Plinio Corrêa de Oliveira

 

Dagli insegnamenti di Pio XII:

sulla tolleranza del male nell’ordine sociale internazionale e nazionale

 

 

 

 

 

Cristianità, Anno IX – N. 70, pag. 5-12

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Di fronte al deteriorarsi ormai cronico e recidivo dei rapporti tra le nazioni e allo sviluppo tragicamente fecondo del terrorismo, è consueto e naturale che 1’uomo comune - il « cittadino » illuso e deluso - si volga ad auspicare una qualche efficacia dagli organismi internazionali, colpito - di volta in volta - dalla inutilità, dalla pericolosità e dalla dannosità di quelli esistenti. Per aiutare questa meditazione a svilupparsi in salutare riscoperta e riferimento al diritto naturale e cristiano, trascriviamo, nella sua integrità, un memorabile discorso del Santo Padre Pio XII, di venerata memoria, sul tema della Comunità internazionale, pronunciato il 6 dicembre 1953, testimonianza viva di una delle innumerevoli occasioni perdute dal mondo moderno, disattendendo le indicazioni del Magistero della Chiesa. Al testo accompagniamo il commento, con un titolo complessivo redazionale a suo tempo svolto dal professor Plinio Correa de Oliveira, presidente del consiglio nazionale della Sociedade Brasileira de Defesa da Tradição, Família e Propriedade (TFP), in tre articoli intitolati: Desfazendo explorações maritainistas, A Comunidade dos Estados segundo as normas de Pio XII e Tolerar o mal em vista de un bem superior e mais vasto, comparsi rispettivamente in Catolicismo - la prestigiosa rivista cattolica di cultura, edita sotto l’egida di S.E. Antonio de Castro Mayer, vescovo di Campos, in Brasile -, anno IV, n. 42, giugno 1954, n. 43, luglio 1954, n.44 agosto 1954. Gli articoli sono riprodotti completamente e senza alcun ritocco, neppure nei loro riferimenti a eventi contingenti, per conservare intatti, tra l’altro, il carattere e il sapore del magistero contro-rivoluzionario del professor Plinio Corrêa de Oliveira, magistero che si esercita principalmente nell’intervento in concreto, e che intende rispondere soprattutto ai problemi anche storicamente reali.

 

1. Demolizione di strumentalizzazioni maritainiane

Pubblichiamo oggi, con sottotitoli redazionali, il testo integrale della importantissima allocuzione diretta dal Santo Padre Pio XII, gloriosamente regnante, il 6 dicembre scorso, ai membri della Unione dei Giuristi Cattolici Italiani, riuniti per studiare un tema di palpitante attualità: «nazione e comunità internazionale».

In questa allocuzione il Sommo Pontefice ha dato importanti insegnamenti dottrinali, e direttive pratiche molto precise, su due problemi che già da tempo venivano preoccupando l’opinione cattolica: 1. come giudicare la formazione dei grandi blocchi di nazioni e la eventuale strutturazione di una organizzazione mondiale delle nazioni? 2. che atteggiamento dovrebbero assumere i paesi cattolici se la condizione perché si realizzasse una tale organizzazione fosse la libertà, per gli eretici o i pagani, di praticare sul loro territorio culti contrari alla santa Chiesa?

Queste due domande, diverse in sé stesse, ma molto affini, ne evocano un’altra più elevata, cioè quella relativa ai rapporti tra il potere spirituale e quello temporale, tra la Chiesa e lo Stato. Spieghiamo perché. 

La Cristianità medioevale

Nel Medioevo l’Europa, omogeneamente cattolica, ha formato una famiglia di nazioni sotto la direzione spirituale vigorosa e costante dei Papi, e la presidenza temporale più o meno effettiva, e più o meno onoraria, degli imperatori del Santo Impero romano-germanico. Era la Cristianità. Teoricamente, e spesso anche in pratica, questa famiglia di nazioni costituiva un solo blocco per difendere la civiltà cristiana contro i maomettani, oppure contro i barbari che infestavano le frontiere orientali della Cristianità. Sul piano interno di questa comunità i Papi esercitavano la funzione di autentici conservatori del diritto naturale e del diritto cristiano, principalmente per ciò che riguardava i rapporti tra i diversi paesi cattolici, e di difensori sommi della fede, mobilitando, quando era necessario, la spada dello Stato per la sconfitta delle eresie.

Questa funzione è stata molto studiata. Fra i numerosi libri che su di essa sono stati pubblicati nessuno, forse, è così attraente quanto la monumentale compilazione di atti pontifici soprattutto medioevali, presentata con il titolo Atta Pontificia Juris Gentium da due professori della Università Cattolica del Sacro Cuore, di Milano, il conte Giorgio Balladore Pallieri e Giulio Vismara (1). 

 

In essa, fra altri documenti, si legge la famosa lettera Apud Urbem veterem, del 27 agosto 1263 di Papa Urbano IV a Riccardo, re eletto dei romani:

«Colui che regge il Cielo e la terra, cioè colui che conosce l’ordine del Cielo e può istituire sulla terra l’immagine dell’ordine celeste, può anche ricavare dalle cose superiori esempi per quelle inferiori; e, così, come ha costituito nel firmamento celeste due grandi lumi perché alternatamente illuminino il mondo, così anche, sulla terra, istituendo nel firmamento della Chiesa universale i suoi maggiori doni, cioè il sacerdozio e l’impero, per il reggimento completo delle cose spirituali e mondane, ha diviso in tale modo le funzioni di entrambi i poteri che per la loro funzionale diversità non si ostacolassero mai l’un l’altro. Al contrario, concordino nella unione dei fini in ragione della loro funzione, nella esecuzione del governo affidato. Così, l’innegabile vantaggio della concordia di entrambi, apporterà tanto la mutua difesa quanto i mutui aiuti, e conseguirà che il più liberamente possibile si conservi la giustizia, venga al mondo la pace, si assicuri la tranquillità e si fomenti l’unione. Infatti, l’impero è orientato alla salvezza dalla autorità sacerdotale, e, aiutato dalla protezione di questa, rasserenate perturbazioni imminenti, diventa tranquillo e stabile. Il sacerdozio, a sua volta, deve avere un rifugio pio e sicuro nella mansuetudine e nella venerazione dell’imperatore. Governando con il fastigio dell’impero romano, questi deve svolgere, rispetto alla Chiesa, la funzione di speciale avvocato e di principale difensore. Nella forza del suo braccio trovano difesa la libertà della Chiesa, e si conservano i diritti di queste libertà; si estirpano le eresie; si dilata il culto della fede cristiana; debellati i nemici di questa, si conserva il popolo cristiano nella bellezza della pace e riposa in una opulenta tranquillità» (2). 

 

Papa Bonifacio VIII, afresco ad Agnani

E nella stessa opera si trova il seguente testo, ancora più famoso, di Bonifacio VIII, estratto dalla bolla Unam sanctam, del 18 novembre 1302:

«Che ci sia una ed una sola santa Chiesa cattolica e apostolica siamo costretti a credere e a professare, spingendoci a ciò la nostra fede, e questo crediamo fermamente e con semplicità professiamo, e anche che non vi sia salvezza e remissione dei peccati fuori di lei, come lo Sposo proclama nel cantico: “Unica è la mia colomba, la mia perfetta; unica alla madre sua, senza pari per la sua genitrice”, il che rappresenta un corpo mistico, il cui Capo è Cristo, e il Capo di Cristo è Dio e in esso c’è “un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo”. Al tempo del diluvio, invero, una sola fu l’arca di Noè, prefigurante l’unica Chiesa; era stata costruita da un solo braccio, aveva un solo timoniere e un solo comandante, ossia Noé, e noi leggiamo che fuori di essa ogni cosa sulla terra era distrutta. Questa Chiesa noi veneriamo, e questa sola, come dice il Signore per mezzo del Profeta: “Libera, o Signore, la mia anima dalla lancia e dal furore del cane, l’unica mia”. Egli pregava per l’anima, cioè per sé stesso - per la testa e il corpo nello stesso tempo - il quale corpo precisamente egli chiamava la sua sola e unica Chiesa, a causa dell’unità di promessa di fede, di sacramenti e di carità della Chiesa, ossia la “veste senza cuciture” del Signore, che non fu tagliata, ma data in sorte. Perciò in questa unica e sola Chiesa ci sono un solo corpo e una sola testa, non due, come se fosse un mostro, cioè Cristo e Pietro, Vicario di Cristo e il successore di Pietro, perché il Signore disse a Pietro: “Pasci il mio gregge“. “Il mio gregge” egli disse, parlando in generale e non in particolare di questo o quel gregge: così è ben chiaro che egli gli affidò tutto il suo gregge. Se perciò i greci od altri affermano di non essere stati affidati a Pietro e ai suoi successori, essi confessano di conseguenza di non essere del gregge di Cristo, perché il Signore dice in Giovanni che c’è un solo ovile, un solo e unico Pastore. Sappiamo dalle parole del Vangelo che in questa Chiesa e nel suo potere vi sono due spade, una spirituale, cioè, e una temporale, perché quando gli Apostoli dissero: ‘Ecco qui due spade” - che significa nella Chiesa, dato che erano gli Apostoli a parlare - il Signore non rispose che erano troppe, ma che erano sufficienti. E chi nega che la spada temporale appartenga a Pietro, ha realmente interpretato (di modo sbagliato) le parole del Signore, quando dice: “Rimetti la tua spada nel fodero”. Quindi ambedue sono in potere della Chiesa, la spada spirituale e quella materiale; una invero deve essere impugnata per la Chiesa, l’altra dalla Chiesa; la prima dal clero, la seconda dalla mano di re e cavalieri, ma secondo il comando e la condiscendenza del clero, perché è necessario che una spada dipenda dall’altra e che l’autorità temporale sia soggetta a quella spirituale. Perché quando l’Apostolo dice: “non c’è potere Che non venga da Dio e quelli che sono, sono disposti da Dio”; essi non sarebbero disposti se una spada non fosse sottoposta all’altra, e, come inferiore, non fosse dall’altra ricondotta a nobilissime imprese. Poiché secondo san Dionigi, è legge divina che l’inferiore sia ricondotto per l’intermedio al superiore. Dunque le cose non sono ricondotte al loro ordine alla pari e immediatamente, secondo la legge dell’universo, ma le infime attraverso le intermedie e le inferiori attraverso le superiori. Ma è necessario che chiaramente affermiamo che il potere spirituale è superiore a ogni potere terreno in dignità e nobiltà, come le cose spirituali sono superiori a quelle temporali. Il che, invero, possiamo chiaramente constatare con ì nostri occhi dal versamento delle decime, dalla benedizione e santificazione, dal riconoscimento di tale potere e dall’esercitare il governo sopra le medesime, poiché, e la verità ne è testimonianza, il potere spirituale ha il compito di istituire il potere terreno è, se non si dimostrasse buono, di giudicarlo. Così si avvera la profezia di Geremia riguardo la Chiesa e il potere della Chiesa: “Ecco, oggi ti ho posto sopra le nazioni e sopra i regni” e quanto segue. Perciò, se il potere terreno erra, sarà giudicato da quello spirituale, se il potere spirituale inferiore sbaglia, sarà giudicato dal superiore; ma se erra il supremo potere spirituale, questo potrà essere giudicato solamente da Dio e non dagli uomini: del che fa testimonianza l’Apostolo: L’uomo spirituale giudica tutte le cose; ma egli stesso non è giudicato da alcun uomo” perché questa autorità, benché data agli uomini ed esercitata dagli uomini, non è umana, ma senz’altro divina, essendo stata data a Pietro per bocca di Dio e fondata per lui e per i suoi successori su una roccia, che egli confessò, quando il Signore disse allo stesso Pietro: “Qualunque cosa tu legherai ecc.“. Perciò chiunque si oppone a questo potere istituito da Dio, si oppone ai comandi di Dio, a meno che non pretenda, come i Manichei, che vi siano due principii; il che noi affermiamo falso ed eretico, poiché - come dice Mosè – non nei principii, ma “nel principio” Dio creò il Cielo e la terra. Quindi noi dichiariamo, stabiliamo, definiamo e affermiamo che è assolutamente necessario per la salvezza di ogni creatura umana che sia sottomessa al Pontefice di Roma »(3).

Sfogliando la ricchissima compilazione di Balladore e di Vismara, balza agli occhi la profonda influenza che queste concezioni hanno avuto sull’azione del Papato. Infatti, nella sua eventuale scomunica e deposizione, nella nomina e nella destituzione di re come quelli di Sicilia, di Corsica, di Aragona, nel proteggere i sovrani contro le ingiuste rivolte dei sudditi e i sudditi contro le oppressioni dei sovrani, nel regolare i problemi internazionali di ordine morale, come il rispetto dei trattati, i diritti dei naufraghi, dei viaggiatori, dei crociati, dei pellegrini, degli stranieri, dei prigionieri di guerra, nel condannare il conio di monete fraudolente, nel dare disposizioni sulla condizione degli ebrei, nell’incitare alla guerra contro l’Islam, nel promuovere la pace fra i principi cristiani, e ancora in mille altri comportamenti dei Papi, si nota il riflesso dei principi dottrinali che abbiamo sopra ricordato

Il laicismo moderno

Insomma, questo ordine di cose rappresentava un pieno - o almeno un amplissimo - utilizzo di tutte le risorse dello Stato per promuovere la gloria di Dio: lotta contro gli eretici e gli infedeli, repressione dei crimini, propagazione della fede, stimolo alla virtù con tutta la forza della legge.

Con le tempeste del Rinascimento, dell’umanesimo e del protestantesimo, questo ordine di cose, già scosso dai legisti del tramonto del Medioevo, si andò indebolendo. Agonizzò nel corso dell’Evo Moderno, e morì con la Rivoluzione francese. Dopo il 1789 tutto questo si è trasformato in memoria storica, e il mondo è affondato in pieno laicismo.

Infatti la Rivoluzione ha istituito uno Stato che nega che si pone di fronte al problema religioso in un atteggiamento di dubbio ufficiale e definitivo, e osserva la Chiesa di Dio, le sette eretiche o scismatiche, i culti pagani e idolatrici con lo stesso sguardo di indifferenza, disinteressato e scettico. Tutti possono vivere a loro piacere, e lo Stato garantisce loro piena libertà e si disinteressa delle loro rispettive querelle, esigendo soltanto che rispettino l’ordine pubblico e i buoni costumi.

Questo il laicismo rosso di colore ateistico. In verità, vi sono forme di laicismo rosee, e di toni molto diversi. Lo Stato può essere laico e deista... Riconosce la esistenza di Dio, ma giudica impossibile sapere qual è la religione del Dio vero. Quindi si comporta con simpatia verso tutte, e con equidistanza da esse.

 

 

Lenin, predicatore della rivoluzione comunista in Russia nel 1917

Questa la situazione che ha prevalso generalmente fino al 1917. Ma vi è ateismo e ateismo. Vi sono atei che sono tali perché «non sanno» se Dio esiste. E vi sono quelli che «sanno» che Dio non esiste. Al primo tipo di ateismo corrisponde lo Stato laico. Al secondo, lo Stato che perseguita ogni e qualsiasi religione. E questo rappresenta l’opposto diametrale dello Stato medioevale.

Tale tipo di Stato è sorto in Russia con il trionfo del comunismo, ha tentato di instaurarsi in Spagna con le abominevoli atrocità della dittatura che la guerra civile ha abbattuto, ha allungato gli artigli, dopo l’ultima conflagrazione, sulla Bulgaria, la Jugoslavia, l’Albania, la Romania, parte dell’Austria e della Germania, l’Ungheria, la Cecoslovacchia, la Polonia, parte della Finlandia, la Cina, parte della Corea, parte dell’Indocina, l’Indonesia, il Guatemala. L’impero dell’ateismo attuale è uno dei più grandi imperi di tutti i tempi, e costituisce al servizio del demonio qualcosa di analogo - ed è geograficamente maggiore - a quanto è stato in altri tempi, al servizio della Chiesa, l’immensa monarchia degli Asburgo. 

La forza di una memoria

Abbiamo detto poco sopra che in un mondo così costituito la organizzazione temporale dell’Europa medioevale, tutta posta al servizio della Chiesa, era soltanto una memoria. Ma una memoria può essere una grande forza, quando si fonda su un ideale elevato e attira molti uomini.

Esempio impressionante della forza delle memorie è certamente il cosiddetto Rinascimento, che ha rivoluzionato l’Europa con il puro amore a un passato morto da circa mille armi.

Ora, la memoria dello Stato sacrale del Medioevo ha anch’essa i suoi effetti al giorno d’oggi, e specialmente fra i cattolici.

Come evitare che un uomo, seriamente imbevuto della vera religione, formato nella meditazione dei principi proposti da tutti i santi - da Sant’Ignazio, per esempio, nella meditazione del principio e fondamento, oppure in quella delle due bandiere - desideri con tutta l’anima di utilizzare per la gloria di Dio tutte le creature, compreso lo Stato con tutti i suoi mezzi di azione?

Come evitare che un uomo di fede, che sa che la Chiesa presenta prove chiare e certe della sua divinità; che Dio dà le grazie necessarie per vedere queste prove; che il rifiuto di queste prove e di queste grazie costituisce una offesa a Dio - come evitare che un tale uomo soffra per ogni atto di scetticismo, e soprattutto per la professione ufficiale di scetticismo dl tutta una società rappresentata dallo Stato laico?

Come evitare che un fedele, realmente compenetrato di quanto dicono gli autori spirituali sulla violenza dello sregolamento delle passioni umane a causa del peccato originale, e sulla sottigliezza, degli inganni del demonio, tema un serio pericolo per le anime dalla propaganda di sette eretiche che lusingano in tutti i modi l’orgoglio e la sensualità degli uomini? 

 

Con tutto il dinamismo del loro amore verso Dio, le anime zelanti tendono ad amare quel passato magnifico. E Leone XIII ha fatto eco a esse quando ha esclamato:

«Fu già tempo in cui la filosofia del Vangelo governava gli Stati, quando la forza e la sovrana influenza dello spirito cristiano era entrata ben addentro nelle leggi, nelle istituzioni, nei costumi dei popoli, in tutti gli ordini e ragioni dello Stato, quando la religione di Gesù Cristo posta solidamente in quell’onorevole grado che le conveniva, cresceva fiorente all’ombra del favore dei principi e della dovuta protezione dei magistrati; quando procedevano concordi il sacerdozio e l’impero, stretti avventurosamente fra loro per amichevole reciprocità di servigi. Ordinata in tal guisa la società recò frutti che più preziosi non si potrebbero pensare, dei quali dura e durerà la memoria affidata ad innumerevoli monumenti storici, che nessun artifizio dei nemici potrà falsare od oscurare.

«Se l’Europa cristiana domò le nazioni barbare e le trasse dalla ferocia alla mansuetudine, e dalla superstizione alla luce del vero; se vittoriosamente respinse le invasioni dei musulmani, se tenne il primato della civiltà, e si porse ognora duce e maestra alle genti, in ogni maniera di lodevole progresso, se di vere e larghe libertà poté allietare i popoli, se a sollievo delle umane miserie seminò dappertutto istituzioni sapienti e benefiche, non vi è dubbio che in gran parte ne va debitrice alla religione in cui trovò ispirazione ed aiuto alla grandezza di tante opere. Senza fallo, tutti quei benefici sarebbero durati, se del pari fosse durata la concordia dei due poteri: e di maggiori anzi se ne poteva sperare, se con fedeltà e con costanza maggiore si fosse prestato il dovuto ossequio all’autorità, al magistero e ai disegni della Chiesa [...].

«Ma il funesto e deplorevole spirito di novità, suscitatosi nel secolo XVI, prese da prima a sconvolgere la religione, passò poi naturalmente da questa al campo filosofico, e quindi in tutti gli ordini dello Stato. Da questa sorgente scaturirono le massime delle eccessive libertà moderne immaginate e proclamate in mezzo a grandi rivolgimenti del secolo passato con principi e basi di un nuovo diritto, il quale e non fu conosciuto mai ai nostri antichi, e per molti capi è in opposizione non solamente con la legge cristiana, ma anche con il diritto naturale » (4).

Da ciò a una lotta acerrima e molto lodevole contro il laicismo non vi è distanza. E da questa posizione di lotta a un rifiuto assoluto, incondizionale, di qualunque situazione che non sia quella ideale, il passo è breve. Molti lo avrebbero fatto imprudentemente, se non ci fosse stato l’insegnamento della Chiesa, superiore ai pensieri degli uomini, anche dei migliori, come il cielo è superiore alla terra.

Questo è il dinamismo dello zelo, con i suoi desideri, i suoi problemi, talora i suoi eccessi. Di questi ultimi il più delle volte si deve dire quanto di santa Teresa di Gesù dice la Chiesa: che è stata mirabile anche nei suoi errori. 

Il tradimento del cattolico liberale

Molto diversa è la tiepidità, con le sue prudenze, con i suoi accomodamenti, con le sue vigliaccherie, con la sua completa mancanza di fiducia nel soprannaturale.

Fiacco nella fede, il cattolico liberale crede, senza sapere molto esattamente perché. Perciò niente gli pare più spiegabile, più facile da accadere, più naturalmente frequente, del dubbio, dello scetticismo, della neutralità religiosa. Il suo spirito patisce una infermità profonda. La verità e l’errore, il bene e il male non si diversificano molto per lui. Il principio di contraddizione, molla fondamentale dello spirito umano, funziona in lui con tutti i differimenti, le indecisioni, l’impotenza di una molla vecchia, rotta, debole.

Per tutte queste ragioni, e perché ama le comodità, non gli piace lottare. E, inoltre, ha paura della lotta. Le lotte della Chiesa sono sempre incomprensibili se si fa astrazione dalla Provvidenza. Ora, il liberale ha una fede tiepida. Il soprannaturale lo lascia a disagio. Ragiona abitualmente in campo naturale e pensa di fare un atto eroico quando, talora, si eleva a un piano più alto. Come certi uccelli fatti piuttosto per camminare che per volare, che si mantengono in aria solo a titolo di eccezione, in un volo breve e pesante, che consuma le energie di tutto il loro organismo. Non confidando in Dio, ha mille ragioni eccellenti per temere sconfitte a ogni momento. E perciò l’unica politica che sa fare, che gli piace fare, che è solito fare, è quella delle concessioni.

Un tale liberale, niente lo turba maggiormente del timore di uno scontro tra la Chiesa e questo moloch che è il neopaganesimo moderno. E vorrebbe sprofondare sotto terra quando vede un Pio XII affermare con coraggio:

«Oh, non chiedeteCi qual è il “nemico”, né quali vesti indossi. Esso si trova dappertutto e in mezzo a tutti: sa essere violento e subdolo. In questi ultimi secoli ha tentato di operare la disgregazione intellettuale, morale, sociale dell’unità nell’organismo misterioso di Cristo. Ha voluto la natura senza la grazia; la ragione senza la fede; la libertà senza l’autorità; talvolta l’autorità senza la libertà. È un “nemico” divenuto sempre più concreto, con una spregiudicatezza che lascia ancora attoniti: Cristo sì, Chiesa no. Poi: Dio sì, Cristo no. Finalmente il grido empio: Dio è morto; anzi: Dio non è mai stato. Ed ecco il tentativo di edificare la struttura del mondo sovra fondamenti che Noi non esitiamo ad additare come principali responsabili della minaccia che incombe sulla umanità: un’economia senza Dio, una politica senza Dio. Il “nemico” si è adoperato e si adopera perché Cristo sia un estraneo nelle Università, nella scuola, nella famiglia, nell’amministrazione della giustizia, nell’attività legislativa, nel consesso delle nazioni, là dove si determina la pace o la guerra» (5).

Le memorie medioevali sono causa di terrore per il liberale. Sono il suo incubo continuo. E niente gli sembra più pericoloso del cattolico che le loda al giorno d’oggi e, ancora peggio, sostiene risolutamente la loro restaurazione. 

Tesi e ipotesi

Di fronte a queste opposte tendenze, la Santa Sede ha assunto un atteggiamento che non tutti hanno compreso come devono.

Ricordiamo anzitutto che i canonisti distinguono, nell’insieme del mirabile ordine di cose vigente nel Medioevo quanto alle prerogative del Papato, i diritti esercitati dal Papa in quanto Vicario di Gesù Cristo e i diritti che esercitava in virtù della sovranità feudale liberamente costituita in favore del Romano Pontefice - in generale per lodevole devozione - da molti re e capi di Stato. Fatta questa importante distinzione, capiremo meglio gli enunciati dei Papi:

I. La indifferenza dello Stato in materia religiosa è un grande peccato che:

a. Attira su di esso la collera di Dio. Fatto molto importante per i popoli in quanto tali, poiché le nazioni non hanno vita eterna ed espiano in questo stesso mondo i loro peccati collettivi;

b. Fonda tutta la vita giuridica e morale su base falsa, poiché nel laicismo assoluto ogni diritto e ogni legge hanno ragione di essere solo per la forza, e gli Stati fondati sulla forza sono debolissimi. E nel laicismo deista la legge naturale resta soggetta alle interpretazioni variabili degli uomini, e soffre facilmente mostruose deformazioni. È il caso del divorzio, ammesso in molti paesi che professano questo laicismo, come gli Stati Uniti;

c. Infine; ancorché il laicismo deista rispetti tutto il diritto naturale, non rispetta le norme del diritto derivanti dalla Rivelazione, e con ciò adempie male i suoi doveri verso l’unica vera Chiesa, il che ridonda in immenso detrimento per le anime.

II.  Così, lo Stato religiosamente indifferente ha in sé stesso i germi della decomposizione e della rovina, che tutte le forze del denaro e delle armi non possono debellare.

III. Questa è la tesi. Tuttavia, vi sono circostanze nelle quali i cattolici devono accettare come un male minore la libertà di culto per gli acattolici. È il caso, per esempio, dei paesi nei quali vi sono molti abitanti di altre religioni, e il fatto che lo Stato assuma un atteggiamento religioso ufficiale provocherebbe una guerra civile nella quale la nazione potrebbe scomparire. Per molteplici ragioni di buon senso, si vede che in ciò vi è un bene maggiore da salvare, e che il male minore consiste nel tollerare la pluralità di culti.

IV. Un male minore, però, non è necessariamente un male piccolo. L’amputazione delle gambe è un male immenso, benché sia un male minore in confronto alla perdita della vita. Perciò, i cattolici non devono accettare la indifferenza dello Stato come un fatto compiuto, definitivo e di poco momento. Deplorandola con tutte le fibre dell’anima, devono alimentare in sé il nobile desiderio della unione tra la Chiesa e lo Stato, e devono considerare la loro separazione come una grandissima ragione di infelicità. Di più. Devono agire con tutte le forze perché le circostanze immensamente dolorose che obbligano a una tale tolleranza siano quanto prima rimosse, e l’unione si possa ristabilire. L’indifferentismo dello Stato deve essere una piaga aperta nel cuore di ogni cattolico zelante

Trasposizione di un problema

Pio XII nella sua allocuzione ha trasposto lo stesso problema nella sfera internazionale. Nell’epoca della bomba all’idrogeno, in cui si teme un collasso della civiltà, paragonabile soltanto al diluvio, il Papa vede come auspicabile la costituzione di un organismo internazionale. Parla in proposito come statista, che misura probabilità e pericoli, esaminando accuratamente, con grande esperienza e con ampie informazioni le circostanze concrete. Certo un organismo internazionale potrebbe favorire la realizzazione della Repubblica Universale auspicata dalle forze segrete. Ma d’altro canto lo sviluppo dell’ordine naturale delle cose richiede come completamento della struttura giuridica dei popoli civili un organismo internazionale. La mancanza di questo organismo può gettare in una guerra fatale. Pio XII, da esperto statista, valutando indubbiamente un pericolo e l’altro, propende per la organizzazione internazionale. E nello stesso tempo, con autorità di Sommo Pontefice, traccia le condizioni in cui sarebbe legittima, senza offesa per la sovranità degli Stati, ma anche senza dare a questa sovranità un significato esageratamente ampio, che la dottrina cattolica non può accettare.

E poi il Papa passa a un’altra questione. Se la costituzione di questo organismo esigesse la ammissione della libertà di culto, come agire? Pio XII vede bene che nel caso concreto, trattandosi di organizzare Stati atei, laici, acattolici, cattolici, sarebbe risibile proporre a essi, come base, la Rivelazione. E’ quindi necessario rimanere sul terreno della legge naturale. Senza rinunciare al passato, senza escludere la possibilità di una lega di nazioni cattoliche vincolate dalla fede, all’interno della comunità internazionale, Pio XII accetta lealmente questa posizione come male minore, e ragiona in funzione di essa.

In che termini? Precisamente nei termini dei suoi predecessori. Se per salvare lo Stato da un turbamento profondo è legittimo ammettere la libertà di culto nella sfera nazionale, per salvare il mondo da una guerra, ancora di più da un cataclisma, è legittimo ammettere la libertà di culto nella sfera internazionale. Non vi è nulla di più logico.

Perciò i fedeli devono dispiacersi immensamente del fatto che il mondo sia religiosamente diviso, e non sia possibile strutturarlo sull’unica base solida, perfetta, durevole, che è quella cattolica, apostolica e romana. Non devono e non possono aspettarsi da una strutturazione puramente naturale altro che il poco che essa può dare, e un «poco» molto precario.

Ma se questo «poco» posticipasse un conflitto catastrofico, che forse con il tempo e con il mutare delle circostanze si potrebbe evitare, sarebbe anche così un bene tanto altamente prezioso che Pio XII si allontanerebbe dall’insegnamento di tutti i suoi predecessori se decidesse in modo diverso

***

Abbiamo voluto pubblicare integralmente la allocuzione del Santo Padre e commentarla, per mostrare quanto è infantile la pretesa di coloro che, fra noi, vedono in essa la Magna Charta del maritainismo.

In un altro numero, analizzeremo certi passaggi del documento, che mettono ancora più in chiaro quanto è puerile questa supposizione. 


Note:

(*) I neretti sono del sito (www.pliniocorreadeoliveira.info).

(1) Cfr. Acta Pontificia Juris Gentium usque ad annum MCCCIV, a cura di Giorgio Balladore Pallieri e Giulio Vismara, Vita e Pensiero, Milano 1946.

(2) Urbano IV, Lettera Apud Urbem veterem, del 27-8-1263, ibid., pp. 7-8.

(3) Bonifacio VIII, Bolla Unam sanctam, del 19-11-1302, ibid., pp. 8-9.

(4) Leone XIII, Enciclica Immortale Dei, dell’I-II-1885, in La pace interna delle nazioni. Insegnamenti pontifici a cura dei monaci di Solesmes, trad. it., Edizioni Paoline, 2a ed., Roma, 1962, pp. 123-124.

(5) Pio XII, Discorso Nel contemplare, agli Uomini di Azione Cattolica d’Italia, del 12-10-1952, in Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, vol. XIV, p. 359.

* Discorso di Pio XII ai membri della Unione dei Giuristi Cattolici Italiani, riuniti per studiare il tema: «nazione e comunità internazionale» (6 dicembre 1953)
 
 2) 1954-07 - La Comunità degli Stati secondo le norme di Pio XII

 3) 1954-08 - Tollerare il male in vista di un bene superiore e più ampio, secondo gli insegnamenti del Papa Pio XII


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