Verità Dimenticate: Chi dà scandalo agisce contro la virtù della carità nei riguardi del prossimo

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Del Dizionario di Teologia Morale diretto da F. Roberti e P. Palazzini, Ed. Studium, Roma, 1968, 4a. ed., riveduta alla luce del Concilio ecumenico Vaticano II, p. 1478-1479 / Imprimatur: Sac. Marius Iacovelli, Vic. Gen., Tibure, 25-2-1968:

SCANDALO.I. NATURA. –  È l’atto di una persona che può essere la causa o l’occasione del peccato di un’altra persona. SCANDALO è parola di origine greca, che significa un oggetto posto sulla via, contro il quale il camminatore urta col piede e cade o si fa male in altra maniera. L’uomo può dare scandalo e prendere (subire) scandalo. Distinguiamo le due cose come scandalo attivo e passivo.

Comunemente lo scandalo attivo e passivo vanno insieme. Però non sempre. Infatti capita talvolta che uno commette un atto che è scandalo, essendo di per sé tale da cagionare danno spirituale al prossimo, ma che tuttavia il prossimo di fatto non prende scandalo, perché resiste all’influsso cattivo e non pecca.

Capita, anche, benché più raramente, che un uomo prenda scandalo, cioè prenda occasione da una condotta buona sotto ogni aspetto, che non abbia neanche l’apparenza di male, per fare il peccato. Così fecero i farisei, vedendo l’attività dottrinale e benefica di Gesù. In tali casi c’è scandalo passivo, senza scandalo attivo; uno si scandalizza senza che l’altro dia scandalo. Occorre osservare che talvolta gli uomini parlano di scandalo per significare l’indignazione o l’ammirazione nata a causa della condotta cattiva o strana di qualcuno. In tal caso si usa la parola scandalo in un senso improprio e falso.

Indignarsi perché un altro fa male, non è peccato, ma un atto buono; chi è così indignato non imiterà certo il peccato del prossimo.

  1. DEFINIZIONE. – Parliamo adesso dello scandalo attivo, il quale è una condotta (atto, parola, omissione) cattiva o almeno meno buona, che è per il prossimo causa o occasione di rovina spirituale, ossia di peccato.

La dizione meno buona è di grande importanza. È vero che nella maggioranza dei casi lo scandalo è dato per una condotta di per sé cattiva, ossia cattiva anche se non fosse causa del peccato altrui. Ma lo scandalo può anche consistere in una condotta che non è cattiva, ma che ha un’apparenza di male e perciò può diventare causa del peccato altrui, perché il prossimo crede che ciò che noi facciamo sia peccato e nondimeno segue il nostro esempio.

Perciò S. Paolo insegna ai fedeli di Corinto che comprare e mangiare la carne degli animali, che sono stati sacrificati agli idoli, di per sé non è peccato, perché l’idolo è inesistente; ma quando altri pensano che un tale atto non è lecito e c’è pericolo che nondimeno lo facciano, perché vedono che anche altri cristiani lo fanno, c’è l’obbligo di non comprare e mangiare tale carne, perché non è lecito compiere un atto, che sarà occasione ad altri di peccato ossia darà scandalo.

  1. DIVISIONE. – Distinguiamo lo scandalo diretto e quello indiretto. Il primo è una condotta che per propria natura provoca il peccato altrui. Questo comprende due modi diversi. Si può agire proprio con lo scopo di causare il peccato di altri, di provocare la sua rovina spirituale. È la forma più grave dello scandalo, che porta il nome di scandalo diabolico, perché, ciò facendo, l’uomo imita il modo di agire proprio dello spirito cattivo, nemico di Dio e dell’uomo.

Un’altra maniera di scandalo diretto si ha quando l’uomo compie o cerca di compiere un atto non per far peccare il prossimo, ma con altro scopo (p. es. soddisfare la propria passione, fare un guadagno) però pone un atto che implica un peccato altrui, p. es. la fornicazione.

Lo scandalo è invece indiretto, quando si commette un atto cattivo, ma che di per sé non richiede e non implica il peccato altrui, ma viene compiuto in tali circostanze che, nel caso concreto, l’atto, con certezza o probabilmente, causerà l’altrui peccato.

Quando lo scandalo è basato sull’imitazione di ciò che si vede fare da un altro, esso coincide col cattivo esempio. Ma ci sono anche altre forme di scandalo. La donna, che si veste secondo una moda indecente, dà scandalo non soltanto per il cattivo esempio che dà ad altre donne, ma anche perché può provocare il peccato di lussuria negli uomini; dà quindi scandalo a questi in tutt’altro modo.

  1. MORALITÀ.Dare scandalo è un peccato grave o lieve secondo il caso.

È lieve quando il peccato del prossimo, del quale noi siamo la causa o l’occasione, è soltanto lieve ossia veniale, o quando l’influsso della nostra condotta sul peccato del prossimo, e quindi sul suo danno spirituale, non è notevole.

Chi dà scandalo agisce contro la virtù della carità nei riguardi del prossimo, perché questa virtù ci obbliga a non recare danno alcuno al prossimo, anche e soprattutto il danno spirituale.

Inoltre, dando scandalo diventiamo partecipi del peccato, che il prossimo commette. Mentre non è mai lecito dare scandalo (attivo), ci sono dei casi nei quali la legge morale permette dì agire, benché la nostra condotta sia occasione di scandalo passivo:

1) quando questo scandalo è farisaico e proviene proprio dalla cattiva volontà del prossimo, che prende la nostra condotta come occasione di peccato;

2) quando questo scandalo segue, a causa della ignoranza o della mancanza di istruzione o formazione morale del prossimo, da un nostro atto in sé non peccaminoso e d’altra parte necessario per raggiungere o salvare un bene di valore tale da giustificare la nostra condotta.

In tali casi non c’è scandalo attivo, né peccato di scandalo. La responsabilità del peccato del prossimo grava su di lui solo e forse su di altri, che sono colpevoli della sua ignoranza e della sua debolezza morale.

  1. GRAVITÀ DEL PECCATO. – Proprio perché contrario alla virtù di carità, oggetto del comandamento principale del divino Maestro, lo scandalo dispiace tanto a Dio e sarà severamente punito.

Guai al mondo per causa degli scandali gridò Gesù. Eppure il mondo è pieno di scandali. Ammesso che gli uomini non vogliono astenersi dai peccati di ogni sorta, è necessario che vi sia lo scandalo, ma guai all’uomo per colpa del quale avviene lo scandalo.

Chi scandalizza alcuni di questi piccoli (fanciulli, giovani semplici, poco istruiti, deboli di carattere) che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina da asino e fosse immerso nel profondo del mare (Mt. 18, 4-7). Parole severe, che devono renderci vigili e cauti, perché tutti viviamo in mezzo ai fanciulli e ai giovani, che guardano la nostra condotta; specialmente però quando abbiamo nel mondo un posto elevato (Autorità, Superiori, sacerdoti, genitori e educatori).

Non basta non fare ciò che è per sé stesso peccato, ma bisogna anche evitare ciò che, pur non essendo peccato, mette altri in pericolo di peccare, tenendo anche conto del fatto che viviamo insieme con altri, e che tutti siamo propensi al male e abbiamo da lottare con le nostre cattive passioni.

Anche se una persona non vede essa stessa il pericolo di scandalo, perché non ha esperienza nella vita e non conosce l’effetto che la sua condotta (il suo modo di comportarsi, di vestirsi, ecc.) ha sulle passioni di persone di altra condizione (p. es. dell’altro sesso), può nondimeno essere rea del peccato di scandalo, perché non vuol ascoltare le persone, da Dio costituite, per istruirsi ed avvisare gli uomini nelle cose spirituali.

  1. RIPARAZIONE.La stessa carità verso il prossimo che obbliga a evitare lo scandalo, obbliga anche a riparare lo scandalo dato, ossia a riparare il danno spirituale, secondo la possibilità, che dipende molto dai casi concreti. Se lo scandalo è stato dato pubblicamente, generalmente è anche richiesto un atto pubblico per ripararlo. In molti casi comuni il pubblico cambiamento di vita e il buon esempio dato pubblicamente e coraggiosamente contiene una riparazione valida e spesso sufficiente dello scandalo, dato con una vita peccaminosa.

BIBL. – G. J. VVAFFELAERT, Dissertations morales; la coopération au mal; l’espèce morale du scandale 2, Bruges 1892; B. VALUY, Fraternal charity, New York 1908; B. OIETTI, Scandalum, in Synopsis theol. mor. et iuris pontificii 7, Romae 1912, nn. 3625-3630; N. JUNG, Scaldale, in DTC, XIV, 1246-1254; R. NAZ, Scandale, in DDC, VII, 877-878.

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