Prefazione alla seconda edizione spagnola di Rivoluzione e Contro-Rivoluzione

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Scrivendo la prefazione di questa nuova edizione spagnola di Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, mi si è presentata spontaneamente allo spirito la domanda relativa al rapporto fra la tematica dell’opera e il passato storico della Spagna, soprattutto con i problemi che preoccupano attualmente l’opinione pubblica della nazione.

Questi rapporti si sono presentati davanti a me così brucianti e così numerosi da debordare rispetto ai normali limiti di una prefazione.

Perciò mi limito ad alcuni aspetti della storia spagnola del nostro secolo e della sua vita attuale.

Già da molto tempo, ma soprattutto negli ultimi anni del regno di Alfonso XIII [di Borbone (18861941)], l’opinione pubblica spagnola si presentava divisa in diverse correnti, costituendo un’enorme gamma ideologica, dall’autentico tradizionalismo fino al comunismo.

Allo stesso modo, com’è accaduto spesso in altri paesi quando si presentano situazioni analoghe, la maggioranza delle persone non si situava in nessuno di questi due poli ideologici. Occupava la vasta zona intermedia, disperdendosi in correnti o specificamente centriste o di colorazioni sfumate verso la destra, sempre più tradizionaliste, o verso la sinistra, sempre più prossime al comunismo. Fino a toccare tangenzialmente le correnti estreme.

In tali situazioni, la maggior parte delle volte, la definizione di pensieri e di orientamenti, il dinamismo, l’iniziativa, insomma, si trovano nei poli minoritari. Ma la forza propagandistica, il potere finanziario, l’influenza sociale e il potere politico — soprattutto la forza del numero — si trovano nella zona intermedia.

La grande difficoltà per la maggioranza intermedia consisteva, nella Spagna di allora, nel determinare se la sua posizione era stabile o rappresentava solo una tappa di un lungo percorso storico. Le voci provenienti dalle diverse correnti che componevano il polo della destra gli gridavano di retrocedere sulla via intrapresa a partire dall’invasione francese nel secolo XIX perché, se non l’avesse fatto, avrebbe finito per precipitare irrimediabilmente nel polo dell’estrema sinistra. In quest’ultimo, gli appelli diretti al centro erano discordanti: ora erano minacce di distruggerlo nel caso non proseguisse rapidamente il suo cammino verso il comunismo, ora erano richiami amabili a una semplice collaborazione con i rossi contro la destra. Collaborazione che la maggior parte delle correnti del centro sentiva, più o meno consapevolmente, che sarebbe stata vantaggiosa per il comunismo.

Forse sarebbe falso dire che la massa centrista della popolazione s’immergeva in riflessioni per scegliere fra questi richiami divergenti. Cercava piuttosto di condurre la propria vita quotidiana senza preoccupazioni, cedendo alla gradevole propensione a non prendere in considerazione i fattori della propria debolezza e a immaginarsi sempre posta tranquillamente in un comodo pacifismo a metà strada fra gli opposti richiami, che combattevano fra loro con la voglia di conquista.

Ma il problema che la posizione comoda — difficilmente separabile dalle posizioni centriste — cercava di ignorare, balzava agli occhi. A grandi linee la Spagna era come la descrivevano i tradizionalisti o almeno i settori anticomunisti dell’opinione pubblica. Fra burrasche e bonacce, il paese si venne gradatamente trasformando. E ogni trasformazione lo allontanava di più dal polo che abbandonava. In questo modo, qualcuno avrebbe trovato nella nazione un punto di equilibrio e di stabilità nel quale potesse riposarsi ampiamente durante il doloroso itinerario, prima di giungere al polo opposto? Che cosa è stata fino ad allora la storia di Spagna nel secolo XX? La difficile conquista di un equilibrio in espansione o la tragica caduta verso l’abisso?

Il corso degli avvenimenti è venuto a provare che il centro si veniva dividendo nella misura in cui i richiami divergenti dei due poli si facevano udire e che la Spagna autentica, tradizionale e cattolica, e l’Anti-Spagna atea, apatride e ugualitaria, avanzavano verso un terribile confronto.

Il centro non costituiva una posizione definita e stabile, fra altre due ugualmente definite. Era una posizione confusa, sub­co­scien­temente inquieta e titubante fra due posizioni fisse e determinate. Gli avvenimenti storici di allora confermarono la tesi dell’instabilità di tante situazioni intermedie e indefinite, che per il fatto stesso della loro non definizione indicano essere solamente tappe nello sviluppo processivo di tendenze psicologiche, convinzioni ideologiche e strutture politico-economiche vacillanti verso posizioni più definite.

Si verificò lo scontro fra le sinistre dominate dal comunismo e la destra anticomunista nella gloriosa Cruzada del 1936 [1936-1939].

Per molto tempo le correnti di centro non vollero vedere che questo avvenimento si avvicinava e, perciò, non furono in grado di evitarlo.

Osservando l’attuale situazione politica spagnola, e senza la pretesa di pronunciarmi sui diversi aspetti così complessi, di cui si riveste, mi sembra di vedere che a poco a poco, ancora una volta, si va presentando essenzialmente lo stesso problema, con gl’inevitabili cambiamenti di sfumature imposti dal passare del tempo.

Nella misura in cui l’orizzonte politico spagnolo si definisce, si fondano anche nel settore di centro le posizioni ideologiche e politiche sempre più cariche di comunismo o di ostilità contro di esso. E, di conseguenza, la grande domanda che va emergendo dal panorama politico spagnolo mi sembra sia questa: fino a che punto queste posizioni intermedie sono solamente situazioni transitorie di un itinerario verso la sinistra o verso una posizione chiaramente contraria alla sinistra? O, fino a che punto rappresentano un rifiuto fermo, stabile e indiscutibile di questi due poli, e una stabilizzazione intesa a conservare a qualsiasi costo le situazioni intermedie, che si autoproclamano moderate, capaci di unire e di salvare?

Quanto allo stesso eurocomunismo — con i suoi atteggiamenti moderati e perfino più o meno «centristi» —, rappresentato in Spagna dalla corrente diretta da Carrillo [Santiago Carrillo Solares], la domanda è valida e forse più valida per esso che per qualsiasi altra formazione politica spagnola contemporanea.

Indubbiamente l’eurocomunismo vuol essere, e di questo fa mostra, un comunismo addolcito. È possibile un comunismo addolcito? O l’eurocomunismo, in apparenza un’«apostasia» del comunismo sovietico «ortodosso», avrà come esito storico la capacità di attrarre, grazie alla propria «moderazione», masse che verranno a loro volta assorbite dal comunismo ortodosso? Che cosa è l’eurocomunismo in Spagna o fuori di essa? Uno scisma? Un punto d’arrivo? Una rete lanciata per catturare pesci incauti o una tappa senza significato, cioè una semplice ansa senza importanza del grande fiume comunista?

In questa prospettiva, che cos’è lo stesso comunismo ortodosso? Un punto d’arrivo? O una semplice tappa di quella che esso stesso immagina essere l’interminabile evoluzione umana, dalla quale si passerà all’anarchismo e da questo a un’altra situazione di transizione attualmente quasi impossibile da prevedere?

È ben noto che la dottrina marxista, coerente con il suo intrinseco evoluzionismo, odia i punti d’arrivo e intende essere precorritrice dell’anarchismo e di tutto quanto possa far seguito a esso.

Ma, se la dottrina è questa, la realtà può essere molto diversa. E non è impossibile che certi leader comunisti siano propensi a prolungare per un lungo e oscuro «millennio» la struttura sulla quale fondano il loro attuale dominio. Un tale «millennio» è forse l’unico senso che si può attribuire nella storia evoluzionista all’espressione «punto fisso e ultimo» del continuo processo ideologico.

Questi temi hanno aspetti universali, sui quali a tutti è lecito riflettere. Ma si rivestono in ogni paese di aspetti nazionali, sui quali lo straniero deve essere molto circospetto.

Non intendo esprimere opinioni su questi problemi negli aspetti specifici alla Spagna attuale e sui quali un non spagnolo — benché così vicino alla Spagna grazie ai legami del Brasile con il popolo vicino e fratello della Spagna, il Portogallo — deve esimersi dall’emettere una presa di posizione.

La lettura dell’opera Rivoluzione e Contro-Rivoluzione comporta solamente il ricordo che problemi analoghi hanno sfidato l’intelligenza di tutti quanti sono vissuti nell’ambito della civiltà occidentale e sono stati chiamati a essere partecipi di grandi crisi come il Rinascimento e l’Umanesimo, il protestantesimo nel secolo XVI, la Rivoluzione Francese nel secolo XVIII e la rivoluzione comunista nel secolo XX. E, se non a essere partecipi, almeno a farsi un giudizio su queste crisi.

L’Umanesimo cristiano intese offrire una posizione stabile, che non scivolasse verso il neopaganesimo. Il protestantesimo intese offrire una posizione religiosa stabile, che non scivolasse verso l’ateismo. La Rivoluzione Francese intese realizzare l’ugualitarismo politico e sociale stabile, che non giungesse all’ugualitarismo economico. Infine, il comunismo non attira l’attenzione delle masse attraverso lo Stato totalmente ugualitario, signore di tutta l’economia. Nella sua condotta, niente lascia supporre che abbia l’obiettivo, a medio o a ultimo termine, di distruggere lo Stato e d’impiantare e d’instaurare l’anarchia. Ma sul fianco sinistro del comunismo fanno già la loro comparsa forme di sinistrismo che, nate da esso e nutrite con il suo latte, lo attaccano con straordinaria violenza e avanzano verso l’anarchismo. Questo si è reso particolarmente chiaro nel quadro politico italiano.

Per certo, molti che hanno aderito a queste rivoluzioni non l’avrebbero fatto se avessero constatato che preparavano l’arrivo della tappa seguente. Per evitare che si ripetano attualmente equivoci analoghi la lettura di Rivoluzione e Contro-Rivoluzione può essere utile. Mostrare che queste rivoluzioni sono in relazione fra esse come tappe di un grande processo, che forma nel suo insieme una grande Rivoluzione unica, è la verità presentata dal mio studio e che esso intende approfondire.

In che senso questa constatazione possa essere utilizzata dagli spagnoli attuali, in relazione ai complicati problemi della loro Patria, dell’Occidente e del Mondo, è ciò su cui mi astengo dal pronunciarmi.

La presentazione delle tre grandi Rivoluzioni, seguite dalla Quarta Rivoluzione — sul piano politico l’eresia anarchista nata dal fianco del comunismo e della quale ho appena parlato, ma anche, su altri piani, i movimenti nati dalla contestazione giovanile alla Sorbona nel 1968 e la cui punta di lancia è forse, oggi, il movimento punk anglo-americano — potrebbe indurre in un errore. Sarebbe quello della irreversibilità del movimento rivoluzionario. Per evitare questo errore, il mio studio contiene la definizione di quanto intendo con Contro-Rivoluzione, quali ne sono le mete e — sempre su di un piano teorico — quali ne sono i metodi.

Anche a questo proposito mi astengo da applicazioni concrete al panorama spagnolo, lasciando che i miei lettori le facciano secondo le ispirazioni della loro fede e del loro patriottismo.

Mi resta solo da esprimere la speranza che la lettura di quest’opera possa contribuire, anche molto indirettamente, a che i lettori operino in un senso benefico per la Spagna e, pertanto, per la civiltà cristiana, della quale il popolo spagnolo continua a essere, nel nostro secolo, un mirabile baluardo.

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21-3-78

Nota: Dall’opera “Rivoluzione e Contro-Rivoluzione”, Edizione del cinquantenario (1959-2009), Presentazione e cura di Giovanni Cantoni, Sugarco Edizioni, pag. 345-349. I neretti sono di questo sito.

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