Sì, inginocchiamoci, lettore – Finché durerà il mondo, la Chiesa continuerà a produrre uomini di fibra e persino grandi uomini
10-11-1974
di Plinio Corrêa de Oliveira
Quando morì De Gaulle, diversi organi della stampa mondiale affermarono che con lui si chiudeva l’era dei demiurghi. D’ora in poi, in un mondo sempre più socializzato, i grandi uomini di un tempo sarebbero stati sostituiti da grandi squadre o grandi organizzazioni. Non c’è dubbio che questa previsione sia nella logica del socialismo. Secondo quest’ultimo, infatti, le persone devono essere assorbite dai gruppi, e i gruppi dalle grandi folle spersonalizzate e anonime, valore massimo del mondo futuro.
Questa prospettiva è importante per ciascuno di noi, nella diluizione del proprio io nel magma confuso delle folle. Non riesco quindi a capire come chiunque abbia uno spirito aperto e ben costituito possa rallegrarsene.
Del resto, questo desideratum socialista è falso. È possibile che il rullo compressore dell’egualitarismo socialista riesca ad appiattire milioni di personalità. Ma dall’umanità così costretta con la forza in stampi assolutamente innaturali si sprigionerà sicuramente un gemito sordo e universale. Come sempre accade con i grandi gemiti dei popoli oppressi, anche quello dell’eventuale mondo socializzato troverà anime elette che lo formuleranno in termini di pensiero, letteratura, arte o azione. Questi saranno i grandi uomini di domani. Le loro figure impressionanti si formeranno nell’ombra delle prigioni, si innalzeranno nel tragico isolamento che circonda i non conformisti e si immoleranno nella devozione e nella lotta. Le masse forse non li conosceranno. Poco importa. Questi uomini saranno veramente grandi. E nel giorno del Giudizio Supremo, il Giudice Giusto saprà dare loro il premio dovuto. Così è il socialismo stesso che avrà fatto nascere i grandi uomini, la cui comparsa voleva evitare.
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Soprattutto sono certo che continueranno ad esserci grandi uomini in futuro, perché «lo Spirito soffia dove vuole» (S. Giovanni III, 8) e nessuno impedirà che compia negli uomini la sua opera santificatrice. Ora, santificare significa formare personalità interamente definite, caratteristiche e incrollabili, che nessun sistema di massificazione potrà diluire.
Il Santo è proprio il contrario dell’uomo massificato. È il contrario dell’uomo-formica, automa vivente delle immense Babele socializzate. Il Santo è come il lievito nella pasta (S. Matteo XIII, 33): comunica agli altri la sua forza di personalità e rompe così l’inerzia delle moltitudini stagnanti. È come il sale (S. Matteo V,13): dà sapore a ciò che è insipido, dà quindi vitalità alle personalità insipide, mediocri o addirittura volgari.
E qui intendo per “santo” non solo i giganti dell’eroismo cristiano, ma ogni uomo che vive nella grazia di Dio.
Così, finché durerà il mondo, la Chiesa continuerà a produrre uomini di fibra e persino grandi uomini: “lo Spirito soffia dove vuole” …
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Due fatti recenti lo confermano. Le ceneri del solitario di Colombey [de Gaulle] non si sono ancora raffreddate nella tomba, e il mondo può già contemplare il pieno splendore di due grandi personalità, aureolate da una gloria che né Churchill, né Adenauer, né de Gaulle hanno posseduto. Una gloria accanto alla quale ogni grandezza meramente umana non è che polvere, cenere e nulla. Una gloria che supera in splendore, forza e dolcezza tutte le glorie. Il suo nome è beatitudine. «Beati quelli che sono perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli» (San Matteo V,10). Questo non è stato proclamato da nessuna commissione di studiosi, né da alcun atto dell’UNESCO. È stato semplicemente enunciato in cima a una piccola collina di provincia da Qualcuno che, pur essendo veramente uomo, non era solo uomo. Era Uomo-Dio. E per questo tale beatitudine trascende ogni grandezza umana.
Questi due beati erano due cardinali. «Le mie ossa umiliate tremano di gioia» (Salmo L, 10): la frase di Davide mi sale dal cuore alle labbra, nel momento in cui mi è data la felicità di proclamare le autentiche grandezze di due Cardinali della Santa Chiesa.
Solo alla Chiesa spetta decretare le canonizzazioni, ed Ella molto prudentemente non canonizza nessuno in vita.
Non voglio precedere la Chiesa. Mi limito a dire che, nel momento in cui i due Cardinali si presentano al mondo associandosi alla causa dei perseguitati per amore della Fede, sono beati.
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Nubi plumbee oscurano l’orizzonte basso. L’inquinamento spirituale ha colpito vaste zone dell’atmosfera interna della Santa Chiesa. Il comunismo internazionale vuole a tutti i costi indurla ad un accordo. Un accordo ambiguo e proprio ad un atto di capitolazione, offerto ora da diplomatici machiavellici, ora da prelati cavillosi, come Pimen, il “patriarca” factotum degli atei di Mosca. Molti credono, e altri fingono di credere, alla sincerità di queste manovre pacifiste.
Il cardinale Slipyi durante la storica visita in Brasile, nel settembre 1968. Al suo fianco il prof. Plinio Corrêa de Oliveira, nella sede della TFP
Su quest’ultimo problema non è intervenuto l’arcivescovo maggiore del rito ucraino, cardinale Josyf Slipyi. Esponendosi a tutti i rischi, ha strappato la maschera agli atei adulatori. In piedi, durante la sessione del Sinodo del 4-10-1974, alla presenza di Paolo VI, proclamò grandi verità che riducono in polvere – o meglio, in fango – la politica di Breznev. Nel mondo comunista le persecuzioni non sono cessate. I cattolici ucraini continuano a subire le peggiori persecuzioni. E, esclama Slipyi, non c’è nessuno in tutta la vastità della terra che li protegga. Pimen (alla cui investitura nel «patriarcato» di Mosca ha assistito una delegazione vaticana presieduta da un cardinale e che ha recentemente ricevuto la visita di padre Arrupe, generale dei gesuiti) ha definito la persecuzione degli ucraini come una delle azioni più memorabili del nostro secolo.
La denuncia del cardinale si prolungava, facendo esplodere nell’aria verità scomode e drammatiche. I segnali luminosi indicavano che doveva tacere, perché il suo tempo regolamentare era scaduto. Ma lui continuava a parlare. Finché non lo avessero strappato materialmente dal podio, non avrebbe smesso senza aver detto tutto. Mentre parlava, non c’era nulla da fare. Quando tacque, non c’era nulla da dire.
Il giorno dopo, i giornali mostravano al mondo intero l’intera statura morale di un grande uomo…
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Passiamo al cardinale Mindszenty. Tutti lo hanno contemplato, tremanti di ammirazione o rigidi di odio, nelle tre successive “crocifissioni”: nelle segrete naziste, nelle prigioni comuniste e nella tragica solitudine dell’ambasciata americana. Ha resistito fino ad ora. Alla fine, ciò che nessuna forza umana era riuscita a ottenere da lui, è stato ottenuto da ciò che gli sembrava un dovere di obbedienza! Ha lasciato l’Ungheria contro la sua volontà e si è recato a Roma, dove lo attendeva una tiepida e onorevole fine.
È un momento difficile per tutti gli eroi. È il momento di indossare le pantofole, sedersi sulla sedia a dondolo e accendere la pipa. È il momento in cui l’eroe rischia di ammorbidirsi. Le pantofole fanno appassire facilmente gli allori…
– Il cardinale Mindszenty avrebbe acconsentito a non lottare più, a non essere più un ostacolo, una recriminazione vivente, una minaccia morale irriducibile per i tiranni comunisti di Budapest?
In occasione della visita del cardinale Josef Mindszenty in Venezuela, nell’aprile del 1974, la TFP di quella nazione diffuse un messaggio di benvenuto all’eroico cardinale ed ebbe l’onore di accoglierlo con i propri stendardi all’aeroporto internazionale di Maiquetía. L’illustre visitatore ricevette due volte i direttori e i collaboratori della TFP, distinguendoli con espressioni significative di simpatia.
Ci fu un momento in cui si creò un po’ di suspense al riguardo. Nessun segno di resistenza, nessun segno di vita proveniva, da alcuni giorni, dalla Torre di San Giovanni, l’alloggio circondato dal silenzio e dal mistero in cui Paolo VI aveva ospitato l’anziano cardinale.
Non si sa esattamente come. Né a che ora né in che modo. Ma il fatto è che, a un certo punto, il cardinale Mindszenty ha squarciato il velo di mistero e silenzio. Ha tagliato le distanze, ha attraversato il confine austriaco ed è apparso a Vienna. A chi gli chiedeva perché si fosse stabilito lì, rispondeva con una semplicità al tempo stesso sublime e affascinante: «Così sarò più vicino al mio popolo».
La frase è un nuovo programma di dedizione, ormai alla fine della vita. Ricorda la frase di San Giovanni sul Redentore: «Come ha amato i suoi, li ha amati fino alla fine» (S. Giovanni XIII, I).
A quanto pare, promise a Vienna di non intervenire in politica. Il che, del resto, non significa cessare la lotta. Infatti, durante tutta la sua vita ha sempre affermato di non aver mai fatto nulla del genere, poiché non è politica adempiere al dovere di Pastore.
In questi giorni cupi in cui tante anime accomodanti e senza ideali predicano la fine dell’anticomunismo e la rottura delle barriere ideologiche, la figura del cardinale Mindszenty, in piedi a poca distanza dal territorio ungherese, con la fronte e il petto rivolti verso i venti freddi e pestilenziali che da lì soffiano, è il simbolo stesso della coerenza eroica, una barriera ideologica viva fondata sulla fede e sulla grazia, e per questo superiore a qualsiasi pressione umana.
Un altro beato ha così mostrato al mondo la grandezza della sua statura di eroe.
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Ci sono certe grandezze che rendono pallida ogni lode.
Esse non si contemplano in piedi, ma in ginocchio. In ginocchio davanti a Dio, glorificandolo per ciò che opera nei suoi eletti. E chiedendogli di preservarli dalla debolezza umana fino all’ora estrema.
Così, in ginocchio, chiediamo a Dio, per Maria, Mediatrice di tutte le grazie, per questi due grandi combattenti, il premio dei premi, che è il possesso del Regno dei Cieli.