Santo del Giorno, 22 marzo 1966 (*)

Turibio de Mogrovejo (1538-1606), nobile di Maiorca, era un giurista accademico noto per la sua passione per problemi giuridici astrusi e insieme per la sua grande devozione alla Madonna. Recitava ogni giorno non solo il Rosario ma anche il Piccolo Ufficio della Vergine, e digiunava in onore della Madonna ogni sabato.
Fu proprio questa devozione mariana ad attirare l’attenzione del re Filippo II (1527-1598), che lo nominò giudice presidente della Corte Suprema di Granada e responsabile dell’Inquisizione in quella città. Per cinque anni fu un giudice eccezionale, tanto che nel 1580 – semplice laico – fu chiamato all’episcopato come vescovo di Lima, in Perù. Invano Turibio ricorse alla sua sottigliezza di giurista per argomentare contro la legittimità del decreto che conferiva a un laico una tale carica. Il re e la Santa Sede gli ordinarono in nome dell’obbedienza di accettare: fu ordinato prete, consacrato vescovo e insediato nell’immensa diocesi peruviana a 43 anni nel 1581.
Nonostante le reticenze iniziali, si mise all’opera con l’abituale energia per difendere gli indiani sfruttati e perseguitati, per risollevare la morale tra una popolazione spagnola ampiamente corrotta, e per applicare le decisioni del Concilio di Trento in un Paese dove la corruzione si diffondeva anche tra il clero. Ebbe la fortuna di trovare un viceré del Perù che era in fama di santità, Francisco de Toledo (1516-1582).
Il viceré protesse il santo contro numerosi calunniatori e persecutori. Il vescovo Turibio offrì la sua protezione agli indiani e, fino all’età più avanzata, continuo a studiare i loro dialetti per potere personalmente insegnare il catechismo. La sua vigorosa azione era sostenuta da una vita davvero intensa di preghiera e penitenza.
Durante una visita pastorale, contrasse a Pacasmayo una febbre tropicale. Trasportato a Saña, morì il 23 marzo 1606, dopo avere dato istruzioni perché i suoi beni fossero distribuiti tra i servitori e i poveri, esclamando: “Nelle tue mani, Signore, affido il mio spirito”.
Si tratta di una vita esemplare, da cui traggo solo qualche punto di meditazione. Il primo è la grande devozione del santo alla Madonna, senza la quale la sua vita e la sua azione non possono essere capite. Senza devozione alla Madonna non c’è santità. E la devozione alla Madonna è la misura di ogni santità.
Un secondo punto interessante è considerare come il re Filippo II fu colpito dalla devozione mariana di questo giurista e lo chiamò a una carica molto importante. Possiamo riflettere sulla differenza con i nostri tempi. Chi può immaginare che il presidente di una nostra Repubblica oggi si comporterebbe così? Immaginiamo che il tal presidente venga a sapere che in una città c’è un uomo di legge molto religioso che digiuna, fa penitenza e recita tutti i giorni il Piccolo Ufficio della Madonna. Incontrandolo, il presidente è così impressionato dalle sue virtù che gli chiede di assumere un’importante carica giudiziaria. Questa ci sembra una favola: giustamente. Non pensiamo che possa accadere davvero, perché sappiamo bene che oggi essere pii e virtuosi non costituisce un titolo preferenziale per essere chiamati ad alte cariche.
Invece il re Filippo II invita san Turibio ad assumere un’importante carica: tra l’altro, non solo quella di presidente di una delle Corti Supreme spagnole ma anche di presidente dell’Inquisizione di Granada. Questo ci mostra che l’Inquisizione qualche volta, in effetti, era guidata da santi. San Turibio lascia una vita serena di studio e di pietà per diventare la frusta degli eretici come inquisitore. Non c’è contraddizione fra studio, pietà e funzione giudiziaria e inquisitoriale. Possono essere attività complementari. In effetti le testimonianze ci dicono che san Turibio esercitò le sue funzioni guadagnandosi la stima di tutti, tanto che fu chiamato da laico a diventare vescovo di una grande diocesi.
Consideriamo il prestigio che la santità aveva a quel tempo, e come fosse considerata un elemento non solo utile ma indispensabile al buon governo. Filippo II aveva capito che solo un santo avrebbe potuto porre fine alla corruzione morale in cui il Perù stava affondando; solo un santo avrebbe potuto dare uno stile cattolico alla vita e alla cultura della colonia. Nella sua politica coloniale il re non era mosso dal solo interesse economico, come l’analisi marxista e la propaganda rivoluzionaria sostengono ogni volta che si parla della Spagna o del Portogallo di quei secoli. Dov’era il vantaggio economico nel mandare in Perù un nemico inflessibile della corruzione interessato anzitutto a una riforma spirituale? Dobbiamo ammettere che Filippo II si preoccupava davvero di consolidare il regno di Gesù Cristo in Perù.
In Perù san Turibio comincia ad agire. Diventa il flagello del clero corrotto. Io penso che un vero santo è colui che non si limita a predicare contro il vizio ma prende provvedimenti concreti contro i viziosi. Infatti san Turibio intraprese una sistematica riforma del clero. Fu appoggiato da un altro sant’uomo che Filippo II aveva scelto per il Perù, il viceré Francisco de Toledo.
