Rivista Tradizione, Famiglia, Proprietà, Roma, marzo 2008
Introducendo l’anno del centenario di nascita del grande leader cattolico Plinio Corrêa de Oliveira (1908-1995), ispiratore delle Società per la Difesa della Tradizione Famiglia e Proprietà — TFP, proponiamo ai nostri lettori ampi stralci della conferenza del prof. Roberto de Mattei nell’ultima Università Estiva delle TFP europee, tenutasi in Austria ad agosto.
Battaglia di Ponte Milvio
È il 27 ottobre dell’anno 312 dopo Cristo. Due eserciti si fronteggiano alle porte di Roma. Il primo esce dalle Mura Aureliane per schierarsi lungo le sponde del Tevere, presso Ponte Milvio. È comandato da Marco Aurelio Valerio Massenzio. Il secondo, sceso verso Roma da Treviri, in Germania, si attesta lungo la via Flaminia. È guidato da Flavio Valerio Costantino. I due contendenti lottano per il titolo di Augusto di Occidente, una delle quattro cariche supreme nella Tetrarchia, il nuovo sistema di governo dell’Impero ideato da Diocleziano.
Saxa Rubra: cambia il destino dell’Impero
La giornata volge al tramonto, quando le truppe di Costantino vedono improvvisamente stagliarsi nel cielo un grande segno luminoso, con una scritta fiammeggiante: In hoc signo vinces. Eusebio di Cesarea, il primo grande storico della Chiesa ricorda l’evento con queste parole: “Un segno straordinario apparve in cielo. (…) Quando il sole cominciava a declinare, Costantino vide con i propri occhi in cielo, più in alto del sole, il trofeo di una croce di luce sulla quale erano tracciate le parole IN HOC SIGNO VINCES. Fu pervaso da grande stupore e insieme a lui il suo esercito”.
L’effetto sulle truppe è impressionante. Nell’esercito di Costantino ci sono molti cristiani. Essi hanno vissuto l’ultima persecuzione, la più terribile, quella di Diocleziano, iniziata nel 297 con l’epurazione dall’esercito di tutti i fedeli di Cristo. I militari cristiani che erano molto numerosi nelle armate imperiali, erano stati posti di fronte ad un’alternativa radicale: abbandonare la loro religione o il loro posto nell’esercito. Vi fu chi scelse la triste strada dell’apostasia, ma molti perseverarono e, lasciato l’esercito, emigrarono in Gallia dove si arruolarono con Costanzo Cloro, l’unico dei quattro tetrarchi che non aveva aderito alle persecuzioni di Diocleziano. Ciò significa che, all’inizio del IV secolo, il numero dei cristiani che affollavano l’esercito di Costanzo, stanziato nelle Gallie e in Britannia, non era irrilevante.
Quando, nel 305, Costanzo era morto a York, in una spedizione contro i Picti e gli Scoti, le truppe avevano acclamato imperatore Costantino, figlio di Costanzo e di Elena, futura imperatrice e futura santa, mentre i pretoriani a Roma proclamavano imperatore Massenzio. Quest’ultimo aveva invocato gli dei pagani, per chiedere loro la vittoria. La Croce apparsa nel cielo era, senza ombra di dubbio, il simbolo dei cristiani. I due eserciti che ora si affrontavano erano consapevoli che non erano forze meramente umane quelle coinvolte nel terribile scontro. Nella notte, come narra Lattanzio, Cristo apparve in sogno a Costantino, “esortandolo ad apporre quel simbolo sugli scudi dei soldati con quei segni celesti di Dio e ad iniziare quindi la battaglia”.
Vi sono momenti in cui un uomo può cambiare, con il suo sì o con il suo no, il corso della sua vita. E vi sono momenti in cui dalla scelta di quest’uomo può dipendere la sorte di popoli e di nazioni per i secoli a venire. Accadde in quella notte di ottobre al figlio di Costanzo ed Elena, chiamato a decidere quale sarebbe stato il destino dell’Impero di Roma.
Non sappiamo cosa avvenne nel cuore di Costantino: se la sua decisione fu fulminea o se ebbe dubbi ed esitazioni. Sappiamo però che, la mattina dopo, egli non solo fece imprimere il monogramma di Cristo sui vessilli delle sue legioni, ma che istituì il Labarum, lo stendardo che avrebbe sostituito l’aquila romana di Giove e che tutti i soldati da allora avrebbero dovuto onorare.
La battaglia si svolse furiosa. Costantino riuscì a spingere l’esercito rivale con le spalle al Tevere, dove Massenzio cercò scampo nella fuga. Fu travolto dalle acque e la sua testa fu portata al vincitore, che ascese al soglio dell’Impero.
Cristianesimo e milizia
Il 28 ottobre del 313 la Croce trionfò vittoriosa sul sangue e sulla polvere del grande campo di battaglia di Saxa Rubra, là dove il Tevere fa una grande ansa, prima di costeggiare la Flaminia. Il luogo prese il nome di Saxa Rubra, dal colore del sangue versato sulle pietre. Quel sangue, per la prima volta nella storia, non fu solo sangue cristiano.
Costantino non era cristiano e non divenne cristiano in quella notte, ma rispose affermativamente all’invito di Cristo. Un anno dopo, il 13 giugno 313, egli promulgò l’Editto di Milano con cui ogni legge persecutoria emanata in passato contro i cristiani era abolita e il Cristianesimo diveniva religio licita nell’Impero.
Costantino è celebre per quest’editto che poneva fine all’era delle persecuzioni ed apriva un’epoca nuova di libertà per la Chiesa. È grazie a questo editto che si parla di “svolta costantiniana” nella storia della Chiesa. E tuttavia, nella vita di Costantino ed in quella della Chiesa, l’ora decisiva, fu un’altra: quella in cui per la prima volta la Croce di Cristo, vexilla regis, apparve sul campo di battaglia, difesa dalle spade dei legionari.
C’erano stati eretici, come i montanisti che avevano sostenuto l’incompatibilità del Cristianesimo con le armi. Non era questo l’insegnamento del Vangelo e non era stato questo, nei primi tre secoli, l’atteggiamento dei cristiani. Malgrado le opinioni in senso contrario di Tertulliano, le cui posizioni riflettono la sua evoluzione verso l’eresia montanista, nessun atto del Magistero aveva proibito il servizio militare nel corso dei primi tre secoli. Al contrario, è noto il fatto che in questo periodo storico molti cristiani servirono come ufficiali o soldati nelle legioni romane, conciliando la duplice caratteristica di cristiani e di militari, senza che la Chiesa rivolgesse loro alcun rimprovero per questo motivo: molti di questi furono anzi canonizzati.
Gli ufficiali e soldati cristiani che furono martirizzati in quest’epoca non furono messi a morte per aver rifiutato come cristiani di servire nell’esercito, ma per aver rifiutato di partecipare a cerimonie pagane imposte dai persecutori, ossia per aver rifiutato di compiere atti di idolatria e di apostasia. Tale è l’esempio di sant’Eustachio, di san Sebastiano, dei legionari della XII Fulminata sotto Marco Aurelio, e di san Maurizio della Legione Tebea, sotto Diocleziano.
Guerra giusta
Il Cristianesimo insegnava che era possibile essere buoni cristiani e buoni soldati: era possibile servire in armi un’autorità che veniva riconosciuta come legittima, anche quando perseguitava la fede. Ma l’apparizione della Croce a Costantino significava qualcos’altro: per la prima volta nella storia, appariva un esercito cristiano: un’armata di uomini non tutti cristiani, ma disposti a combattere nel nome di Cristo.
Per la prima volta la Croce non era solo il simbolo della sofferenza nel martirio: diveniva il simbolo della sofferenza nella lotta. Era Cristo stesso, che chiedeva a Costantino e alle sue legioni di combattere e chiedeva di combattere in suo nome: si può combattere dunque in nome di Dio, quando la causa è giusta, quando la guerra è santa, quando Dio stesso lo vuole, come tante volte sarebbe accaduto nella storia.
La battaglia di Saxa Rubra non dimostrava solo la legittimità del combattimento cristiano. Il monogramma di Cristo impresso sul labaro di Costantino esprimeva la teologia politica del Vangelo, riassunta dalla massima Non est potestas nisi a Deo (Rom. 13, 1). Il monogramma di Cristo imprimeva un carattere sacro sul labaro imperiale, conteneva in sé tutta la Civiltà cristiana del Medioevo.
Il monogramma di Cristo impresso sul vessillo imperiale e l’insegna, in hoc signo vinces, che spronava alla lotta, conteneva la storia dei secoli futuri: il sogno di sant’Ambrogio e di Teodosio di costruire un Impero romano cristiano; la realizzazione del Santo Impero, nell’800 dopo Cristo, con l’incoronazione di Carlo Magno, padre e fondatore della Cristianità medioevale. Nei cerimoniali di incoronazione imperiali e regi che succederanno a quello di Carlo Magno, il sovrano riceve dal consecrator non solo la corona ma anche la spada: Accipe gladium de altare sumptum; la spada è santa come l’altare da cui è presa. Il sovrano deve brandirla vigorosamente per dimostrare la propria decisione di difendere la Chiesa contro i nemici esterni ed interni che la aggrediscono.
Fu in questo spirito che nacquero le crociate, intraprese per difendere la fede e riconquistare i Luoghi Santi. Il grido Deus vult che risuonò sul campo delle crociate riecheggia quello di Saxa rubra: in hoc signo vinces. “Nel lanciare l’appello alle Crociate — scrive il cardinale Castillo Lara — nell’animare i soldati prendendoli sotto la loro alta direzione, i pontefici non si posero mai il problema della incongruenza della guerra con lo spirito della Chiesa, né si domandarono se avevano diritto di organizzare eserciti e lanciarli contro gli infedeli. (…) I Papi di conseguenza non solo non lo consideravano illecito, ma anzi avevano coscienza di esercitare in tal modo un proprio potere: il supremo potere di coazione materiale”.
Nelle crociate la Chiesa esercita la potestas gladii ecclesiastica, il potere di coercizione, non solo spirituale, ma anche materiale, che scaturisce dalla sua natura giuridica di societas perfecta, indipendente da ogni autorità umana. Dal carattere di società perfetta che le è proprio, deriva alla Chiesa, pleno jure, la potestà di coazione, sia sul piano spirituale che su quello materiale. Le crociate costituiscono una espressione storica di questo diritto della Chiesa ad usare della forza materiale per conseguire il suo fine soprannaturale.
Le crociate: un atto di amore
Il professor Jonathan Riley-Smith, caposcuola del rinnovamento degli studi sulle crociate, in un saggio apparso nel 1979 con il titolo Crusading as an Act of Love, La Crociata come atto d’amore, ricorda la bolla Quantum praedecessores, del 1° dicembre 1145, con cui Papa Eugenio III, riferendosi a coloro che avevano risposto all’appello della prima crociata, afferma che essi erano “infiammati dall’ardore della carità”, e alla carità, all’amor di Dio, fa risalire la motivazione profonda di questa impresa.
Offrire la propria vita è la più grande forma di amore e il più perfetto atto di carità, poiché ci fa perfetti imitatori di Gesù secondo le parole del Vangelo, secondo cui “nessuno ha più grande amore di colui che dà la sua vita per Lui e per i suoi fratelli” (Gv. 3, 16; 15, 13). Questa testimonianza è comune ai martiri e ai crociati. Se il martirio è l’atto con cui il cristiano è disposto a sacrificare la sua vita per preservare la propria fede, la crociata appare, nelle sue motivazioni più profonde, come l’atto con cui il cristiano è disposto ad offrire la propria vita, per il bene soprannaturale del prossimo, difendendolo con il suo combattimento. Nei crociati, la prospettiva del martirio è insita nel signum super vestem: la Croce rossa sull’abito bianco. Quella stessa Croce, nell’ottobre del 312, era apparsa nel cielo, per indicare ai legionari di Costantino la via della lotta e della vittoria.
Battaglia di Lepanto (Veronese)
Quando Marcantonio Colonna, comandante della flotta pontificia nella battaglia di Lepanto, prestò giuramento nella cappella papale, l’11 giugno 1571, ricevette dalle mani del Papa, oltre al bastone del comando, una bandiera di seta rossa. Su questa bandiera era impresso il Cristo crocefisso tra i principi degli apostoli Pietro e Paolo; sotto di essi vi era lo stemma di Pio V e come motto: In hoc signo vinces.
Plinio Corrêa de Oliveira, “crociato del secolo XX”
In hoc signo vinces. Sotto questa insegna può porsi la vita di Plinio Corrêa de Oliveira, entrato nella storia come “il crociato del secolo XX”.
La personalità di Plinio Corrêa de Oliveira fu senza dubbio prismatica ed ogni definizione, anche quella di “crociato” può essere considerata riduttiva. Eppure la parola “crociato”, più di ogni altra gli si addice e, sotto certi aspetti, ne riassume la sua vocazione. Cercherò di offrire qualche elemento di riflessione su questo punto.
Plinio Corrêa de Oliveira volle un giorno riassumere il senso della sua vita e della sua opera in queste poche parole vergate di sua mano:
“Quando ancora molto giovane considerai rapito le rovine della Cristianità, affidai ad esse il mio cuore, voltai le spalle al mio futuro e di quel passato carico di benedizioni feci il mio avvenire”.
Il Prof. Plinio durante un discorso, davanti alla chiesa dov’è stata fondata la città di San Paolo del Brasile dal jesuita San José de Anchieta