Plinio Corrêa de Oliveira

 

Nobiltà ed élites tradizionali analoghe nelle allocuzioni di Pio XII al Patriziato ed alla Nobiltà romana

 

 

Bookmark and Share

Marzorati Editore, 1993

ISBN 88-280-0129-1

Per richieste dell'opera in formato cartaceo: www.atfp.it


Documenti III

Speciali doveri della società

verso la nobiltà impoverita

 

 

Santa Elisabetta, Regina del Portogallo (1274-1336). Rappresentazione del famoso miracolo delle rose (quadro nella chiesa Sé Velha, Coimbra – Portogallo)

1. La migliore elemosina è quella che si dà al nobile impoverito 

San Pietro Damiani (1007-1072), Dottore della Chiesa, segnala la particolare cura che si deve avere nell'alleviare i bisogni della nobiltà impoverita:

“Benché l'elemosina sia esaltata lungo le pagine della Sacra Scrittura, e la misericordia si elevi al di sopra di tutte le altre virtù e ottenga la palma fra le opere di pietà, ha la preminenza quella misericordia che fornisce ausilio a quelli che, dall'abbondanza di un tempo, sono caduti nella penuria.

“Molti sono infatti quelli che il ceto di illustra progenie rende famosi e che, tuttavia, sono stretti dall'indigenza del patrimonio famigliare. Molti anche sono adornati da titoli di cavalieri di antico lignaggio, ma si sentono umiliati dalla penuria dei beni più indispensabili alla vita domestica: per esigenza della dignità del loro ceto sono obbligati a comparire a ricevimenti nei quali, essendo uguali per livello sociale, di gran lunga sono disuguali per fortuna. Sebbene li tormenti l'inquietudine della povertà domestica, e perfino quando, stretti dalla necessità, giungono agli estremi, non sanno chiedere il cibo come i mendicanti. Anzi, preferiscono morire piuttosto che mendicare pubblicamente, rimangono confusi quando si giunge a conoscenza della loro situazione, si vergognano di confessare la loro miseria, e mentre alcuni manifestano pubblicamente la propria indigenza, e non di rado persino esagerano la misura della loro povertà, allo scopo di ricevere dalla compassione altrui elemosine più abbondanti, essi dissimulano per quanto possono, nascondendo la loro situazione, perché non appaia di colpo agli occhi degli uomini, in modo per loro vergognoso, un qualsiasi segno della loro povertà.

“Pertanto, si tratta più di intuire che di vedere l'indigenza loro. La si può più congetturare da certi segnali che appaiono furtivamente, che dedurla da indizi evidenti.

“Ad ogni modo, quanto grande sia la ricompensa del soccorso fornito a questi poveri non manifesti ma occulti, lo indica il Profeta nel dire: 'Beato colui che intuisce quello che capita al bisognoso e al povero' (Ps. XL, 2). Infatti, sui poveri straccioni e piagati che vagano per le strade, non c'è molto da capire, giacché con la semplice vista li vediamo; dobbiamo individuare altri poveri, tuttavia, che lo sono nell'intimo, visto che non possiamo vedere chiaramente la loro miseria nel suo apparire” (1). 

 

2. Sollecitudine della Regina santa Elisabetta per la nobiltà impoverita 

Nella vita di santa Elisabetta, Regina del Portogallo (1274-1336), leggiamo i seguenti fatti che ci rivelano un tratto edificante del suo carattere:

“Aveva una speciale cura nel soccorrere le persone che, avendo vissuto secondo la regola della nobiltà, provvisti di patrimoni, erano decadute, e la loro necessità e miseria veniva aggravata dalla vergogna di chiedere. A tali poveri soccorreva anche con grande generosità e non minore segretezza e discrezione, perché riuscissero ad ottenere il beneficio senza il contrappeso della vergogna.

“Per i figli dei gentiluomini poveri, teneva nel palazzo delle borse speciali, perché potessero crescere conformemente alla loro elevata posizione. Alle donzelle povere di buona nascita dava doti per sposarsi, ed ella, con le sue regali mani, amava aggiustar loro il velo nuziale. Molte altre orfane, figlie dei suoi vassalli personali, le aveva raccolte ed educate presso di sé; quando contraevano matrimonio, le forniva di abbondante dote e le adornava con i suoi gioielli nel giorno delle nozze. Affinché queste delicatezze della sua bontà non finissero con la sua vita, istituì nel monastero di santa Chiara un fondo per dotare le nobili povere e diede ordine che una parte dei suoi gioielli fossero lasciati a quel convento e venissero prestate alle donzelle come ornamento per il giorno delle nozze” (2).


Note:

1) Migne, Patrologia Latina, t. CXLV, col. 214-215.

2) J. Le Brun, Santa Isabel, Rainha de Portugal, Apostolado de Imprensa, Porto, 1958, pp. 127-128.