Plinio Corrêa de Oliveira

 

 

Capitolo VII
 
L’essenza della Rivoluzione

 

 

 

 

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Rivoluzione e Contro-Rivoluzione

Titolo originale: Revolução e Contra-Revolução

Pubblicato su Catolicismo, São Paulo, Brasile, Aprile 1959 (I et II), Gennaio 1977 (III)

Traduzione di Giovanni Cantoni

Prima edizione italiana, 1963, Dell’Albero, Torino. Seconda e terza edizioni italiane, 1972 e 1976, Cristianità, Piacenza

Tutti i diritti riservati - © 1998 Associazione Luci sull’Est

 

Dopo aver così descritto sommariamente la crisi dell’Occidente cristiano, è opportuno analizzarla.

 

1. La Rivoluzione per eccellenza

Il processo critico di cui ci stiamo occupando è, come abbiamo detto, una rivoluzione. 

A. Significato della parola “Rivoluzione”

Usiamo questo vocabolo per indicare un movimento che mira alla distruzione d’un potere o d’un ordine legittimo e all’instaurazione, al suo posto, d’uno stato di cose (intenzionalmente non vogliamo dire “ordine di cose”) o d’un potere illegittimo. 

 

B. Rivoluzione cruenta e incruenta

In questo senso, a rigore, una rivoluzione può essere incruenta. Quella di cui ci occupiamo si è svolta e continua a svolgersi con ogni genere di mezzi, alcuni dei quali cruenti e altri no. Le due guerre mondiali di questo secolo, per esempio, considerate nelle loro conseguenze più profonde, sono suoi capitoli, e dei più sanguinosi; mentre la legislazione sempre più socialista di tutti o quasi tutti i popoli odierni costituisce un progresso importantissimo e incruento della Rivoluzione. 

 

C. L’ampiezza di questa Rivoluzione

La rivoluzione ha spesso abbattuto autorità legittime, sostituendole con altre prive di qualsiasi titolo di legittimità. Ma sarebbe un errore pensare che essa consista soltanto in questo. Il suo obiettivo principale non è la distruzione di questi o di quei diritti di persone o di famiglie. Più di questo, essa vuole distruggere tutto un ordine di cose legittimo e sostituirlo con una situazione illegittima. E “ordine di cose” non dice ancora tutto. La Rivoluzione vuole abolire una visione del mondo e un modo d’essere dell’uomo con l’intenzione di sostituirli con altri radicalmente opposti. 

 

D. La Rivoluzione per eccellenza

In questo senso si comprende che questa Rivoluzione non è soltanto una rivoluzione, ma è la Rivoluzione. 

 

E. La distruzione dell’Ordine per eccellenza

Infatti, l’ordine di cose che si sta distruggendo è la Cristianità medioevale.

Ora, la Cristianità non è stata un ordine qualsiasi, possibile come sarebbero possibili molti altri ordini. È stata la realizzazione, nelle condizioni inerenti ai tempi e ai luoghi, dell’unico vero ordine fra gli uomini, ossia della civiltà cristiana.

Nell’enciclica Immortale Dei, Leone XIII ha descritto in questi termini la Cristianità medioevale:

“Fu già tempo che la filosofia del Vangelo governava gli Stati, quando la forza e la sovrana influenza dello spirito cristiano era entrata bene addentro nelle leggi, nelle istituzioni, nei costumi dei popoli, in tutti gli ordini e ragioni dello Stato; quando la Religione di Gesù Cristo posta solidamente in quell’onorevole grado, che le conveniva, traeva su fiorente all’ombra del favore dei Principi e della dovuta protezione dei magistrati; quando procedevano concordi il Sacerdozio e l’Impero, stretti avventurosamente fra loro per amichevole reciprocanza di servigi. Ordinata in tal guisa la società, recò frutti che più preziosi non si potrebbe pensare, dei quali dura e durerà la memoria, affidata ad innumerevoli monumenti storici, che niuno artifizio di nemici potrà falsare od oscurare” (18).

Così, quanto è stato distrutto dal secolo XV a ora, quello la cui distruzione è oggi ormai quasi interamente compiuta, è la disposizione degli uomini e delle cose secondo la dottrina della Chiesa, maestra della Rivelazione e della legge naturale.

Questa disposizione è l’Ordine per eccellenza. Ciò che si vuol instaurare è, per diametrum, il suo contrario. Quindi, la Rivoluzione per eccellenza.

Senza dubbio l’attuale Rivoluzione ha avuto precursori e anche prefigurazioni.

Ario e Maometto sono stati, per esempio, prefigurazioni di Lutero. Vi sono stati utopisti, in diverse epoche, che hanno sognato giorni molto simili a quelli della Rivoluzione. Vi sono stati, infine, in diverse occasioni, popoli o gruppi umani che hanno tentato di realizzare uno stato di cose analogo alle chimere della Rivoluzione.

Ma tutti questi sogni, tutte queste prefigurazioni sono poco o nulla in confronto alla Rivoluzione, di cui viviamo il processo. Questa, per il suo radicalismo, per la sua universalità, per il suo impeto, è penetrata così a fondo e si sta spingendo così lontano da costituire qualcosa che non ha paragone nella storia e fa sorgere in molti spiriti pensosi la domanda se realmente non siamo giunti ai tempi dell’Anticristo. Infatti sembra che non ne siamo lontani, a giudicare dalle parole del Santo Padre Giovanni XXIII di venerata memoria:

“Vi dice inoltre [Gesù Cristo] che in quest’ora tremenda in cui lo spirito del male adopera ogni mezzo per distruggere il Regno di Dio, debbono essere impegnate tutte le energie per difenderlo, se volete evitare alla vostra città rovine immensamente più grandi di quelle materiali disseminate dal terremoto cinquant’anni or sono. Quanto più arduo sarebbe allora riedificare le anime, una volta che fossero staccate dalla Chiesa e rese schiave delle false ideologie del nostro tempo” (19). 

 

2. Rivoluzione e legittimità 

A. La legittimità per eccellenza

In generale, la nozione di legittimità è stata messa a fuoco soltanto in relazione a dinastie e a governi. Intanto, secondo gli insegnamenti di Leone XIII nell’enciclica Au milieu des sollicitudes del 16 febbraio 1892 rasa della questione della legittimità dinastica o governativa, perché si tratta d’una questione morale gravissima, che le coscienze rette devono considerare con ogni attenzione.

Però il concetto di legittimità non si applica soltanto a questo genere di problemi.

Vi è una legittimità più alta, quella che caratterizza ogni ordine di cose in cui divenga effettiva la regalità di Nostro Signore Gesù Cristo, modello e fonte della legittimità di tutte le regalità e di tutti i poteri terreni. Lottare per l’autorità legittima è un dovere, anzi, un dovere grave. Ma è necessario vedere nella legittimità delle persone investite dell’autorità non solo un bene eccellente in sé, ma un mezzo per raggiungere un bene di gran lunga superiore, ossia la legittimità di tutto l’ordine sociale, di tutte le istituzioni e di tutti gli ambienti umani, che si ha con la disposizione di tutte le cose secondo la dottrina della Chiesa. 

 

B. Cultura e civiltà cattolica

L’ideale della Contro-Rivoluzione consiste, dunque, nel restaurare e nel promuovere la cultura e la civiltà cattolica. Queste tesi sarebbero enunciate in modo insufficiente se non comprendessero una definizione di che cosa intendiamo con “cultura cattolica” e con “civiltà cattolica”. Sappiamo che i termini “civiltà” e “cultura” sono usati in molti significati diversi. Decisamente non pretendiamo in questa sede di prender posizione su una questione di terminologia e ci limitiamo a usare questi vocaboli come etichette di precisione relativa per indicare certe realtà più preoccupati di dare un’idea vera di queste realtà, che di discutere sulle parole.

Un’anima in stato di grazia è, in grado maggiore o minore, in possesso di tutte le virtù. Illuminata dalla fede, dispone degli elementi per formarsi l’unica visione vera del mondo.

L’elemento fondamentale della cultura cattolica è la visione del mondo elaborata secondo la dottrina della Chiesa. Questa cultura comprende non solo l’istruzione, che è il possesso dei dati d’informazione necessari a una tale elaborazione, ma una analisi e un coordinamento di questi dati secondo la dottrina cattolica. Essa non si limita al campo teologico o filosofico o scientifico, ma abbraccia tutto il sapere umano, si riflette nell’arte e implica l’affermazione di valori che impregnano tutti gli aspetti dell’esistenza.

Civiltà cattolica è l’ordinamento di tutte le relazioni umane, di tutte le istituzioni umane, e dello stesso Stato, secondo la dottrina della Chiesa.

 

C. Carattere sacrale della civiltà cattolica

È implicito che un tale ordine di cose è sacrale nei suoi fondamenti e comporta il riconoscimento di tutti i poteri della santa Chiesa, e in particolare del Sommo Pontefice: potere diretto nelle cose spirituali, potere indiretto nelle cose temporali, nella misura del loro rapporto con la salvezza delle anime.

In concreto, il fine della società e dello Stato è la vita virtuosa in comune. Ora, le virtù che l’uomo è chiamato a praticare sono le virtù cristiane, e fra queste la prima è l’amore a Dio. La società e lo Stato hanno, quindi, un fine ultimo sacrale (21).

Sicuramente alla Chiesa appartengono i mezzi specifici atti a promuovere la salvezza delle anime. Ma la società e lo Stato hanno mezzi che possono servire allo stesso scopo, mezzi cioè che, mossi da un agente più alto, producono un effetto superiore a loro stessi.

 

D. Cultura e civiltà per eccellenza

Da tutti questi dati si può facilmente dedurre che la cultura e la civiltà cattolica sono la cultura per eccellenza e la civiltà per eccellenza. È necessario aggiungere che possono esistere soltanto in popoli cattolici. Infatti, sebbene l’uomo possa conoscere i princìpi della legge naturale per mezzo della ragione, un popolo non può mantenersi durevolmente nella completa conoscenza di essi senza il Magistero della Chiesa (22). E, per questo motivo, un popolo che non professi la vera religione non può praticare durevolmente tutti i comandamenti (23). Date queste condizioni, e poiché senza la conoscenza e l’osservanza della legge di Dio non vi può essere ordine cristiano, la civiltà e la cultura per eccellenza sono possibili soltanto nel seno della santa Chiesa. Infatti, secondo quanto ha detto san Pio X, la civiltà “tanto è più vera, più durevole, più feconda di frutti preziosi, quanto è più nettamente cristiana; tanto declina, con immenso danno del bene sociale, quanto dall’idea cristiana si sottrae. Onde per la forza intrinseca delle cose, la Chiesa divenne anche di fatto custode e vindice della civiltà cristiana” (24).

 

E. L’illegittimità per eccellenza

Se l’Ordine e la legittimità consistono in questo, si arguisce facilmente in che cosa consiste la Rivoluzione. Poiché è il contrario di questo Ordine, è il disordine e l’illegittimità per eccellenza. 

 

3. La Rivoluzione, l'orgoglio e la sensualità — I valori metafisici della Rivoluzione

Due nozioni concepite come valori metafisici esprimono adeguatamente lo spirito della Rivoluzione: uguaglianza assoluta, libertà completa. E due sono le passioni che più la servono: l’orgoglio e la sensualità.

Poiché facciamo riferimento alle passioni, dobbiamo chiarire il significato che diamo al termine in questo saggio. Per maggior brevità, conformandoci all’uso di diversi autori spirituali, tutte le volte che parliamo delle passioni come fautrici della Rivoluzione ci riferiamo alle passioni disordinate. E, in accordo con il linguaggio corrente, includiamo nelle passioni disordinate tutti gli impulsi al peccato esistenti nell’uomo in conseguenza della triplice concupiscenza: quella della carne, quella degli occhi e la superbia della vita (25).

 

A. Orgoglio e ugualitarismo

La persona orgogliosa, soggetta all’autorità di un’altra, odia in primo luogo il giogo che in concreto pesa su di lei.

In secondo luogo l’orgoglioso odia genericamente tutte le autorità e tutti i gioghi, e più ancora lo stesso principio d’autorità, considerato in astratto.

E, poiché odia ogni autorità, odia anche ogni superiorità, di qualsiasi ordine sia.

E in tutto questo si manifesta un vero odio a Dio (26).

Questo odio per ogni disuguaglianza si è spinto tanto oltre che, mosse da esso, persone di alta posizione l’hanno messa a repentaglio e perfino compromessa soltanto per non accettare la superiorità di chi sta più in alto di loro.

Ma vi è di più. In un eccesso di virulenza l’orgoglio può portare qualcuno a lottare per l’anarchia e a rifiutare il potere supremo che gli fosse offerto. E ciò perché la semplice esistenza di questo potere supremo contiene implicitamente l’affermazione del principio d’autorità, a cui ogni uomo in quanto tale — e anche l’orgoglioso — può essere soggetto.

L’orgoglio può così condurre all’ugualitarismo più completo e radicale.

Gli aspetti di questo ugualitarismo radicale e metafisico sono diversi: 

a. Uguaglianza fra gli uomini e Dio: da ciò il panteismo, l’immanentismo e tutte le forme esoteriche di religione, che mirano a stabilire un rapporto da uguale a uguale fra Dio e gli uomini e hanno per scopo di attribuire a questi ultimi prerogative divine. L’ateo è un ugualitario che, volendo evitare l’assurdità dell’affermazione che l’uomo è Dio, cade in un altro assurdo, affermando che Dio non esiste. Il laicismo è una forma di ateismo e quindi di ugualitarismo. Esso afferma l’impossibilità di giungere alla certezza dell’esistenza di Dio. Quindi, nella sfera temporale, l’uomo deve agire come se Dio non esistesse, ossia, come qualcuno che ha detronizzato Dio.

b. Uguaglianza nella sfera ecclesiastica: soppressione del sacerdozio dotato dei poteri di ordine, di magistero e di governo, o almeno d’un sacerdozio con gradi gerarchici.

c. Uguaglianza fra le diverse religioni: tutte le discriminazioni religiose sono odiose perché offendono la fondamentale uguaglianza fra gli uomini. Perciò le diverse religioni devono essere trattate in modo rigorosamente uguale. La pretesa d’una religione di essere quella vera, a esclusione delle altre, comporta l’affermazione d’una superiorità, è contro la mansuetudine evangelica ed è pure impolitica, perché le preclude l’accesso ai cuori.

d. Uguaglianza nella sfera politica: soppressione, o almeno attenuazione, della disuguaglianza fra governanti e governati. Il potere non viene da Dio ma dalla massa, che comanda e alla quale il governo deve ubbidire. Proscrizione della monarchia e dell’aristocrazia come regimi intrinsecamente cattivi, in quanto antiugualitari. Soltanto la democrazia è legittima, giusta ed evangelica (27).

e. Uguaglianza nella struttura della società: soppressione delle classi, soprattutto di quelle che si perpetuano per via ereditaria. Abolizione di ogni influenza aristocratica nella direzione della società e sul tono generale della cultura e dei costumi. La gerarchia naturale costituita dalla superiorità del lavoro intellettuale sul lavoro manuale scomparirà con il superamento della distinzione fra l’uno e l’altro.

f. Abolizione dei corpi intermedi fra l’individuo e lo Stato, come pure dei privilegi specificamente inerenti a ciascun corpo sociale. Per quanto grande sia l’odio della Rivoluzione contro l’assolutismo regio, è ancor più grande il suo odio contro i corpi intermedi e la monarchia organica medioevale. Questo avviene perché l’assolutismo monarchico tende a mettere i sudditi, anche quelli più altolocati, a un livello di reciproca uguaglianza, in una situazione menomata che preannuncia già quell’annullamento dell’individuo e quell’anonimato, che raggiungono la massima espressione nelle grandi concentrazioni urbane della società socialista. Fra i corpi intermedi che devono essere aboliti occupa il primo posto la famiglia. Nella misura in cui non riesce a estinguerla, la Rivoluzione cerca di sminuirla, di mutilarla e di vilipenderla in tutti i modi.

g. Uguaglianza economica: niente appartiene a qualcuno, tutto appartiene alla collettività. Soppressione della proprietà privata, del diritto di ciascuno al frutto integrale del proprio lavoro personale e alla scelta della sua professione.

h. Uguaglianza negli aspetti esteriori dell’esistenza: dalla varietà scaturisce facilmente una disuguaglianza di livello. Perciò, diminuzione per quanto possibile della varietà negli abiti, nelle abitazioni, nei mobili, nelle abitudini, e così via.

i. Uguaglianza delle anime: la propaganda, in un certo senso, uniforma tutte le anime, togliendo loro tutte le peculiarità e quasi la vita stessa. Perfino le differenze di psicologia e d’atteggiamento fra i sessi tendono a diminuire il più possibile. Per tutte queste ragioni scompare il popolo, che è essenzialmente una grande famiglia di anime diverse ma armoniche, riunite attorno a quanto è a loro comune. E sorge la massa, con la sua grande anima vuota, collettiva, schiava (28).

j. Uguaglianza in tutti i rapporti sociali: fra anziani e giovani, fra padroni e dipendenti, fra insegnanti e studenti, fra marito e moglie, fra genitori e figli, e così via.

k. Uguaglianza nell’ordine internazionale: lo Stato è costituito da un popolo indipendente, che esercita un dominio esclusivo su un territorio. La sovranità, dunque, rappresenta la proprietà nel diritto pubblico. Ammessa l’idea di popolo, con caratteristiche che lo differenziano dagli altri, e l’idea di sovranità, ci troviamo necessariamente di fronte a disuguaglianze: di capacità, di virtù, di numero, e così via. Ammessa l’idea di territorialità, abbiamo la disuguaglianza quantitativa e qualitativa dei diversi territori. Si capisce, perciò, come la Rivoluzione, fondamentalmente ugualitaria, sogni di fondere tutte le razze, tutti i popoli e tutti gli Stati in una sola razza, in un solo popolo e in un solo Stato (29).

l. Uguaglianza fra le diverse parti del paese: per le stesse ragioni, e per un meccanismo analogo, la Rivoluzione tende ad abolire, all’interno delle patrie oggi esistenti, tutto il sano regionalismo politico, culturale, e così via.

m. Ugualitarismo e odio a Dio: san Tommaso insegna che la diversità delle creature e la loro disposizione gerarchica sono un bene in sé, perché così risplendono meglio nella creazione le perfezioni del Creatore (30). E dice che, tanto fra gli angeli (31) quanto fra gli uomini, nel paradiso terrestre come in questa terra d’esilio (32), la Provvidenza ha stabilito la disuguaglianza. Perciò, un universo di creature uguali sarebbe un mondo in cui sarebbe cancellata, in tutta la misura possibile, la somiglianza fra creature e Creatore. Quindi odiare per principio ogni e qualsiasi disuguaglianza equivale a porsi metafisicamente contro gli elementi per la migliore somiglianza fra il Creatore e la creazione, significa odiare Dio.

n. I limiti della disuguaglianza: da tutta questa esposizione dottrinale non si può chiaramente concludere che la disuguaglianza sia sempre e necessariamente.

Gli uomini sono tutti uguali per natura e diversi soltanto nei loro elementi accidentali. I diritti a loro derivanti dal semplice fatto di essere uomini sono uguali per tutti: diritto alla vita, all’onore, a condizioni di esistenza sufficienti, dunque, al lavoro e alla proprietà, alla costituzione d’una famiglia e soprattutto alla conoscenza e alla pratica della vera religione. E le disuguaglianze che attentano a questi diritti sono contrarie all’ordine della Provvidenza. Però, entro questi limiti, le disuguaglianze derivanti da elementi accidentali come la virtù, il talento, la bellezza, la forza, la famiglia, la tradizione, e così via, sono giuste e conformi all’ordine dell’universo (33).

 

B. Sensualità e liberalismo

Accanto all’orgoglio, generatore di ogni ugualitarismo, sta la sensualità, nel senso più ampio del termine, fonte del liberalismo. In queste tristi profondità si trova il punto d’incontro fra questi due princìpi metafisici della Rivoluzione, l’uguaglianza e la libertà, che da tanti punti di vista sono contraddittori.

a. La gerarchia nell’anima: Dio, che ha impresso un sigillo gerarchico su tutta la creazione, visibile e invisibile, l’ha impresso anche nell’anima umana.

L’intelligenza deve guidare la volontà e questa deve dirigere la sensibilità. Come conseguenza del peccato originale esiste nell’uomo un costante attrito fra gli appetiti sensibili e la volontà guidata dalla ragione: “Vedo nelle mie membra un’altra legge, che lotta contro la legge della mia ragione” (35).

Ma la volontà, regina ridotta a governare sudditi in stato di continuo tentativo di rivolta, ha i mezzi per vincere sempre... purché non resista alla grazia di Dio (36).

b. L’ugualitarismo nell’anima: il processo rivoluzionario, che mira al livellamento generale, ma che tante volte è stato soltanto l’usurpazione della funzione del comando da parte di chi dovrebbe invece ubbidire, una volta trasferito nelle relazioni fra le potenze dell’anima dovrà produrre la tirannia deplorevole di tutte le passioni sfrenate su una volontà debole e fallita e su un’intelligenza obnubilata. In modo particolare, il dominio d’una sensualità ardente su tutti i sentimenti di modestia e di pudore.

Quando la Rivoluzione proclama la libertà assoluta come principio metafisico, lo fa unicamente per giustificare il libero corso delle peggiori passioni e degli errori più funesti.

c. Ugualitarismo e liberalismo: l’inversione di cui abbiamo parlato, cioè il diritto di pensare, di sentire e di fare tutto qanto le passioni sfrenate esigono, è l’essenza del liberalismo. Ciò appare chiaramente nelle forme più esacerbate della dottrina liberale. Analizzandole, ci si accorge che il liberalismo dà poca importanza alla libertà per il bene. Gl’interessa solo la libertà per il male. Quando è al potere toglie facilmente e perfino con soddisfazione al bene la libertà, in tutta la misura possibile. Ma protegge, favorisce, sostiene, in molti modi, la libertà per il male. In questo dimostra la sua opposizione alla civiltà cattolica, che dà al bene tutto l’appoggio e tutta la libertà e limita, per quanto possibile, il male.

Ora, questa libertà per il male è precisamente la libertà così com’è intesa dall’uomo in quanto “rivoluzionario” nel suo intimo, cioè in quanto consente alla tirannia delle passioni sulla sua intelligenza e sulla sua volontà.

E in questo senso il liberalismo è frutto dello stesso albero che produce l’ugualitarismo.

D’altra parte l’orgoglio, in quanto genera odio verso qualunque autorità (36), induce a un atteggiamento chiaramente liberale. E a questo titolo deve esser considerato un fattore attivo del liberalismo. Quando però la Rivoluzione si rese conto che, se si lasciano liberi gli uomini, disuguali per le loro attitudini e per la loro volontà d’impegno, la libertà genera la disuguaglianza, decise, in odio a questa, di sacrificare quella. Da ciò nacque la sua fase socialista. Questa fase ne costituisce soltanto una tappa. La Rivoluzione spera, al suo termine ultimo, di realizzare uno stato di cose in cui la completa libertà coesista con la piena uguaglianza.

Così, storicamente, il movimento socialista è un semplice compimento del movimento liberale. Ciò che porta un autentico liberale ad accettare il socialismo è precisamente il fatto che, in esso, mentre da un lato si proibiscono tirannicamente mille cose buone o almeno innocue, dall’altro si favorisce il soddisfacimento metodico, e a volte con caratteri d’austerità, delle peggiori e più violente passioni, come l’invidia, la pigrizia, la lussuria. E, d’altra parte, il liberale intuisce che l’estensione dell’autorità nel regime socialista non è altro, nella logica del sistema, che un mezzo per arrivare alla tanto desiderata anarchia finale.

Gli scontri fra certi liberali ingenui o ritardatari e i socialisti sono dunque, nel processo rivoluzionario, semplici episodi di superficie, inoffensivi qui pro quo che non turbano né la logica profonda della Rivoluzione, né la sua marcia inesorabile verso quella direzione che, considerate bene le cose, è al tempo stesso socialista e liberale.

d. La generazione del “rock and roll”: il processo rivoluzionario nelle anime, così come lo abbiamo descritto, ha prodotto nelle ultime generazioni, e specialmente negli adolescenti d’oggi, che si lasciano ipnotizzare dal rock and roll, un modo d’essere dello spirito caratterizzato dalla spontaneità delle reazioni primarie, senza il controllo dell’intelligenza e senza la partecipazione effettiva della volontà, dal predominio della fantasia e delle “esperienze” sull’analisi metodica della realtà: tutto ciò, in larga misura, è frutto d’una pedagogia che riduce quasi a nulla la parte della logica e della vera formazione della volontà.

e. Ugualitarismo, liberalismo e anarchismo: com’è detto nei punti precedenti (da “a” a “d”), la fermentazione delle passioni sregolate, se da una parte suscita l’odio per qualsiasi freno e per qualsiasi legge, d’altro lato provoca l’odio contro qualunque disuguaglianza. Tale fermentazione conduce così alla concezione utopistica dell’“anarchismo” marxista, secondo cui un’umanità evoluta, vivente in una società senza classi e senza governo, potrebbe godere dell’ordine perfetto e della più completa libertà, senza che ne derivi disuguaglianza alcuna. Come si può vedere, è l’ideale simultaneamente più liberale e più ugualitario che si possa immaginare.

Infatti l’utopia anarchica del marxismo consiste in uno stato di cose in cui la personalità umana avrebbe raggiunto un alto grado di progresso, al punto che le sarebbe possibile svilupparsi liberamente in una società senza Stato e senza governo.

In questa società — che, pur non avendo governo, vivrebbe in perfetto ordine — la produzione economica sarebbe ben organizzata e molto sviluppata e sarebbe superata la distinzione fra lavoro manuale e intellettuale. Un processo di selezione ancora non precisato porterebbe alla direzione dell’economia i più capaci, senza che ne derivi la formazione di classi.

Questi sarebbero i soli e insignificanti residui di disuguaglianza, ma, poiché questa società comunista anarchica non è il termine finale della storia, sembra legittimo supporre che tali residui sarebbero aboliti in un’ulteriore evoluzione. 


Note: 

(18) Leone XIII, Enciclica Immortale Dei, dell’1-11-1885, in ASS, vol. XVIII, p. 169. 

(19) Giovanni XXIII, Radiomessaggio nel 50º anniversario del terremoto di Messina, del

28-12-1958, in Discorsi, Messaggi Colloqui del Santo Padre Giovanni XXIII, vol. I, p. 110.  

(20) Cfr. Leone XIII, Enciclica Au milieu des sollicitudes, del 16-2-1892, in ASS, vol. XXIV, pp. 519-529.  

(21) Cfr. San Tommaso, De regimine principum, I, 14 e 15.  

(22) Cfr. Concilio Vaticano I, sess. III, cap 2, Denz. 1786.  

(23) Cfr. Concilio di Trento, sess. VI, cap. 2, Denz. 812.  

(24) San Pio X, Enciclica Il fermo proposito, dell’11-6-1905, in ASS, vol. XXXVII, p. 745.  

(25) Cfr. 1 Gv. 2, 16.  

(26) Vedi punto “m” di questo paragr.  

(27) Cfr. San Pio X, Lettera apostolica Notre charge apostolique, del 25-8- 1910, in AAS, vol. II, pp. 615-619.  

(28) Cfr. Pio XII, Radiomessaggio natalizio ai popoli del mondo intero, del 24-12-1944, in Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, vol. VI, p. 239.  

(29) Vedi parte I, cap. XI, 3.  

(30) Cfr. San Tommaso, Summa contra gentiles, II, 45; e Idem, Summa theologiae, I, q. 50, a. 4.  

(31) Cfr. Idem, Summa theologica, I, q. 50, a. 4. 

(32) Cfr. Idem, op. cit., I, q. 96, a. 3 e 4. 

(33) Cfr. Pio XII, doc. cit., ibid. 

(34) Rom. 7, 23. 

(35) Cfr. Rom. 7, 25. 

(36) Vedi punto “A” di questo cap. 

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