Plinio Corrêa de Oliveira

 

 

Postfazione del 1992

 

 

 

 

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Rivoluzione e Contro-Rivoluzione

Titolo originale: Revolução e Contra-Revolução

Pubblicato su Catolicismo, São Paulo, Brasile, Aprile 1959 (I et II), Gennaio 1977 (III)

Traduzione di Giovanni Cantoni

Prima edizione italiana, 1963, Dell’Albero, Torino. Seconda e terza edizioni italiane, 1972 e 1976, Cristianità, Piacenza

Tutti i diritti riservati - © 1998 Associazione Luci sull’Est

 

Con le parole precedenti ho concluso le diverse edizioni di Rivoluzione e Contro-Rivoluzione pubblicate dal 1976. Leggendo queste parole, chi ha fra le mani questa edizione, comparsa nel 1992, si chiederà necessariamente a che punto si trova oggi il processo rivoluzionario. La III Rivoluzione vive ancora dopo gli avvenimenti dell’agosto del 1991 (cfr. l’aggiunta al punto 1, B, del capitolo II, parte III)? Oppure la caduta dell’impero sovietico permette di affermare che la IV Rivoluzione sta ormai per fare irruzione nel più profondo della realtà politica dell’Ovest europeo, oppure che ha ormai vinto?

È necessario distinguere. Attualmente, le correnti che propugnano l’instaurazione della IV Rivoluzione si sono diffuse — anche se in forme diverse — in tutto il mondo, e rivelano, più o meno ovunque, una sensibile tendenza a crescere.

In questo senso, la IV Rivoluzione avanza in un crescendo promettente per quanti la desiderano, e minaccioso per quanti si battono contro di essa. Ma sarebbe un’evidente esagerazione dire che l’ordine di cose attualmente esistente nell’ex URSS è ormai totalmente modellato secondo la IV Rivoluzione e non vi resta nulla della III Rivoluzione.

La IV Rivoluzione, benché includa anche l’aspetto politico, è una Rivoluzione che si qualifica “culturale”, ossia che comprende grosso modo tutti gli aspetti dell’esistenza umana. Così, gli scontri politici che si produrranno fra le nazioni che costituivano l’URSS potranno condizionare fortemente la IV Rivoluzione, ma è difficile che essi s’impongano in modo dominante agli avvenimenti, cioè a tutto l’insieme degli atti umani che la “rivoluzione culturale” comporta.

Ma cosa dice l’opinione pubblica dei paesi che fino a ieri erano sovietici, e che in buon numero sono ancora governati da vecchi comunisti? Non ha niente da dire sull’argomento, dal momento che — secondo Revoluzione e Contro-Rivoluzione — ha rappresentato un ruolo così grande nelle rivoluzioni precedenti?

La risposta a questa domanda si dà con altre. In questi paesi esiste veramente un’opinione pubblica? Può essere impegnata in un processo rivoluzionario sistematico? In caso negativo, qual è il piano dei più alti dirigenti nazionali e internazionali del comunismo sull’orientamento da dare a questa opinione?

È difficile rispondere a tutte queste domande, posto che in questo momento l’opinione pubblica dell’ex mondo sovietico si presenta evidentemente atona, amorfa, immobilizzata sotto il peso di settant’anni di dittatura totale, in cui ogni individuo aveva paura, in molti ambienti, a enunciare la propria opinione religiosa o politica al proprio parente più prossimo o al suo amico più intimo, perché una probabile delazione — velata o aperta, veridica o calunniosa — lo poteva condannare a lavori forzati senza fine, nelle gelide steppe della Siberia. Ma è comunque necessario rispondere a queste domande prima di elaborare previsioni sul corso degli avvenimenti nell’ex mondo sovietico.

Si aggiunga che i mezzi internazionali di comunicazione continuano a far riferimento, come ho già detto, a un’eventuale migrazione di orde affamate, semi-civilizzate — il che equivale a dire semi-barbare — nei ben forniti paesi europei, che vivono nel regime consumista occidentale.

Povera gente, piena di fame e vuota di idee, che si scontrerebbe allora con il mondo libero, senza comprenderlo, un mondo che, per certi aspetti, potrebbe essere qualificato come supercivilizzato e, per altri, come putrefatto!

Quale sarebbe la conseguenza di questo scontro, sia nell’Europa invasa, sia, per riflesso, nell’ex mondo sovietico? Una Rivoluzione autogestionaria, cooperativista, struttural-tribalista (cfr. parte III, capitolo II, inciso aggiunto a questa edizione al punto 1, B) oppure, immediatamente, un mondo di anarchia totale, di caos e di orrore, che non avremmo timore di qualificare come di V Rivoluzione?

Nel momento in cui questa edizione vede la luce è chiaramente prematuro rispondere a tali domande. Ma il futuro ci si presenta così carico d’imprevisti che forse domani sarà già troppo tardi per farlo. Infatti, quale sarebbe l’utilità dei libri, dei pensatori, infine, di quanto resta di civiltà, in un mondo tribale nel quale fossero scatenati tutti i furori delle passioni umane disordinate e tutti i deliri dei “misticismi” struttural-tribalisti? Si tratterebbe di una situazione tragica, nella quale niente avrebbe qualche significato, sotto l’imperio del Nulla...

* * *

Gorbaciov è sempre a Mosca. E vi rimarrà almeno fino a quando non decida di accettare gl’inviti altamente promozionali che si sono affrettati a fargli, poco dopo la sua caduta, i rettori delle prestigiose università di Harvard, Stanford e Boston. Questo nel caso non preferisca accettare l’ospitalità regale che gli ha offerto Juan Carlos I, re di Spagna, nel celebre Palacio de Lanzarote, nelle Isole Canarie, oppure la cattedra alla quale è stato invitato dal famoso Collège de France.

Di fronte a tali alternative, l’ex leader comunista, sconfitto in Oriente, sembra aver solo l’imbarazzo della scelta fra gl’inviti più lusinghieri in Occidente. Fino a questo momento ha deciso solo di scrivere una serie di articoli per una catena di diversi giornali del mondo capitalista, mondo nelle cui alte sfere continua trovare un sostegno tanto fervoroso quanto inspiegabile. E di far un viaggio negli Stati Uniti, circondato da un grande apparato propagandistico, per ottenere fondi per la cosiddetta Fondazione Gorbaciov.

Così, mentre sta nella penombra nella sua stessa patria — e anche in Occidente la sua funzione viene messa seriamente in questione —, magnati dell’Occidente s’impegnano in modi diversi per mantenere le luci di una lusinghiera propaganda accese sull’uomo della perestrojka, che, per altro, durante tutta la sua carriera politica ha insistito nel dire che questa riforma da lui proposta non costituisce il contrario del comunismo, ma una realizzazione di esso (cfr. parte III, capitolo II, punto 1, B).

Quanto alla debole federazione sovietica, che agonizzava quando Gorbaciov fu rimosso dal potere, ha finito per trasformarsi in una quasi immaginaria  "Federazione di Stati Indipendenti”, fra i cui componenti si vanno accendendo serie frizioni, causa di preoccupazione per uomini pubblici e analisti politici. Tanto più perché diverse di queste repubbliche o repubblichette possiedono armamenti atomici che possono mettere in campo le une contro le altre — oppure contro gli avversari dell’islam, la cui influenza nel mondo ex sovietico cresce di giorno in giorno — con vive apprensioni per quanti sono preoccupati dell’equilibrio planetario.

Gli effetti di queste eventuali aggressioni atomiche possono essere molteplici. Fra essi, principalmente, l’esodo di popolazioni in altri tempi contenute da quella che è stata la Cortina di Ferro e che, pressate dai rigori di un inverno abitualmente inclemente e dai rischi di enormi catastrofi, possono sentire impulsi raddoppiati a “chiedere” l’ospitalità dell’Europa Occidentale. E non solo di essa, ma anche di nazioni del continente americano...

In favore di queste prospettive, in Brasile, il signor Lionel Brizola, governatore dello Stato di Rio de Janeiro, con plauso del ministro dell’Agricoltura del governo federale, ha proposto di chiamare contadini dell’Europa Orientale nel quadro di programmi ufficiali di Riforma Agraria. Poi, il presidente dell’Argentina, Carlos Menem, nel corso di incontri con la Comunità Economica Europea, ha dichiarato la disponibilità del suo paese ad accogliere molte migliaia di questi migranti. E poco dopo il titolare del ministero degli Esteri colombiano, signora Nohemí Sanin, ha detto che il governo del suo paese studia l’ammissione di tecnici provenienti dall’Europa Orientale. Le ondate delle invasioni possono giungere fino a questi estremi.

E il comunismo? Che ne è di esso? La forte impressione che sia morto si è impadronita della maggior parte dell’opinione pubblica d’Occidente, conquistata dalla prospettiva di una pace universale di durata indeterminata. O forse di una durata perenne, con la conseguente scomparsa del terribile fantasma dell’ecatombe nucleare mondiale.

Ma questa “luna di miele” dell’Occidente con il suo supposto paradiso di distensione e di pace perde gradatamente il suo brillio.

Infatti, abbiamo fatto riferimento poco prima alle aggressioni di ogni tipo che lampeggiano nei territori della defunta URSS. Quindi ci dobbiamo chiedere se il comunismo è morto. All’inizio, le voci che mettevano in dubbio l’autenticità della morte del comunismo sono state rare, isolate e scarsamente fondate.

A poco a poco, qua e là, ciononostante sono comparse ombre all’orizzonte. In nazioni dell’Europa Centrale e dei Balcani, come dello stesso territorio dell’ex URSS, si è venuto notando che, in alcuni casi, i nuovi detentori del Potere erano figure di rilievo dei partiti comunisti locali. Fatta eccezione per la Germania Orientale, il percorso verso la privatizzazione nella maggioranza dei casi si sta facendo più in apparenza che in realtà, cioè a passi di tartaruga, lenti e senza regola completamente definita.

Ossia, si può dire che in questi paesi il comunismo è morto? Oppure che è semplicemente entrato in un complicato processo di trasformazione? Dubbi a questo proposito vanno crescendo, mentre gli ultimi echi della gioia universale per la supposta caduta del comunismo vengono spegnendosi discretamente.

Quanto ai partiti comunisti delle nazioni dell’Occidente, sono ovviamente avvizziti al fracasso dei primi crolli nell’URSS. Ma già ora diversi di essi cominciano a riorganizzarsi con nuove etichette. Questo mutamento di etichetta costituisce una risurrezione? Una metamorfosi? Propendo di preferenza per quest’ultima ipotesi. Solo il futuro potrà dare certezze.

Questo aggiornamento del quadro generale in funzione del quale il mondo va prendendo posizione, mi è parso indispensabile come tentativo di far un poco di chiarezza e di ordine in un orizzonte, nei cui quadranti cresce soprattutto il caos. Qual è l’orientamento spontaneo del caos, se non un’indecifrabile accentuazione di sé stesso?

* * *

In mezzo a questo caos, solo qualcosa non cambierà. È, nel mio cuore e sulle mie labbra, come in quello di quanti vivono e pensano in sintonia con me, la preghiera trascritta poco sopra:

“Ad te levavi oculos meos qui habitas in coelis.

“Ecce sicut oculi servorum in manibus dominorum suorum,

“Sicut oculi ancillae in manibus dominae suae: ita oculi nostri ad Dominam matrem nostram, donec misereatur nostri”.

È l’affermazione dell’immutabile fiducia dell’anima cattolica, in ginocchio, ma incrollabile, in mezzo alla convulsione generale.

Incrollabile con tutta la forza di quanti, in mezzo alla burrasca, e con una forza d’animo maggiore di questa, continuano ad affermare dal più profondo del cuore: Credo in Unam, Sanctam, Catholicam et Apostolicam Ecclesiam, contro la quale, secondo la promessa fatta a Pietro, le porte dell’inferno non prevarranno. 

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