Plinio Corrêa de Oliveira

 

 

Rivoluzione bolscevizzante nella “gentilità” orientale

 

 

Cristianità, marzo 1979, Anno VII, n. 47, pag. 3-8 (*)

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Perché un lettore occidentale comprenda tutta la portata degli avvenimenti che si svolgono nel mondo islamico, è necessario che rinunci una buona volta a certi abiti mentali più o meno indefiniti, che si manifestano tutte le volte che le circostanze lo portano a pensare a uomini, a fatti o a cose di quei lontani paesi. 

Una concezione falsa: il mondo delle «mille e una notte» 

Siamo abituati a considerare Ie nazioni dell’Islam come un mondo chiuso, pieno di foreste incantate, di palazzi meravigliosi, di principi favolosamente ricchi, di affascinanti odalische e di misteriosi folletti. E’ la terra della fantasia, della poesia, insomma delle «mille e una notte», che si è definitivamente fermata sulla via del progresso, e che custodisce in sé tutti i misteri e tutti gli incanti con cui ha affascinato i crociati e i trovatori che vi si sono recati.

Chiaramente, un mondo simile può costituire un argomento piacevole, nei momenti di ozio e di riposo, per alimentare le fantasticherie di un occidentale, nauseato dalla inesorabile trivialità del nostro ambiente tecnico democratico. Non può, però, ispirare né vera ammirazione, né timore di qualsiasi genere. Sappiamo bene che nell’ambiente delle «mille e una notte» non vi erano solamente le odalische, i principi e i palazzi, ma anche le degradanti superstizioni del paganesimo, la magia, la poligamia, una mostruosa deformazione sociale che assoggettava intere popolazioni di miserabili alla dipendenza assoluta da signori dispotici, una assoluta inorganicità sociale che poneva il potere pubblico in condizioni di perpetua instabilità, a causa del gioco irregolare e tragico dei contrasti e delle rivalità di palazzo, così come a causa della barbara demagogia di questa o di quella irruzione di furore popolare. D’altro canto, la stagnazione inevitabile che ha sempre arrestato il progresso delle nazioni pagane, ha impedito a questi popoli di procedere, per loro proprio dinamismo, di pari passo con le nazioni cristiane. Da ciò è derivato che i mezzi di commercio, di produzione industriale e di conquista delle potenze occidentali sono diventati tanto più potenti che queste si sono abituate a esercitare su questi popoli una sorta di tutela. Abbiamo scoperto che molti di essi dispongono di importanti giacimenti di petrolio, e hanno considerevoli possibilità come fornitori di materie prime per l’industria occidentale. D’altra parte, abbiamo concepito il desiderio di passare le vacanze in quelle terre di sogno. Per tutte queste ragioni, noi, occidentali, ci siamo installati in Oriente con una assoluta improntitudine, come un intruso dispone dei beni di un minore o di un minorato. Così, per molte decine di anni, abbiamo usato e goduto dell’Oriente come ci è parso. E, siccome l’Impero britannico è stato il principale beneficiario di questa situazione, è spiegabile come questi decenni coincidano precisamente con la fase di maggiore splendore della egemonia quasi mondiale dell’Inghilterra. 

La contraddizione ideologica dell’imperialismo occidentale 

Questa situazione poteva durare? Considerata la mentalità delle nazioni colonizzatrici d’Occidente, specialmente delle principali - principali almeno quanto alla estensione delle loro colonie -, cioè l’Inghilterra e la Francia, sembra di no.

Tanto l’una quanto l’altra - e lo stesso si potrebbe dire dell’Italia, della Spagna, del Portogallo, dell’Olanda, del Belgio, degli Stati Uniti - vivevano, nella loro politica interna, sotto la profonda influenza delle idee della Rivoluzione francese, che ha proclamato la uguaglianza di tutti gli uomini. Sotto la pressione del principio di uguaglianza, durante tutto il secolo XIX e in questa prima metà del secolo XX, le strutture sociali, politiche ed economiche, gli usi, i costumi, le arti, tutto, insomma, in Occidente, si è trasformato. Orbene, questi stessi principi, nella sfera internazionale, portano come conseguenza inevitabile la uguaglianza di tutti i popoli. Così, tra i vantaggi economici dell’Occidente, che lo portavano a conquistare l’Oriente, e i principi dottrinali, che lo portavano a proclamare la uguaglianza di tutti gli individui e di tutte le nazioni, e la conseguente illegittimità di qualsiasi dominio esercitato da un popolo su un altro, vi era una evidente incoerenza. Questa incoerenza era tanto più grave in quanto, né i principi avevano forza sufficiente per dominare e contenere le irruzioni di un appetito imperialistico; né l’imperialismo era abbastanza forte per imporre un totale rifiuto dei principi che a esso si opponevano. Siccome la incoerenza è per la mente umana uno stato innaturale e doloroso, si è giunti a una spiegazione, di compromesso:

1. i popoli orientali erano in una situazione materiale miserabile, grazie alla incompetenza dei loro governi e alla evidente minorità mentale delle masse;

2. le loro leggi e i loro costumi erano arretrati, ingiusti, dispotici, contrari all’ordine naturale;

3. la ricchezza del loro suolo e del loro sottosuolo, che essi si mostravano materialmente incapaci di sfruttare, andava perduta senza vantaggio per nessuno;

4. le nazioni occidentali compivano, dunque, un dovere, penetrando in Oriente, liberando i popoli dai loro governi inetti, dalle loro leggi retrograde, dai loro costumi semibarbari, istruendoli, «igienizzandoli», organizzandoli, ponendo le basi per uno sfruttamento tecnico su larga scala delle loro risorse naturali;

5. i guadagni che ne sarebbero derivati per l’Occidente, sarebbero stati il compenso per le fatiche, i lavori e i rischi di questa enorme impresa. 

I principi dottrinali di un imperialismo cattolico 

Questa giustificazione teorica dell’imperialismo occidentale suscita vari problemi, che cercheremo di analizzare dal punto di vista della dottrina cattolica. Il primo consiste nel sapere se un popolo più sviluppato può imporre il suo progresso a un altro meno sviluppato. In ultima analisi, non ha ciascuno il diritto di organizzare la sua vita come gli pare? E che vantaggi dà il progresso, se non soddisfa le aspirazioni di benessere e di dignità che ciascuno ha il diritto di concepire come crede?

La risposta a queste domande si dà con la elencazione di alcuni principi che sono incontestabilmente ortodossi: 

1.   E’ certo che ogni uomo, ogni famiglia, ogni regione, ogni popolo ha il diritto, e perfino il dovere, di organizzare la propria vita temporale tenendo conto del suo giro mentale specifico, di modo che la imposizione pura e semplice dei modelli di vita dell’Occidente contemporaneo all’Oriente, in nome del progresso, costituisce o costituirebbe una violenza inammissibile; di questo ci dà un esempio la Chiesa stessa che, rispettando la diversità di indole dei popoli, ha una liturgia e un diritto canonico specifico per gli occidentali, e liturgie e legislazioni considerevolmente diverse per gli orientali. Così, nella misura in cui gli occidentali hanno ucciso le tradizioni, l’arte, la cultura del vecchio Oriente, sostituendole con la «nostra civiltà» di cemento e di acciaio, hanno errato. 

2.   Tuttavia, nessun popolo ha il diritto di spingere tanto lontano la propria libertà di pensare e di vivere a modo suo da disubbidire alla legge di Dio. Alle nazioni pagane non è lecito chiudersi a coloro che, in nome di Gesù Cristo, vanno ad annunciare a esse la Buona Novella. Ogni volta che un missionario batte alla loro porta, si presenta assistito dalla grazia di Dio, che da a ogni pagano i lumi necessari per capire - se è in buona fede - che quello è un ministro della vera religione. Così, se lo scaccia, non avverrà, almeno nella grande maggioranza dei casi, per ignoranza, ma per peccato. E, esauriti i mezzi di persuasione, le nazioni cristiane devono usare la forza per obbligare i governi pagani a dare agli inviati di Nostro Signore Gesù Cristo e della santa Chiesa il diritto di esercitare liberamente la missione che è stata loro affidata da Dio stesso. Ammettere il contrario significherebbe affermare che è necessario ubbidire agli uomini piuttosto che a Dio.

Così, se un popolo ha leggi che violano il decalogo, se ordina di bruciare le vedove presso il sepolcro del marito, se ammette la poligamia, l’infanticidio, il potere di vita o di morte dei signori sugli schiavi, ecc., è un diritto e un dovere delle nazioni civili di imporre a esso il rispetto della legge di Dio. E se un popolo ostacola l’ingresso dei missionari, è ugualmente un diritto e un dovere delle nazioni cattoliche usare il loro prestigio, e perfino fare uso della forza, se necessario, per assicurare la libertà dei ministri della Chiesa.

3.   L‘uso della forza conduce, evidentemente, in molti casi, alla conquista. I mezzi di questa conquista, tuttavia, devono essere leali e blandi. Leali, nel senso che non devono consistere nella menzogna, nella frode, per creare situazioni che si prestino, attraverso successivi abusi, a una vittoria totale. Non per mezzo di violazioni della legge di Dio, i cattolici devono acquisire un dominio sugli altri popoli, destinato a portare questi ultimi a ubbidire alla stessa legge. Sarebbe una incoerenza mostruosa. Dobbiamo essere guerrieri pieni di nobiltà e di sincerità. E dobbiamo anche essere blandi, nel senso che l’uso della forza non deve andare oltre il necessario per la conquista, in modo da assicurare, per quanto possibile, vie aperte perché regni la carità tra vincitori e vinti. 

4.   La vittoria, ottenuta in nome di Gesù Cristo, deve spettare soltanto alla santa Chiesa. Il popolo vincitore ha certamente il diritto di ripagarsi delle fatiche e dei pericoli della guerra, ma non deve portare oltre questo la richiesta di compensi. Potrà mantenere sul popolo vinto una tutela politica, che sarà legittimamente più o meno estesa a seconda della condotta di quest’ultimo. Ma non potrà ne dovrà trasformare la nazione vinta in una pura fonte di guadagno. Lo spirito della sua dominazione deve essere fraterno, come di un fratello che riprende - se necessario con inflessibile vigore - un suo fratello più giovane. Mai come di un signore che governa uno schiavo. Perciò il popolo vincitore non imporrà i suoi costumi, né la sua legge, né la sua cultura. Assicurerà soltanto alla Chiesa la libertà e l’autorità necessarie per elevare e santificare con i fermenti della grazia e della verità le leggi, i costumi e la cultura tipici del paese vinto. 

Benefica o malefica l’azione coloniale dell’Occidente? 

Si sono comportate così le nazioni occidentali? Domanda dolorosa!

Di fatto esse hanno aperto le porte - soprattutto le nazioni cattoliche - ai missionari. E per questo meritano di essere lodate. Ma, d’altro canto, infette dalla influenza del neopaganesimo moderno, il meglio del loro prestigio, delle loro risorse, della loro azione, è stato usato per diffondere una cultura, un ambiente, una situazione diametralmente opposte, in molti punti essenziali, alla dottrina predicata dai missionari. E’ vero che i missionari sono in Oriente. Ma sono giunti anche i cinema, le radio, la stampa immorale, e tutto l’oceano di infamie e di miserie che abitualmente si riversa sulla massa attraverso questi mezzi. In questo modo, in ultima analisi, la civiltà neopagana moderna è servita per combattere e circoscrivere in Oriente i frutti della evangelizzazione dell’Oriente, precisamente come circoscrive e combatte l’azione della Chiesa in Occidente. E, in modo globale, la invasione del neopaganesimo in Oriente è stata molto più generale e profonda di quella del cattolicesimo. Le missioni hanno certamente prodotto grandi frutti in alcuni luoghi, ma, perché si comprenda il nostro pensiero, è necessario paragonare questi frutti a quanto ha ottenuto la penetrazione torrenziale del neopaganesimo occidentale in Oriente...

E’ necessario, d’altra parte, che a questo proposito non ci lasciamo prendere da un atteggiamento di lirico compatimento per gli orientali. Noi occidentali conosciamo la Chiesa e pecchiamo perché, invece di seguirla, ci lasciamo trascinare dal neopaganesimo moderno. Gli orientali sono nella stessa situazione: tutti quelli che hanno ascoltato i ministri del Signore hanno avuto una grazia sufficiente. Ma questo non esenta da ogni colpa i fautori di scandalo, che hanno fatto tanto perché gli orientali non ascoltassero la Chiesa: e costoro sono gli stessi imperialisti dell’Occidente. 

Fuori discussione 

Vi sono due categorie di persone che non concorderanno certamente con questi apprezzamenti.

In primo luogo i patriottardi, che pensano che le rispettive nazioni siano state concepite senza peccato originale, e che, dunque, facciano tutto bene, di modo che, se hanno occupato l’India, Timor, la Tripolitania, la Tunisia o il Marocco, tutto va molto bene, e si vilipendono la bandiera e i valori patriottici affermando il contrario, ecc. ecc. ecc. Con questo «patriottardismo» infantile e rozzo, che si sente facilmente offeso e che ancora più facilmente offende, non discutiamo. Come sarebbe bello se queste persone amassero la Chiesa come amano la loro patria!

In secondo luogo, non concorderanno con noi gli spiriti superficiali, che giudicano eccellente l’attuale civiltà occidentale, e non si accorgono dell’immenso contrasto esistente tra il mondo contemporaneo e la Chiesa. Anche con costoro non si può discutere. Infatti, le nostre argomentazioni tendono a tirarli fuori dalla loro «dolce tranquillità», e nessuno è più intransigente, più irritabile, più irrazionale di un idolatra della tranquillità, quando gli si dicono le verità che portano alla lotta. 

Un dono inestimabile che l’Oriente ha rifiutato 

Tuttavia, tutte queste considerazioni non sarebbero complete se non aggiungessimo che, benché la civiltà occidentale sia oggi pagana nelle sue manifestazioni più essenziali, più profonde, più caratteristiche; benché il suo paganesimo sia in un certo senso molto più radicale di quello degli orientali, rimangono in essa, sotto varie forme, valori cristiani tradizionali inestimabili; e zampilla in Occidente quella perpetua fonte di vita spirituale rinnovata che è la santa Chiesa. Perciò sbaglierebbe gravemente chi dicesse che la dominazione dell’Occidente sull’Oriente non ha portato a questo nessun beneficio.

Senza parlare di un indiscutibile ingentilimento dei costumi, di una diffusione più generale della istruzione e dell’igiene, di uno sfruttamento più intelligente delle risorse naturali, dobbiamo ricordare come il maggiore di tutti i benefici il contatto con l’azione missionaria.

Quali sono stati, per certo, i frutti di questa azione?

Sono stati così diversi da luogo a luogo, che sarebbe difficile formulare una risposta generale, valida indiscriminatamente per tutte le nazioni - tanto diverse in tutto e per tutto - dell’Asia e dell’Africa. Tuttavia, è indiscutibile che il successo dell’azione missionaria non dipende esclusivamente dal missionario, ma anche dal missionato. Davanti al ministro del Signore, ogni uomo, ogni città, ogni popolo ha la possibilità, come abbiamo detto, di accettare o di rifiutare la Buona Novella. Benché molti l’abbiano rifiutata, e, quindi, abbiano ricusato di fare uso dei vantaggi dell’azione missionaria, non cessa di essere vero che quelli che hanno posto a loro portata di mano il missionario, hanno fatto loro un grande bene. Per spiegare questo pensiero, immaginiamo il caso di qualcuno che mette nelle mani di un ammalato una medicina decisiva. Anche se l’ammalato, per pigrizia o per qualsiasi altro motivo, non fa uso della medicina, non cessa di essere vero che la elemosina fatta dal generoso donatore è di grande valore. Se non ha ottenuto risultato, la colpa è stata dell’ammalato. Così, nei numerosi luoghi in cui la Chiesa ha posto radici in Africa o in Asia, la penetrazione occidentale ha portato con questo un beneficio immenso, inapprezzabile. Nei luoghi in cui il missionario è giunto, ma la sua voce non è stata ascoltata - almeno per ora -, non per questo il beneficio ha cessato di essere di grande valore. E, per il cattolico che sa apprezzare anzitutto il regno di Dio, questo beneficio supera l’azione di alfabetizzazione o di igienizzazione, di quanto il cielo supera la terra. 

Qual è la direzione degli avvenimenti? 

Chiaramente, se le relazioni tra l’Occidente e l’Oriente fossero dirette - almeno da parte dell’Occidente – dallo spirito cattolico, cambierebbero considerevolmente di direzione e di aspetto. Da un lato, la penetrazione culturale in Oriente si dovrebbe fare rispettando le vecchie civiltà, le vecchie tradizioni, i vecchi stili di vita, in modo da offrire ai diversi paesi un progresso rigorosamente adattato a quanto essi hanno di legittimamente loro. In questo modo, si tratterebbe di cristianizzare l’Oriente, piuttosto che di occidentalizzarlo.

In secondo luogo - non dovrebbe essere necessario ricordarlo -, la influenza dell’Occidente sarebbe purificata da quanto attualmente ha di cattivo: l’eccessivo tecnicismo, la soggezione dell’uomo alla macchina, la volgarità urtante, lo spirito di «serie» e di «standardizzazione», e soprattutto la immoralità, il desiderio delirante di fare della esistenza terrena una serie ininterrotta di piaceri.

Infine, benché l’Occidente debba ricevere il giusto pagamento dei capitali e degli sforzi impiegati in Oriente, ogni spogliazione economica o politica dovrebbe cessare in virtù di un comportamento abile e prudente.

Ma questo non accade. L’Occidente continua a riversare sull’Oriente tutti i benefici e tutti i malefici della sua azione. Non è il caso di affrontare in questa sede il problema relativo alla preponderanza dei benefici sui malefici, o di questi su quelli. Il grande problema è un altro. Di fronte a questa politica dell’Occidente, come sta reagendo l’Oriente? Questa reazione è tale da migliorare la situazione? 

Origini della xenofobia orientale 

Nelle relazioni tra Oriente e Occidente vi sono due tappe molto chiare. Nella prima, che va dalla metà del secolo scorso fino, più o meno, alla fine della prima guerra mondiale, l’Oriente è vissuto sotto la influenza di un vero complesso di inferiorità nei confronti dell’Occidente; si vergognava delle sue vecchie religioni, dei suoi vecchi costumi, della sua arte antica. Da ciò l’imitazione sistematica: da ogni parte, sceicchi, rajah, principi, bei, ulema, visitando l’Europa, cominciarono a occidentalizzarsi, e a introdurre nei loro paesi, a volte con una energia che rasentava la violenza, la occidentalizzazione. La guerra del ’14-18 fu, però, per l’Occidente, un colpo terribile. L’Europa - centro della cultura occidentale - ne uscì scossa, sminuita, screditata. E, in senso contrario, l’Oriente progrediva. Da un lato, l’azione degli stessi europei aumentava il livello di ricchezza e di istruzione delle nazioni coloniali.

D’altro lato, i principi ugualitari della Rivoluzione francese, predicati implicitamente o esplicitamente da tutte le potenze colonizzatrici, raggiunsero anche l’Oriente. Come era inevitabile, venne il giorno in cui gli orientali si chiesero per quale motivo dovevano ubbidire all’Occidente. Questo fu il punto di partenza ideologico del nazionalismo, che ha cominciato a diffondersi in tutta l‘Asia e l’Africa dopo il 1918. Questo nazionalismo ha trovato buoni argomenti nelle stesse deficienze dell’azione occidentale: le spogliazioni, lo sfruttamento economico, l’orgoglio degli occidentali, la loro dissolutezza di costumi, l’assenza di qualsiasi valore positivo nella cultura decadente che portavano con sé. Il nazionalismo esacerbato ha messo in moto la diffidenza e la cattiva volontà delle vecchie religioni pagane, ancora molto diffuse e influenti, contro l’azione missionaria della Chiesa. Tutto questo ha creato una immensa mole di antipatie, di prevenzioni, di risentimenti, che non è stato difficile trasformare in una vera opposizione politica. E così, dalla Cina fino alla Giordania, dall’Africa australe fino alla Tunisia, la gentilità ha cominciato a entrare in fermento.

Tuttavia, in questa opposizione si sono delineate fin da subito due forze distinte: i tradizionalisti e i rivoluzionari. I tradizionalisti volevano scacciare l’Occidente, per mantenere l’attuale situazione politica, economica e sociale, con tutte le provvidenze necessarie per rafforzare le antiche caste, gli antichi culti, i vecchi usi. I rivoluzionari, al contrario, non desideravano solamente espellere gli occidentali, ma trasformare completamente l’Oriente, facendola finita con tutte le sue tradizioni, le sue vecchie istituzioni e i suoi costumi, e dando inizio a una società democratica e tecnica, che sfruttasse a vantaggio degli orientali tutte le risorse dell’Oriente. Come si può vedere, le due correnti sono diametralmente opposte. Una prende la difesa della cultura orientale tradizionale, contro l’Occidente. L’altra vuole distruggerla e sostituirla completamente con una cultura tecnica nuova, a base strettamente democratica. Finché l’odio comune all’occidentale manterrà l’unione tra le due tendenze, questa frattura non si manifesterà forse molto chiaramente. Ma se il potere dell’Occidente continua a diminuire - e di questo vi sono gravi e molteplici indizi--, la lotta tra queste due tendenze, che già ora esiste, diventerà chiarissima. Quale di esse avrà la meglio? 

Vinceranno i nazionalisti rivoluzionari o i conservatori? 

Il signor de la Palisse direbbe che vincerà il più forte; e, come al solito, il signor de la Palisse avrebbe assolutamente ragione. Resta dunque da sapere quale delle due tendenze è la più forte.

Indiscutibilmente quella rivoluzionaria. Il conservatorismo orientale non è altro che un vecchio ed enorme cadavere che i rivoluzionari agitano come uno spauracchio per impressionare gli occidentali, e della cui decomposizione si nutrono.

Scià, bei, principi, rajah, ulema, tutto questo è ormai, per l’Oriente, più passato che presente, corrisponde a tradizioni e a vecchi abiti mentali sufficientemente forti per durare ancora qualche tempo, ma abbastanza deboli per poter dare ancora origine a qualche movimento energico, in qualsiasi senso. Al contrario, la massa cittadina di tutte le metropoli orientali, fortemente scossa dalla demagogia, e la sola a decidere di tutto, poiché i lavoratori rurali sono immersi in una atonia totale, pende sempre di più verso la rivoluzione. Nelle grandi organizzazioni religiose, vanno penetrando e guadagnando terreno ali rivoluzionarie importanti. Di fatto, il nerbo, l’anima, la vita del movimento nazionalista è sempre più con i rivoluzionari.

E per questo, infine, si nota chiaramente che i rappresentanti della vecchia tradizione orientale, sentendo che il fuoco brucia sotto i loro piedi, tendono ad appoggiarsi fino a un certo punto agli occidentali. I rajah, gli scià, i bei, re Faruk, sono evidentemente concilianti. L‘intransigenza sta dalla parte dei rivoluzionari. 

La longa manus comunista 

Nel caso vincessero i rivoluzionari, l’URSS ne trarrebbe vantaggi immensi: 1. un Oriente plasmato secondo i desideri dei rivoluzionari, avrebbe un ordine sociale ed economico molto simile al comunismo e, quindi, facilmente suscettibile di essere bolscevizzato; 2. un Oriente anti-occidentale perturberebbe in larga misura l’industria europea, basata sulla fornitura di petrolio e di materie prime provenienti dall’Oriente; 3. un Oriente anti-occidentale tenderebbe a negare basi militari e collaborazione bellica o economica all’Occidente contro I’URSS; 4. i governi anti-occidentali dell’Oriente potrebbero sostenersi soltanto appoggiandosi al prestigio internazionale dell’URSS.

Queste considerazioni portano a credere che i russi abbiano già tratto ampiamente vantaggi da questi movimenti, e che li stiano aiutando con mezzi finanziari. In buona tecnica politica, questo equivale a dire che i russi hanno già anche introdotti uomini di loro fiducia un poco da ogni parte, nella dirigenza di questi movimenti, e che in ultima analisi il motore di tutto è I‘URSS. 

Prospettive oscure 

Quale possibilità di resistenza ha l’Occidente, contro questa immensa «onda» ideologica e politica?

In ultima analisi, poche. Infatti, una politica di reazione occidentale probabilmente porterebbe l’URSS a scatenare rapidamente la guerra mondiale, e durante la guerra l’Occidente cesserebbe di pensare al problema. Se vincesse la guerra, sarebbe tanto prostrato da non potere reintraprendere una nuova guerra per la rioccupazione dell’Oriente se non dopo vent’anni. E durante questi ipotetici vent’anni innumerevoli «fatti compiuti» in Oriente avrebbero reso impossibile qualsiasi trasformazione della situazione.

Qual è la posizione di questi «rivoluzionari» verso la Chiesa? Ostilità talora dichiarata, talora velata, ma irriducibile, perché derivante da una totale diversità di principi e di spirito.

Delle varie ipotesi, la peggiore sarebbe, dunque, quella che, purtroppo, sembra la più probabile, umanamente parlando, cioè il trionfo dell’ala rivoluzionaria.

«Umanamente parlando», diciamo, perché in questo gioco non vi sono soltanto uomini. Vi sono anche interessi importantissimi della Chiesa, e quando è in causa la Chiesa l’«umanamente parlando» ha sempre un valore relativo.


(*) Trascritto da Catolicismo, anno II, n. 17, maggio 1952, Revolução bolchevizante na gentilidade oriental.


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