di Plinio Corrêa de Oliveira
Qual è la “questione sociale” dei nostri giorni?
In generale, una “questione sociale” è ogni questione sollevata da qualche anomalia nella società. È distinta dalla “questione politica”, nel senso che questa si riferisce alla organizzazione dello Stato. Tutti sanno che il mondo ha conosciuto molti problemi sociali che culminarono in conflitti : conflitti tra nobili e plebei, tra schiavi e uomini liberi, tra nobili e borghesi nel Medio Evo e nel XVI, eccetera. Ma è un errore pensare che l’unica forma di “questione sociale” è la lotta tra le classi. Corruzione dei costumi pubblici e privati, la decadenza di tutti gli organismi che costituiscono il tessuto sociale, la rovina della famiglia, degli organismi professionali e le classi sociali, della correttezza commerciale, delle arti, tutto questo può costituire una “questione sociale mostro”, portando la società alla rovina. E una questione sociale di questo tipo può esistere, prosperare, condurre a risultati i più tragici senza che tra le classi componenti dell’organismo sociale non ci sia lotta o rivalità. Così, la lotta di classe è una forma di “problema sociale”, ma non è l’unico, né necessariamente il più pericoloso di loro. L’Impero Romano, per esempio, morì a causa di un enorme “questione sociale” : l’intera società romana in Italia, come in Gallia e Iberia, stava radicale e assolutamente marcita. Per questo e solo per questo, i barbari hanno dominato i romani; questioni sociali hanno portato quindi la società e lo Stato romano alla rovina : senza che fosse nel Impero una lotta di classe.
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È un errore supporre che in questi giorni questione sociale consistono solo della lotta tra proletariato e borghesia. Noi soffriamo di un fenomeno sociale di decomposizione dei caratteri e delle istituzioni, assolutamente così vasto, così profondo, così virulento come l’Impero nei suoi ultimi giorni. Solo ad aggravare la situazione, al di là di qualsiasi cosa, abbiamo una lotta di classe che l’Impero non aveva.
Abbiamo anche i barbari? Sì, e all’interno dei confini. Ai nostri giorni, non c’è, come in epoca romana, un divario tra il mondo barbaro e il mondo civilizzato. Nella mappa contemporanea, non sono chiaramente definiti le due zone pre-invasione : da un lato il territorio imperiale, dove la civiltà decadente trascinava un’esistenza crepuscolare; e dell’altro lato il mondo barbarico che pianificava l’invasione, la rapina e l’universale distruzione. Oggi, i barbari che vivono all’interno della nostra civiltà sono suscitati nelle sue stesse viscere. Se non lo sono tutti barbari, quasi nessuno è interamente esente di un pizzico di barbarie. Ogni giorno, rompe un po’ di più di ciò che resta della nostra civiltà cristiana. Ecco qui un principio che si nega, lì c’è una tradizione che si limita, più avanti vi è una sana abitudine che si abroga. Oggi i cristiani sono meno di ieri, domani sarano meno di oggi. Se tutto ciò che sta essendo corroso, graffato, rotto, del vecchio edificio della civiltà cristiana, potesse lasciare tracce materiali e quei resti potrebbero essere raccolti e riuniti in un unico luogo, potremmo misurare meglio con gli occhi del corpo ciò che non tutti vedono con gli occhi dello spirito. Noteremmo allora, con orrore, a quale proporzione fantastica raggiungerebbe questo fenomeno di distruzione.
In questo grande crimine collettivo, in cui quasi tutti hanno le mani o le dita più o meno rossi col sangue di Cristo, non è soddisfatto l’odio dei suoi peggiori nemici. Vogliono accelerare l’agonia. Desiderano che si giunga adesso, che si giunga completamente con la violenza, a ferro e fuoco, l’ora estrema del consumatum est della civiltà cristiana. Questi sono i comunisti.
Ora, pochi giorni fa, i comunisti hanno tenuto una grande manifestazione, e hanno radunato più di 80.000 attivisti di questa opera diabolica in centro città (Sao Paulo, Brasile). Certamente non tutti erano dei comunisti : c’erano anche dei sostenitori e curiosi. È anche chiaro che alcuni di quelli che erano lì, anche se volevano la vittoria del comunismo, non sapevano molto chiaramente che la Chiesa è la vera Chiesa e che ad attaccarla, diventavono colpevoli di un crimine contro Dio stesso. Poco importa. La sua colpa era di non sapere.
Nostro Signore ha fatto dei miracoli, che l’intero popolo ebraico ha testimoniato. Nonostante questo, se molti durante la Passione non erano ancora certo che Egli era Dio, avevano colpa di questa ignoranza. […] Qui è la Chiesa di Cristo, e di Ella risplendono le sue caratteristiche divine come un sole. Se c’è qualcuno che ignora queste caratteristiche dopo aver ricevuto il santo battesimo, e ha consapevolmente professato la Fede, ha colpa in esso. Se c’è qualcuno che, avendo appartenuto alla Chiesa, si è staccato di Essa per odio alla Sua dottrina, alle Sue istituzioni, la civiltà che ha prodotto, è colpevole del sangue di Cristo. Se ci sono cattolici che sono andati al punto di apostasia, e di iscriversi nei ranghi dei demolitori della civiltà cristiana e della Chiesa di Gesù Cristo, è colpevole del sangue di Cristo, qualunque sia il grado di ignoranza dove è scivolato fino al crimine. E se i cattolici o ex-cattolici, ignoranti o indifferenti (?), che erano lì, sono colpevoli del sangue di Cristo, cosa dire degli altri, i cui sapevano cosa si voleva e cosa si tramava e dove portava tutto quello e a Chi si perseguiva?
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Che cosa ha portato tante persone a fare così grande offesa? Si dice che è la fame. Davvero?
Lasciamo da parte ogni demagogia e considerariamo le cose in faccia.
Innanzitutto, dobbiamo ricordare che coloro che erano lì non appartengono, per lo più, alla classe sociale che soffre di più.
Purtroppo, abbiamo ancora i lavoratori che sono nel bisogno. Ma è doveroso riconoscere il fatto che costituiscono la minoranza. La stragrande maggioranza dei nostri lavoratori vivono con la vera abbondanza. È quello che tutti sanno. Soffre infinitamente più la piccola e media borghesia: modesti funzionari, le vedove e gli orfani che vivono sulle piccole redditi svalutati, delle pensioni fatte insufficienti dall’inflazione, gli insegnanti pagati meno di un macchinista o di un calzolaio, e ciò nonostante costretti a vestirsi in una certa linea. Questi sono i principali ammalati. Ebbene: questi non sono i principali disgustati! I disgustati si puo’ trovargli in tutte le classi, e persino anche in futile ragazzi da sala da ballo. Quindi non è la fame che fa la rivolta.
Rivolta? Dite piuttosto, apostasia. Puo’ solo la fame spingere qualcuno all’apostasia? Puo’ la fame essere la sola colpevole per qualcuno che perde la fede?
No. É della dottrina cattolica che nessuno è tentato al di sopra dalle sue forze. Dio dà a tutti la grazia necessaria. Se poi un cattolico pecca, pecca liberamente. L’occasione di peccato può essere la fame, la lussuria, o qualsiasi altra cosa. Ma è colpa sua.
Così, la ragione per cui così tante defezioni accadono sta molto di più nella debolezza della fede e del fervore religioso di coloro che hanno peccato, nella sua mancanza di generosità verso Dio. Ed è solo secondariamente nell’occasione che gli ha portato al peccato.
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Da tutto ciò ne segue che il comunismo e la lotta di classe ai nostri giorni non sono le conseguenze solo delle cause economiche. Questi includono certamente il problema, ma non a titolo capitale. E così tante defezioni sono ninent’altro che un aspetto della enorme crisi di carattere del mondo contemporaneo che in ultima analisi è una crisi religiosa.
A vista di tutto questo, come qualificare l’ingenuità di chi immaginano che, risolta la questione economica, starebbe risolta la questione sociale? Di quelli che pensano che per debellare il comunismo non si dovrebbero usare la violenza, come si fa contro il crimine, perché il comunismo è fame e non è un crimine?
Le fiamme della predicazione comunista camminano con la velocità di fiamma. Le riforme sociali più intelligenti, efficaci, sicuri, agiscono solo lentamente. Molto prima che la terapia abbia prodotto il suo effetto, il paziente avrebbe già strangolato il medico.
Se fosse solo il medico sarebbe dire poco. Il medico e tutti coloro che erano in disaccordo con l’ingenuità e la minoranza di questi tristi “curatori”.
Fonte: Legionario, N°. 754, 19 gennaio 1947. Traduzione: TFP italiana.