Plinio Corrêa de Oliveira

 

 

Il Papa, vicario di Cristo:

la maggiore forza morale

del mondo

 

 

Legionário, N. 496, 15 marzo 1942

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Un poeta latino scrisse questi versi terribili: Tu regere imperio populos, Romane memento! [Virgilio, Eneide 6, 851]. Ricordati, o Romano, di governare i popoli con il tuo impero!

Noi, che siamo venuti al mondo dopo duemila anni di questo periodo, sappiamo com’è fallita questa apostrofe di Virgilio. La Roma delle conquiste e delle usurpazioni, la Roma della forza brutale - il cui carro di trionfo ha tante volte calpestato la dignità dei popoli soggiogati e sopra la terra dei paesi vinti - si è sbriciolata ed è stata seppellita sulle loro stesse rovine. Però un’altra Roma è sorta dalle ceneri della prima. Una Roma nuova che trionfa, che conquista, non con la spada o con la forza, ma con il cuore e con l’amore. Se Virgilio avesse conosciuto le meraviglie dell’amore certamente i suoi versi sarebbero stati una profezia sublime: Tu regere amore populos, Romane, memento! Ricordati, o Roma, di governare il mondo con l'amore!

E questo grande amore, questo grande cuore, centro e forza della Roma nuova, è il Papa, il Vicario di Cristo. Pietro, primo Pontefice, quando ha ricevuto dal Maestro le chiavi del regno dei cieli, ha ricevuto prima il suo cuore divino. Possedendo il cuore di Cristo, capace di amare l’umanità intera, Pietro può essere Cristo sulla terra. Clemente XIII, nella costituzione “In exhaustum”, ha un'espressione particolare: - Pietro è il successore di Cristo. Però Pietro non potrebbe essere il successore di Cristo se non possedesse il cuore di Cristo. Ecco il mistero augusto che fa del Pontefice Romano il Padre universale dei popoli, il provvido distributore del pane della verità, la guida sicura nei sentieri sinuosi della pace e della giustizia. Ormai da venti secoli l’umanità lo riconosce come tale. Malgrado tutte le lotte, le persecuzioni, le aberrazioni di tutti i tempi, individui e popoli, grandi e piccoli, nei momenti di dolore e d’infortunio, si rivolgono a Roma, appellandosi a Colui che, senza distinzione di casta o di razza, ascolta tutti, accoglie tutti, e tutti consola e benedice. La forza morale del Pontefice è la stessa di sempre, di oggi, di ieri, di tutti i periodi della sua storia. Lui è il punto di attrazione di tutte le intelligenze e di tutti i cuori. La sua maestà, sublime ed eccelsa fra tutte, supera l’umano e raggiunge il divino. Re di un piccolo Stato, si siede su un trono che è la garanzia di tutti i troni, perché è il grande infallibile della morale che difende l’ordine più che gli apparati della forza e la bravura degli eserciti.

Chi volesse conoscere nella sua realtà il potere morale del Pontefice, dovrebbe soltanto mettersi - basterebbe un giorno - sui primi gradini della scalinata che conduce in Vaticano. - Chi passa? Domanderebbe, sbalordito, ad ogni momento. - È un ricco signore, figlio d’oltre mare. Ha viaggiato per tutto il mondo; ha visitato tutte le meraviglie della terra. Ed ha organizzato infine la più grande di tutte: prima di ritornare alle isole della sua Bretagna oppure verso le capitali della sua America, vuole vedere il Papa. - Chi passa? È una suora della carità con il suo bianco velo che svolazza al vento. Ha lasciato un orfanotrofio, un asilo, una scuola nell’hinterland più deserto dell’India: è venuta a baciare i piedi del Santo Padre per ritornare, felice, fra i suoi orfani e consacrargli tutta la vita. - Chi passa? È un venerando prelato, dai capelli bianchi, carico di anni, sfiancato dalle fatiche. Viene dal Canada, dalle montagne rocciose oppure dalle immense pianure dell’America meridionale. Viene a vedere il Santo Padre, implorare la sua benedizione. - Chi passa? - È l’ambasciatore del più potente sovrano del mondo. È protestante, però non disdegna di rendere omaggio al Settuagenario, che è re soltanto di un minuscolo Stato, però è il Padre universale di tutti i popoli. - Chi passa? - È un missionario del Giappone, un religioso della Spagna, un missionario dell’Africa. Viene per riferire al Vicario di Cristo l’esito dei suoi sforzi, il frutto delle sue fatiche apostoliche. - Chi passa, con tutta questa magnificenza, con tutto questo seguito? - È un principe cristiano, discendente augusto degli antichi guerrieri che hanno respinto i barbari, che hanno fatto le crociate. Conserva nelle vene il sangue e nel cuore i sentimenti dei suoi antenati, e che non si vergogna di venire a mettere, ai piedi del Dolce Cristo in terra, il tributo del suo affetto, gli omaggi dei suoi sudditi. - Chi passa? - È un pellegrino dalla Polonia, è un monaco dell’Armenia oppure della Siria, è un uomo di lettere, è una umile figlia del popolo, è un libero pensatore, è un capitano dell’armata. Tutti salgono, ansiosi, quelle scale. Percorrono impazienti le sale del Vaticano per vedere l’anziano vestito di bianco, baciargli le mani e i pedi, ascoltare la sua voce, ricevere la benedizione. E dopo, discendono, raggianti di gioia, ritornano - beati - verso le loro terre, verso le loro case, alle loro occupazioni, e mai più si dimenticheranno di questo giorno così fortunato.

Questa è la storia di ogni giorno, di ogni settimana, di ogni mese, di ogni anno. Questa è la storia di tutti i secoli. Tal è la forza misteriosa, centro della Roma nuova che, partendo dal Vaticano, si diffonde per il mondo, tocca i cuori, e tutto penetra, tutto muove. E quando un’anima afflitta o dedicata non ha la ventura di arrivare presso il Santo Padre per lagnarsi oppure protestare il suo amore, eccola proprio dai luoghi lontani, lanciando uno sguardo e un grido verso il lato dove si innalza, faro di Giustizia, la Cupola di San Pietro. Filippo Augusto, re di Francia, pretendendo ripudiare la sua legittima sposa, si unì ad Agnese (figlia di Bartoldo, duca di Merano). L’infelice regina, trovandosi sola, in esilio, lontani dai suoi, rifiutata e disprezzata dallo sposo infedele, prorompe in un grido di angoscia, ma anche di una sublimità senza uguale: - “Roma! Roma!” O com’è bello questo grido dell’anima oppressa, dell’innocenza, della vittima che invoca giustizia da Roma.

Nel 1928, D. Constantino Butkiewicz, vittima del bolscevismo insolente, moriva fucilato. I giornali avevano chiesto una “vittima cattolica per la Pasqua cattolica”, e Monsignor  Constantino è stato scelto. Pochi minuti prima di morire, ha chiesto che gli concedessero la grazia di scrivere una lettera al Papa. Vittima innocente della prepotenza, nel momento del supremo sacrificio, faceva un omaggio con il suo affetto e con il suo pensiero a Colui che “ama la giustizia e odia l’iniquità” e per il quale verserebbe il suo sangue. Però a lui è stato rifiutato, senza pietà, la soddisfazione di questo suo desiderio. Con tre colpi di revolver è caduto martire e le sue ultime parole pronunciate nel dolore dell’agonia sono state queste:

«Trasmetta i miei omaggi a Pio XI e ditegli che fino all’estremo sono rimasto fedele alla Santa Sede».

E dopo tante vittime del comunismo, altri errori più gravi si sono alzati minacciando la Cristianità e martirizzando i veri cattolici, in tutti i paesi dominati, divenendo i paganizzatori del mondo. La storia di questi martiri è di tutti giorni, principalmente nella Polonia cattolica, sotto il giogo totalitario. E’ la Chiesa, il Papa, il sostegno di questi eroi cristiani.

Non sembra di stare ad ascoltare di nuovo le narrazioni sublimi degli atti dei primi martiri che si consegnavano ai supplizi, cantando inni e inviando un saluto affettuoso al Pontefice di Roma?!

Ecco la forza morale del Pontefice. La stessa di ieri, la stessa di oggi; la stessa nel passato, la stessa nel futuro, l’unica capace di salvare il mondo.

Avremo potuto correggere i versi di Virgilio dicendo:

«Tu regere amore populos, Romane memento».


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