Verità Dimenticate: Quando la fede e la morale cristiana si urtano contro forti correnti avverse di errori o di appetiti viziati, sorgono tentativi di vincere le difficoltà con qualche comodo compromesso (Papa Pio XII)

blank

 

DISCORSO DI SUA SANTITÀ PIO XII AI PARROCI E AI QUARESIMALISTI DI ROMA, Martedì, 23 febbraio 1944:

(…)

Un fatto, che sempre si ripete nella storia della Chiesa, è che quando la fede e la morale cristiana si urtano contro forti correnti avverse di errori o di appetiti viziati, sorgono tentativi di vincere le difficoltà con qualche comodo compromesso, o altrimenti di schivarle ed eluderle.

Anche in ciò che spetta ai comandamenti di Dio si è creduto di aver trovato un ripiego. Nella materia morale, si è detto, vi è inimicizia con Dio, perdita della vita soprannaturale, grave colpa in senso proprio, solamente quando l’atto, di cui si deve rispondere, è stato posto non solo con la chiara consapevolezza che è contro il comandamento di Dio, ma, anche con la espressa intenzione di offendere con esso il Signore, di rompere l’unione con Lui, di disdire a Lui l’amore. Se questa intenzione è mancata, se, cioè l’uomo da parte sua non ha voluto troncare l’amicizia con Dio, l’atto singolo — si afferma — non può nuocergli.

Per portare un esempio: le moltiformi deviazioni del sesto comandamento non sarebbero per il credente, il quale nel resto vuol mantenersi unito a Dio e conservarsi amico di Lui, nessuna grave mancanza, né importerebbero colpa mortale. Stupefacente soluzione! Chi non vede come nella chiara conoscenza che un determinato atto umano è contro il comandamento di Dio, s’include che esso non può essere indirizzato al fine dell’unione con Lui, appunto perché contiene l’aversione, ossia l’allontanamento dell’animo, da Dio e dalla sua volontà (aversio a Deo fine ultimo), aversione che distrugge l’unione e l’amicizia con Lui, come fa propriamente la colpa grave?

Non è forse vero che la fede e la teologia insegnano che ogni peccato è un’offesa di Dio e mira ad offenderlo, perché l’intenzione insita nella colpa grave è contro la volontà di Dio espressa nel comandamento di Lui che si viola? Quando l’uomo dice sì al frutto proibito, dice no a Dio proibente; quando antepone se stesso e la sua volontà alla legge di Dio, allontana da sé Dio e il divino volere: in ciò consiste l’aversione da Dio e l’intima essenza della colpa grave.

La malizia dell’atto umano viene da questo che non è commisurato alla sua regola, la quale è duplice: l’una prossima e omogenea, cioè la stessa umana ragione; l’altra è la prima regola, vale a dire la legge eterna, che è come la ragione di Dio, la cui luce risplende nella coscienza umana, allorché fa vedere la distinzione fra il bene e il male [4]. Il vero credente non ignora che l’intenzione tendente all’oggetto della colpa mortale non è separabile dall’intenzione che viola la volontà e la legge divina e rompe ogni amicizia con Dio, il quale sa ben conoscere le rette e le male intenzioni degli atti umani e premiarle o punirle con la sua penetrante giustizia.

Vedete dunque come tale soluzione vada a danno della verità e della santità cristiana. Crediamo, per l’onore di coloro, i quali l’hanno messa fuori e la sostengono, che essi stessi la rinnegherebbero, se si volesse tirarne le logiche conseguenze e applicarla in altre materie, per esempio, allo spergiuro e all’assassinio deliberato; poiché anche questi peccati nella maggior parte dei casi si commettono con l’intenzione di farne dei mezzi a un fine, quale sarebbe il bisogno di uscire da una difficile contingenza.

Contato