Plinio Corrêa de Oliveira

 

Nobiltà ed élites tradizionali analoghe nelle allocuzioni di Pio XII al Patriziato ed alla Nobiltà romana

 

 

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Marzorati Editore, 1993

ISBN 88-280-0129-1

Per richieste dell'opera in formato cartaceo: www.atfp.it


APPENDICE II

B - Forme di governo: i principi astratti e la loro influenza nella formazione di una mentalità politica

  

La Gendarmeria Pontificia in alta uniforme 

Riguardo ai documenti pontifici e gli insegnamenti di san Tommaso sulle forme di governo, menzionati in questo libro e in modo speciale in questa appendice, sembra conveniente formulare alcune considerazioni.

 

1. Utilità concreta dei princìpi astratti 

Innanzitutto una valutazione. Questi documenti enunciano specialmente princìpi astratti. Non sono pochi quelli che oggi pensano che le astrazioni non hanno alcuna utilità in materia politica, sociale o economica. Di conseguenza, mettono in questione o negano in partenza la portata dei citati documenti. Ora, un'osservazione, pur sommaria, della realtà mostra con chiarezza che è vero il contrario.

Ad esempio, nella scelta tra una delle tre forme di governo, la presenza di princìpi di natura astratta esercita nella mentalità della grande maggioranza dei nostri contemporanei un'influenza molto accentuata, e non di rado persino preponderante. Infatti vediamo:

* Delle tre forme di governo - monarchia, aristocrazia e democrazia - quella in cui è maggiore la disuguaglianza tra chi detiene il potere e quelli sui quali esso viene esercitato, è la monarchia pura. In essa il monarca ha l'incarico di comandare e a tutti spetta ubbidirgli.

* Quando la monarchia coesiste con un'aristocrazia che la tempera, poiché vari incarichi del potere regio si trovano nella mani degli aristocratici, la disuguaglianza tra il Re e i sudditi viene attenuata, giacché ad alcuni di loro - gli aristocratici - tocca non soltanto ubbidire, ma anche partecipare in un certo qual modo alla regia potestà.

* In questa prospettiva, la disuguaglianza è ancora minore quando il potere del Re si esercita cumulativamente con quelli dell'aristocrazia e del popolo, dato che infatti a quest'ultimo spetta anzi esercitare una parte del potere pubblico, il che è consono alla democrazia.

* In questa rassegna è necessario considerare anche l'ipotesi di uno Stato in cui nessun potere pubblico spetti al Re o all'aristocrazia, ossia uno Stato prettamente repubblicano. In esso la disuguaglianza politica è ipso facto inesistente, almeno in teoria (1), e i governanti, eletti dal popolo, devono esercitare integralmente il potere ad mentem dell'elettorato.

Ora, sono moltissimi oggi quelli che determinano la loro preferenza per una di queste forme di governo secondo un principio astratto (condannato del resto da san Pio X) secondo cui la monarchia, e implicitamente anche l'aristocrazia, sarebbero ingiuste perché ammettono una disuguaglianza politica e sociale tra i membri di una stessa nazione. Ciò costituisce a sua volta una derivazione del principio metafisico secondo cui ogni disuguaglianza tra gli uomini è intrinsecamente ingiusta. 

 

2. La posizione dei cattolici davanti alle forme di governo 

Paragonando ora entrambi questi principi radicalmente ugualitari con i testi pontificie di san Tommaso sopra citati, ne deriva che quei principi ugualitari sono formalmente opposti al retto modo di pensare che in materia devono tenere i cattolici.

Infatti, non solo la monarchia (e implicitamente l'aristocrazia) è una forma di governo giusta ed efficace per promuovere il bene comune, secondo quanto insegnano i pontefici, ma è anche la migliore, secondo la netta affermazione di Pio VI e anche secondo il grande san Tommaso (2).

Da ciò e da tutto quanto abbiamo già esposto ne deriva:

* Non può essere rimproverato il cattolico che, avendo in vista le condizioni concrete del suo Paese, preferisce la forma di governo repubblicana e democratica, poiché questa forma non è ingiusta né censurabile per se stessa. Anzi, è intrinsecamente giusta e, secondo le circostanze, può favorire efficacemente il bene comune.

* Ma, secondo il retto ordine delle preferenze, il cattolico impegnato nel rendersi perfettamente fedele alla dottrina della Chiesa deve ammirare e desiderare ciò che è eccellente più di quello che è semplicemente buono, e ipso facto deve sentirsi specialmente grato alla Provvidenza quando le condizioni concrete del suo Paese comportano o perfino reclamano l'instaurazione della migliore forma di governo che, secondo san Tommaso, è la monarchia (3).

Nel caso in cui un sano discernimento delle realtà dimostri che il bene comune del suo Paese può essere favorito da un prudente cambiamento delle sue condizioni concrete, egli si renderà degno di lode se sarà disposto a utilizzare i mezzi legali ed onesti, nel quadro delle libertà del regime democratico in cui vive, per persuadere l'elettorato a modificare quelle condizioni concrete in modo da istaurare (o restaurare, se è il caso) il regime monarchico.

* Tutto ciò deriva - com'è stato detto - dal principio morale più generico secondo cui tutti gli uomini possono e debbono respingere il male, amare e praticare il bene, e riservare le loro preferenze a ciò che è eccellente. Tale principio, applicato alla scelta delle forme di governo, avrebbe per conseguenze il rifiuto del mal governo, dell'anarchia e del caos; l'accettazione di una legittima repubblica democratica o aristocratica; la preferenza risoluta per la migliore forma di governo, che è la monarchia temperata, sempre che questa forma - conviene ripeterlo - sia adeguata al bene comune. Infatti, nel caso che questa sia inadeguata alle condizioni del Paese, l'instaurazione di un tal bene più perfetto può essere in contraddizione con i disegni della Provvidenza, motivata da una mera simpatia politica.

* Ad ogni modo, ne deriva che il vero cattolico deve avere una mentalità politica monarchica, che coesista col robusto e penetrante senso della realtà e delle possibilità. 

 

3. Proiezione socio-culturale della mentalità politica aristocratico-monarchica 

Questi princìpi politici hanno una loro proiezione nella configurazione della società, della cultura e dell'economia di un popolo. Così, per l'intrinseca e naturale coesione fra questi diversi campi e quello della politica, l'eccellenza di un certo spirito aristocratico-monarchico dev'essere presente - nella misura del possibile - a tutti i livelli della società, come a tutte le manifestazioni dell'attività di un popolo, quale che sia la forma di governo scelta.

Ad esempio, un rispetto particolarmente accentuato per il padre nella famiglia, per il maestro nella scuola, per il docente o il rettore nell'Università, per il proprietario e il dirigente nelle imprese economiche, etc., deve riflettere questo spirito aristocratico-monarchico in tutte le società, perfino quando lo Stato è democratico.

Secondo questa prospettiva, Pio XII insegnò che anche negli stessi Stati repubblicani la società deve avere certe istituzioni genuinamente aristocratiche ed esaltò il ruolo delle famiglie illustri che “danno il tono nel villaggio, nella città, nella regione e in tutto il Paese” (4). Il compianto pontefice riaffermò quest'insegnamento rivolgendosi al Patriziato ed alla Nobiltà romana, in allocuzioni pronunciate sia durante la Monarchia in Italia (dal 1940 al 1946), sia durante la Repubblica (dal 1947 al 1952 e nel 1958), il che vuol dire che il mutamento della forma di governo non diminuisce in niente la missione sociale dell'aristocrazia.

Sul rapporto della mentalità aristocratico-monarchica con la cultura di un popolo, bisogna ancora ricordare che tale mentalità può ben esprimersi in tutta un'arte, una letteratura, insomma uno stile di vita caratteristicamente popolare nei ceti più modesti della nazione; come pure borghese e aristocratico in ognuna di tali categorie.

Queste varianti erano ben note agli Stati ed alle società europei anteriori al 1789. Ognuna di esse rifletteva a modo suo l'unità e la varietà dello spirito della nazione; spirito che produceva opere magnifiche in ognuno di questi ceti sociali, gelosamente conservate fino ai nostri giorni, non solo da collezionisti privati, ma anche in musei ed archivi di prim'ordine. Ciò accade, ad esempio, sia nella dimore ed arredamenti di famiglie che si mantengono col prodotto del lavoro delle proprie mani, sia naturalmente nella produzione culturale proveniente da classi superiori. L'arte popolare dei periodi storici anteriori all'era ugualitaria! Quanto si potrebbe dire di vero, di giusto e perfino di commovente in lode di quest'arte!...

Un'arte, come del resto una cultura autentiche, sebbene tipicamente popolari e adeguate alla condizione popolare, spiacciono allo spirito rivoluzionario del nostro secolo al punto che, quando circostanze impreviste dell'economia moderna provocano un considerevole miglioramento economico nelle condizioni di vita di una famiglia o di un gruppo popolare, l'ugualitarismo non permette che questa famiglia rimanga nella sua condizione modesta, anche se raffinandosi, ma cerca di spingerla invariabilmente a passare subito ad una condizione sociale superiore, alla quale questa famiglia o gruppo molte volte sarebbero pronti solo dopo lunghe decadi di preparazione. Ne derivano le sproporzioni e gli spropositi, per nulla rari, nella categoria dei cosiddetti “parvenu”.

Questi non sono che esempi, fra altri innumerevoli, dell'influenza dei princìpi astratti sulla storia dell'immensa area culturale costituita dall'Occidente. 

 

4. Legittimità dei princìpi anti-ugualitari 

Abbiamo finora analizzato l'opposizione tra l'ugualitarismo radicale, che influenza molti dei nostri contemporanei nella scelta delle forme di governo, e la dottrina sociale della Chiesa sull'argomento. In verità, questo ugualitarismo è il principio che, come un tifone o terremoto, ha prodotto le maggiori e più sensibili trasformazioni in Occidente.

Dobbiamo ora dire qualcosa sulla legittimità dei princìpi anti-ugualitari, applicati alle forme di governo; princìpi che sono giusti quando, ispirati da insegnamenti cristiani, non solo contrastano con l'ugualitarismo radicale, ma ammettono anche, e addirittura preferiscono, le forme sia politiche che sociali basate su una armoniosa ed equa disuguaglianza fra classi.

In sintesi, tali princìpi riconoscono innanzitutto l'uguaglianza fra gli uomini in ciò che riguarda i diritti che spettano loro per il semplice fatto di essere uomini, ma affermano anche la legittimità delle disuguaglianza accidentali che si formano fra loro, derivanti dalle diversità di virtù e di doti intellettuali, fisiche, etc. Queste disuguaglianza non esistono soltanto fra individui, ma anche fra famiglie, in virtù del bel principio enunciato da Pio XII, che qui ricordiamo: “Le disuguaglianza sociali, comprese quelle legate alla nascita, sono inevitabili; la natura benigna e la benedizione di Dio all'umanità illuminano e proteggono tutte le culle, le baciano, ma non le livellano” (5).

Sempre secondo questi princìpi, le disuguaglianza tendono a perpetuarsi ed a raffinarsi - senza cadere per questo nell'esagerazione - lungo le generazioni e i secoli, perfino originando una legislazione severa, consuetudinaria o scritta, che punisce escludendo dalla nobiltà quelli che ne diventano indegni per un qualsiasi motivo e che, contemporaneamente, ne apre le porte alle élites analoghe autenticamente tradizionali.

Così, essendo legittime le disuguaglianza esistenti fra le persone, le famiglie e le classi sociali, è facile dedurre la legittimità e l'eccellenza delle forme di governo in cui tali disuguaglianza naturali - in maniera equilibrata ed organica - vengono preservate e favorite: ossia la monarchia e l'aristocrazia, tanto nella loro forma pura che in quella temperata. 

 

5. Riflessi della mentalità politica sui gruppi sociali intermedi 

Abbiamo finora considerato, in vari dei suoi aspetti più importanti, il complesso ma bell'argomento delle forme di governo e, a modo di complimento, alcuni riflessi della mentalità inerenti a queste forme prodotti nella vita sociale, culturale ed economica delle nazioni.

Sarebbe il caso anche di considerare i riflessi che tale mentalità provoca sui gruppi sociali intermedi tra lo Stato e l'individuo, trasformando le nazioni dell'Europa pre-rivoluzionaria in vigorosi complessi di “società organiche”. Ma la stessa vastità e ricchezza dell'argomento impedisce di farlo in questo libro.

Se tutti i contemporanei avessero un'esatta nozione di ciò che furono - nel contesto della “società organica” - una regione, un feudo, un municipio, una grande corporazione autonoma, etc., da una parte le premesse di molti ragionamenti sulle forme di governo diventerebbero più chiare, e dall'altra le discussioni sull'argomento – talvolta appassionate, talvolta sonnolente - acquisterebbero a loro volta in sicurezza di orientamento e utilità pratica.

Le “società organiche”, del resto, costituiscono un argomento che in realtà è ben lungi dall'essere privo di opportunità. Infatti, le elucubrazioni e i tentativi fatti per realizzare un'Europa coagulata in un tutt'uno politico-sociale-culturale-militare-economico hanno dato luogo ad esplosioni sia di regionalismi che di centralismi esasperati, i quali, nei tumultuosi notiziari della stampa odierna, sembrano tante navi in un vero mare di indecisioni, come imbarcazioni senza bussola né timone né zavorra. Da questa carenza di fondo ne deriva una deprecabile mancanza di armonia fra le parti che minaccia disconnettere e distruggere il tutto.


Note:

1) Cfr. Capitolo VII, 6 c.

2) Un altro Dottore della Chiesa, san Francesco di Sales, afferma l'alto grado di perfezione della monarchia come forma di governo, poiché è più in armonia con l'ordine del creato:

"Dio, dunque, volendo rendere buone e belle tutte le sue cose, ricondusse la loro molteplicità e diversità ad una perfetta unità; e per così dire le dispose tutte nella monarchia, facendo sì che tutte le cose dipendessero le une dalle altre, e tutte da Lui che è il sovrano monarca. Ricondusse tutti i membri ad un corpo, sotto un capo; di varie persone forma una famiglia; di varie famiglie, forma una città; di varie città, una provincia; di varie provincie, un regno; e sottomette tutto un regno a un solo Re" (Traité de l'amour de Dieu, in Oeuvres Complètes de S.François de Sales, Librairie de L. Vives Editeur, Paris 1866, t. I, III ed., p. 321).

3) "Quasi tutti gli autori scolastici, tanto gli antichi quanto i moderni, insieme a gran numero di altri autori non scolastici, affermano che la monarchia temperata è la forma preferibile in astratto" (Padre Ireneo González Moral S.J., Philosophiae scholasticae summa, B.A.C., Madrid 1952, vol. III, pp. 836-837).

4) PNR 1946, p. 340; Cfr. Capitolo V, I, 10.

5) PNR, 1942, p. 347.