò che maggiormente ci addolora è il sapere che le menti dei fanciulli e dei giovani vengono imbevute di false e perverse dottrine al fine di allontanarle da Dio e dai suoi santi precetti, con sommo danno per la vita presente e pericolo per la futura.
“A Noi, che per divina disposizione sediamo su questa cattedra di Pietro, si apre, quasi dinanzi agli occhi, questa tristissima visione, di cui abbiamo bensì già trattato in precedenti lettere apostoliche, ma neppure oggi possiamo tacere senza venir meno al Nostro dovere».
Dopo parole commoventi, di sostegno e conforto, rivolte agli Emmi Cardinali Mindszenty, Stepinac e Wyszynski, nonché alla Gerarchia e ai fedeli dei paesi oltre la cortina di ferro, il Santo Padre afferma: «Ci è di grande conforto il sapere che molti di voi sono pronti a dare con generosità ogni cosa, anche la libertà e la vita, pur di non esporre a pericolo l’integrità della religione cattolica; sappiamo anche che in ciò non pochi pastori hanno dato esempi di invitta fortezza cristiana: voi, anzitutto, diletti figli Nostri, cardinali di santa romana chiesa, fatti spettacolo insigne al mondo, agli angeli e agli uomini (cf. 1Cor 4,9).
Tuttavia, come nei primi secoli della Chiesa, non mancano purtroppo coloro che, dominati dallo scoraggiamento, tendono all’apostasia. A costoro il Vicario di Gesù Cristo rivolge le seguenti parole piene di saggezza e forza: «Ma purtroppo, Ci è noto anche che la fragilità e la debolezza umana vacillano, specialmente quando le prove e le vessazioni durano così a lungo. Allora, infatti, si verifica che taluni cadano nello scoraggiamento e perdano il fervore, e, peggio ancora, giungano alla conclusione che sia necessario mitigare la dottrina del Signore nostro Gesù Cristo e, così dicono, adattarla ai tempi nuovi e alle nuove circostanze, diluendo e snaturando i principi della religione cattolica fino a raggiungere un ibrido connubio fra questa e gli errori di un falso progresso.
«A questi scoraggiati e seminatori di scoraggiamento i sacri pastori hanno il dovere di ricordare la solenne affermazione del divin Redentore: «Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno» (Mt 24,35); di esortarli a riporre la loro speranza e fiducia in colui «la cui provvidenza non erra nelle sue disposizioni», e che mai priva della sua assistenza coloro che stabilisce nella solidità del suo amore (cf. Missale Romanum, Or. Dom. VII et II post Pentec.). Mai, infatti, l’onnipotente e provvidentissimo Iddio permetterà che i suoi figli fedeli e volenterosi restino privi della divina grazia e della divina fortezza, e che, separati da Gesù Cristo, infelicemente soccombano in questa lotta per la salvezza, assistendo impotenti alla rovina spirituale della propria gente».
Così, il documento pontificio enumera uno ad uno gli elementi tipici di una grande persecuzione: il territorio da essa colpito è immenso, numerosissimi i fedeli che essa opprime, la stessa Gerarchia, nelle sue figure più alte e rappresentative, non è risparmiata, i mezzi impiegati sono dei più crudeli, di fronte alla prova molti sono coloro che resistono e raggiungono la palma del martirio, ma altri infine cercano in un’apostasia velata o palese il mezzo per salvare la loro esistenza terrena. Il motivo della lotta è chiaramente religioso. Non si tratta di un’avversione all’influenza latina: le diocesi di rito orientale sono addirittura le più direttamente prese di mira.
Si tratta piuttosto di un governo dominato dal materialismo ateo che, coerente con la sua pessima ideologia, desidera la completa estinzione della fede. Ora, e questo dettaglio è molto interessante, queste persecuzioni sono guidate da Mosca, proprio nei territori che ha conquistato dopo l’ultima guerra.
Da qui è impossibile non temere fortemente che, in altri paesi che conquisterà, la Russia procederà allo stesso modo.
Ma, dirà qualche lettore, c’è una certa esagerazione in questo. Perché non tutta la persecuzione proviene dal Cremlino. Sarebbe temerario affermare che tutto ciò che si fa a Belgrado è frutto di ordini provenienti da Mosca. Infatti, fino a poco tempo fa le due capitali erano addirittura in conflitto.
Accettiamo l’obiezione, almeno “argumentandi gratia”.
Se la rottura tra Mosca e Belgrado era sincera, è ovvio che Belgrado ha agito di propria iniziativa contro la Chiesa. Come si spiega che due governi antagonisti tra loro procedano in modo così minuziosamente identico nei confronti della Chiesa? Se tra questi due governi l’unica cosa in comune era l’ideologia, è chiaro che l’ideologia è responsabile di ciò che fanno in modo uguale…
Si noti infine che il discorso del Papa è posteriore all’inizio di tutta l’«operazione sorriso». Esso è tale da chiarire che tale manovra non ha modificato in alcun modo i termini essenziali della persecuzione.
Tutto porta quindi a credere che, se vinceranno la guerra, i russi diffonderanno i loro errori in tutto il mondo e daranno inizio alla più grande persecuzione religiosa della storia.
Alla luce di ciò, qual è il dovere dei cattolici? Nella sua Lettera Apostolica, il Santo Padre evoca una situazione molto simile a quella attuale, con la semplice differenza che era meno tragica. I turchi, dopo aver sconfitto l’Impero Bizantino, minacciavano l’Europa centrale. Il loro dominio avrebbe rappresentato il trionfo del maomettanesimo, certamente un avversario molto meno totale della religione cattolica rispetto al materialismo ateo.
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San Giovanni da Capistrano aveva 70 anni quando, nel 1456, partecipò alla battaglia di Belgrado, invasa dai turchi. Entrando tra le truppe combattenti, dove era più incerta la sorte delle armi, incitava i cristiani ad avere fede nel nome di Gesù. Gridava: «Avanzando o indietreggiando, colpendo o essendo colpiti, invocate il nome di Gesù. Solo in lui è la salvezza e la vittoria». – Battaglia di Belgrado – Dipinto ungherese del XIX secolo
«Rendendosi conto della critica situazione, dice Sua Santità, l’infaticabile pontefice Callisto III ritenne suo dovere esortare paternamente pastori e fedeli dell’orbe cattolico a espiare le proprie colpe con opere di penitenza, a riformare i costumi secondo i principi della morale cristiana, a implorare da Dio con ferventi suppliche il suo valido aiuto. Inoltre, con grande costanza egli si adoperò in tutti i modi per allontanare il pericolo dai fedeli e infine ascrisse al divino soccorso la vittoria di quei valorosi che – animati dalle esortazioni di san Giovanni da Capistrano e guidati dal prode condottiero Giovanni Hunyady difesero strenuamente la fortezza di Belgrado. Affinché di questo evento restasse memoria nella liturgia, e perché fossero rese a Dio debite grazie da tutti i cristiani, egli istituì la festa della Trasfigurazione del Signore nostro Gesù Cristo, da celebrarsi in tutto il mondo il 6 agosto (cfr. Litt. apost. Inter divinae dispositionis, 6 aug. 1457)”.
E Pio XII conclude: «Prima di chiudere questo scritto vogliamo rammentarvi come il medesimo Nostro predecessore Callisto III, nella lettera sopra citata,(cf. Litt. apost. Cum his superioribus annis) avesse ordinato che, ogni giorno, in tutte le chiese si suonassero, a un tempo determinato, le campane, allo scopo di muovere i fedeli di tutto il mondo cattolico a rivolgere preghiere a Dio onnipotente, perché benigno e propizio tenesse lantana dal popolo cristiano l’immane sciagura che allora su di esso incombeva. Oggi non minori sono i pericoli che minacciano le vostre anime e la chiesa cattolica nei vostri paesi. Quando perciò sentirete il suono delle campane invitanti alla preghiera, ricordatevi di questa esortazione, e, animati dalla stessa fiducia nel divino soccorso, elevate, sull’esempio dei vostri antenati, imploranti suppliche a Dio.
Così, la reazione di Papa Callisto III, e ora quella di Papa Pio XII, è la stessa. Prima di tutto, ricorrere ai mezzi soprannaturali. Per placare l’ira divina, niente di meglio della preghiera, della penitenza, della riforma della vita cristiana. Ma se la Provvidenza mette a nostra disposizione anche la spada del potere temporale, per resistere alle armi, è necessario usarla. Furono eroi degni di ogni lode coloro che accorsero da varie nazioni d’Europa per combattere, sotto la guida di Giovanni Hunyady, contro l’invasore maomettano. La Provvidenza ha benedetto a tal punto il loro sforzo da concedere loro la vittoria. E per questo ha suscitato lo zelo di un grande santo come Giovanni da Capistrano, alle cui esortazioni si deve l’indomito coraggio con cui i guerrieri cristiani hanno combattuto fino alla fine.
Se in qualche parte della terra esiste il pericolo imminente che un paese sia dominato dal comunismo, e se in questo luogo la resistenza armata è l’unica possibile, ci sembra certo che solo il cattolico che si reca lì per versare il proprio sangue meriterà lode.

Nota: I neretti sono di questo sito. Traduzione senza revisione dell’autore.

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