Plinio Corrêa de Oliveira

 

 

Indifferenza e sonno, mentre le barriere sono abbattute

 

 

 

Folha de S. Paulo, 8 agosto 1971 (*)

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Giorni fa ricorreva il diciottesimo anniversario della rivoluzione cubana. La data non è stata ricordata con manifestazioni di carattere trionfalistico. E non ve ne era ragione.

Ogni anno che passa rappresenta una nuova tappa sul duro cammino del popolo cubano verso la miseria totale. Solo non capisco come mai i vescovi di Cuba non abbiano pubblicato una pastorale collettiva per chiedere una completa riforma di strutture nella sventurata isola. Se più o meno in tutti i paesi dell'America Latina - e faccio salve le onorevoli eccezioni - i vescovi sembrano affascinati dalla prospettiva di porre rimedio alla miseria attraverso riforme, non capisco come mai quelli di Cuba, avendo attorno a sé miserie mille volte più gravi, si mantengano tranquilli e distesi come se vivessero in un oceano di abbondanza.

Tra noi, dicono i vescovi riformisti, vi sono miserie che contrastano dolorosamente con l'abbondanza. A Cuba, penso a mia volta, vi sono miserie che non contrastano con nessuna ricchezza. Tutto infatti è miseria. Logica vorrebbe, perciò, che i vescovi cubani fossero mille volte più trepidanti, insofferenti e irrequieti nella loro ansia riformistica di un mons. Helder Câmara, di un mons. Waldyr Calheiros o di un mons. Fragoso. Ma come mai succede il contrario? Il fatto è che - risponderà qualcuno - a Cuba non vi sono più riforme da fare. È stato riformato tutto, e niente ha dato buoni risultati.

In tal caso - rispondo - la riforma consiste nel disfare quanto è stato erroneamente corretto, nel ritornare indietro di fronte alla catastrofica esperienza compiuta. Perché essere riformisti quando si tratta di andare a sinistra, e non esserli quando i fatti impongono un ritorno verso destra?  Oh, contraddizione! Oh, enigmatica e tenebrosa contraddizione!

Case a Cuba

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Tutto questo è tanto più vero dal momento che, per ciò che riguarda la miseria a Cuba, i fatti non solo gridano, urlano.

Questo, a Cuba, è stato il sesto anno consecutivo in cui la raccolta dello zucchero è stata molto inferiore al previsto. Il deficit della produzione agricola è altissimo. L'isola deve già tre miliardi di dollari alla Russia, e il suo debito aumenta di 250 mila dollari al giorno, secondo informazioni di Jaime Suchlicki del Centro Studi Internazionali di  Castro conta di ricevere, quest'anno, 100 milioni di dollari di aiuto dai sovietici, in generi di prima necessità che l'economia esangue dell'isola non gli permette di comperare.

E nonostante questi risultati deprimenti, il dittatore cubano continua a diffondere svergognatamente - non vi è altro termine - la sua fallita rivoluzione in tutta l'America Latina. Non si stanca di celebrare l'andata al potere di Allende, suo degno compare cileno, di spingere alla rivolta il mondo operaio boliviano, di desiderare una totale svolta a sinistra manu militari in Perù, e di proclamare la sua speranza che l'Uruguay, entro breve tempo, sia soggetto a un regime identico a quello di Cuba.

Castro è un ciarlatano. Non meraviglia che faccia cose di questo genere. Meraviglia piuttosto che il suo comportamento non sia accolto da una grande risata demoralizzante.

La stessa risata che accoglierebbe un commerciante fallito che lanciasse un manifesto per consigliare a tutte le imprese commerciali di utilizzare i suoi metodi.

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Presente per assistere alla lugubre “festa” commemorativa del diciottesimo anniversario della ingiustizia e della miseria a Cuba, era il ministro degli Esteri cileno, compagno Clodomiro Almeyda.

Costui, per certo, non si sarà meravigliato di nulla. Infatti, secondo notizie provenienti dal Cile, vi è già cominciata la miseria tipica dei paesi comunisti (1). La produzione è scesa in tutti i settori. Si cominciano a formare le file davanti ai negozi. Lo scontento cresce e il controllo poliziesco si aggrava. Tutto sta cambiando, e in peggio.

Tutto, a eccezione dell'atteggiamento del cardinale Silva Henríquez, che ha dato carta bianca ai cattolici per votare il candidato marxista, ha devotamente aiutato Allende a installarsi al potere, ha pubblicato quindi una piccola e platonica dichiarazione antimarxista e ora assiste a braccia conserte al crollo.

Nella infelicità generale il cardinale dorme, apparentemente tranquillo. Dorme lo stesso sonno dei vescovi cubani...

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Riassumiamo. Favorita dall'inerzia inspiegabile di tanti cardinali e vescovi, la miseria totale - senza il contrasto con la ricchezza, che tanto disturba i più “arditi” tra i nostri vescovi - si va dunque diffondendo, con il socialismo, per tutta l'America Latina e sta costituendo un immenso impero di sofferenze, di ingiustizia e di oppressione, che si distingue, con frontiere chiaramente delimitate, dai paesi dove vi è miseria ma anche ricchezza. Sempre meno miseria e sempre più ricchezza, come nel caso luminoso del Brasile.

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Queste frontiere sono soltanto economiche? Gli spiritosi demolitori delle “frontiere ideologiche” sembrano pensare così. Tuttavia, chi non vede che dietro alla fame e alla tirannia imperanti nei paesi “marxistizzati” vi è una dottrina che causa tutto questo male, cioè la dottrina di Marx? E chi non vede, d'altro lato, che non vi potrebbe essere nessun grado o forma di prosperità, se ancora non fossero in uso - benché con deplorevoli deformazioni - i principi insegnati dall'Antico e dal Nuovo Testamento, millenni fa, sulla famiglia, la proprietà, l'iniziativa privata, il guadagno, ecc.? In ultima analisi, la causa massima della miseria dalla parte di là è una dottrina. E l'ispiratrice somma di una crescente abbondanza dalla parte di qua è pure una dottrina.

E non è dottrinale, essenzialmente dottrinale, ovviamente dottrinale questa frontiera? Se non la è, se l'impero marxista non è essenzialmente ideologico, chiedo che mi si spieghi come mai la Russia manda tanti dollari, senza nessun compenso economico, per mantenere il regime di Cuba. E perché Castro lavora e spende tanto per esportare la sua ideologia e la sua miseria in tutta l'America.

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L'interesse di queste considerazioni è dottrinale, ma anche concreto.

Dopo le cerimonie nel corso delle quali il presidente Lanusse - con molta improntitudine - ha dichiarato abbattute le frontiere ideologiche tra il suo paese e il Cile marxista, e il compagno Allende ha proclamato la sua intenzione di estendere a tutti i popoli latino-americani questo abbattimento di frontiere, il ministero degli Esteri brasiliano ha avanzato riserve opportune e piene di senno. Ma in tutto l'emisfero l'opinione pubblica ha mantenuto una allarmante indifferenza. Contro questa indifferenza dobbiamo reagire, sotto pena di essere un giorno giudicati dalla storia con la severità con cui essa oggi giudica l'indolenza dei romani di fronte alle orde barbariche che invadevano l'impero...

Note: 

(*) Cfr. "Il crepuscolo artificiale del Cile cattolico", PLINIO CORRÊA DE OLIVEIRA E TFP CILENA, Cristianità, Piacenza 1973, pp. 115-118. – I grassetti sono di questo sito.

(1) Cfr. Folha de S. Paulo, 27/29/31-7-1971.


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