Plinio Corrêa de Oliveira

 

Nobiltà ed élites tradizionali analoghe nelle allocuzioni di Pio XII al Patriziato ed alla Nobiltà romana

 

 

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Marzorati Editore, 1993

ISBN 88-280-0129-1

Per richieste dell'opera in formato cartaceo: www.atfp.it


CAPITOLO VII 

Genesi della nobiltà

La sua missione nel passato e nel presente

(continuazione)

 

5. La monarchia assoluta, ipertrofia della regalità tendente allo Stato totalitario populista 

Il risultato armonico ottenuto nella società feudale cominciò a dissolversi con la diffusione dei principi dei legisti (9) e anche in conseguenza di altri fattori. A partire da ciò, e fino alla Rivoluzione del 1789, in tutta Europa il potere regio si mosse nella prospettiva di assorbire sempre più le antiche autonomie, diventando sempre più centralizzatore. 

a) La monarchia assoluta assorbe i corpi e i poteri subordinati 

Molto diversa da quel sistema di élites sovrapposte, nobili o meno, che potevano trovarsi disseminate nelle più diverse nazioni, era l'indole della regalità assoluta che, in quasi tutte le monarchie europee, andò riunendo nelle mani del re (che a sua volta si identificava sempre più con lo Stato: “L'Etat, c'est moi”, è una massima generalmente attribuita a Luigi XIV) la pienezza dei poteri prima disseminati tra i corpi intermedi, come abbiamo visto.

Al contrario del monarca feudale, il monarca assoluto del tempi moderni, ha intorno a sé una nobiltà che lo accompagna notte e giorno; essa gli serve principalmente da elemento decorativo, ma priva di un qualsiasi potere effettivo. In questo modo, il sovrano assoluto si trova separato dal resto della nazione da un solco profondo, o meglio da un abisso. Questa era la situazione tipica del re di Francia nei tempi moderni, che ha avuto in Luigi XIV, il “Re Sole”, il suo più perfetto prototipo (10).

Alla realizzazione di un tale modello tendevano, con maggiore o minore ansia, i vari monarchi alla fine del secolo XVIII. Questo tipo di sovrano suscitava nell'osservatore un primo impatto di ammirazione per la sua onnipotenza, che tuttavia restava appena alla superficie della situazione. Ma poi, quest'apparenza di potere illumitato non faceva che velare l'impotenza profonda in cui si collocavano i re assoluti per via del loro stesso isolamento. 

b) Non restava loro che appoggiarsi alle burocrazie civili e militari - Le pesanti 'stampelle' della regalità assoluta 

Infatti, sempre più sciolti dai legami vitali con tutti i corpi intermedi che costituivano la Nazione, questi monarchi assoluti avevano perduto i propri appoggi naturali, o li avevano indeboliti per la condizione di crescente asfissia provocata dal loro stesso assolutismo.

Incapace quindi di mantenersi in piedi, di muoversi e di lottare con il sostegno dei propri elementi costitutivi naturali - e cioè i gruppi intermedi - la monarchia assoluta era obbligata ad appoggiarsi a reti burocratiche, sempre maggiori. Questi organismi burocratici costituivano le pesanti stampelle, luccicanti ma fragili, di questa regalità della fine del secolo XVIII. Infatti il funzionarismo, quanto più è grande, tanto più è pesante; e quanto più è pesante, tanto più grava su quegli stessi che, pur di rimanere in piedi e muoversi, sono obbligati ad appoggiarvici.

Così, la regalità assoluta e burocratica divorò nel corso del tempo lo Stato paterno, famigliare e organico.

Ricorderemo ora alcuni esempi storici che illustrano come questo processo si formò in certi Paesi europei. 

c) Centralizzazione del potere in Francia 

In Francia, i grandi feudi vennero riassorbiti dalla Corona, soprattutto per effetto delle alleanze matrimoniali tra membri della Casa Reale ed eredi delle grandi unità feudali. Contemporaneamente, una sorta di forza centripeta coagulava a Parigi le principali leve di comando e di influenza del regno. Luigi XIV sviluppò questa politica in tutte le sue conseguenze.

L'ultimo assorbimento di un territorio feudale effettuata dalla Corona francese, portata a termine mediante negoziati diplomatici che ancora avevano apparenze di accordi di famiglia, ebbe per oggetto il ducato di Lorena. Nel Trattato di Vienna (1738) fu sancito l'accordo tra Francia e Austria per cui la Lorena passava a titolo vitalizio a Stanislas Leszczinski, Re detronizzato di Polonia e padre della Regina Maria Leszczinska, sposa di Luigi XV. Alla morte del suocero del Re francese, il ducato di Lorena sarebbe stato incorporato automaticamente al regno di Francia. E fu quello che realmente avvenne. 

* Debolezza della farraginosa onnipotenza bonapartista 

L'archetipo farraginoso e terribile della monarchia burocratica, che non aveva più nulla di paterno, fu lo Stato, completamente militare, finanziario e amministrativo, del Bonaparte.

Dopo aver vinto gli austriaci a Wagram (1809), Napoleone occupò Vienna per alcuni mesi. Quando alla fine le truppe francesi si ritirarono, l'Imperatore Francesco I d'Austria poté tornare alla sua capitale. In questa occasione, i viennesi gli offrirono un'accoglienza festosa per consolarlo della pesante sconfitta e degli infortuni a cui lui e il Paese erano  andati soggetti (11). Risulta che, nel venire a conoscenza di questo fatto, il despota corso non poté trattenersi dall'emettere un gemito: “Che monarchia forte!” Così egli avrebbe qualificato la monarchia degli Asburgo, forse la più paterna e organica dell'Europa di quel tempo...

Il seguito della storia dimostrò che Bonaparte aveva ragione. Alla fine dei “centogiorni”, sconfitto definitivamente a Waterloo, nessuno in Francia pensò a offrirgli un festoso omaggio in riparazione dell'immensa tragedia che si era abbattuta su di lui. 

 

Al contrario, quando il conte di Artois, futuro Carlo X, entrò a Parigi ufficialmente, per la prima volta dopo la Rivoluzione, come rappresentante di suo fratello Luigi XVIII, fu grande la festa compiuta per celebrare la dinastia legittima, la quale tornava dall'esilio senza gli allori di nessuna vittoria militare, ma soltanto col prestigio di un'immensa sventura sopportata con maestosa dignità (12).

Dopo la sua seconda e definitiva abdicazione, isolato nel suo fallimento, Napoleone venne ridotto all'impotenza, al punto di dover chiedere asilo al re dell'Inghilterra, cioè al capo di uno degli Stati che gli erano fra i più implacabili nemici. Nemmeno l'imminente prospettiva della distruzione del suo trono suscitò nei suoi più vicini seguaci il coraggio di sollevare in suo favore una qualsiasi guerriglia o rivoluzione, ispirata all'amore filiale di sudditi leali verso il loro monarca.

Guerriglie o rivoluzioni in difesa dei loro principi, invece, furono sollevate dalla lealtà monarchica in Vandea e nella penisola iberica (13), o sollevate dal ferreo lealismo dei valorosi contadini del Tirolo capitanati da Andreas Hofer, contro Napoleone, in difesa della Chiesa cattolica e della Casa d'Austria. A questi difensori della fede - come pure della corona e della indipendenza portoghese e spagnola, del trono francese e della monarchia asburgica - toccò versare il sangue per dinastie che ancora avevano sensibili tratti della paternalità di un tempo. In questo, come in molte altre cose, esse erano radicalmente diverse dal despotismo duro e arrogante di Napoleone, come anche da quello molle e timoroso di suo fratello Giuseppe, da lui “promosso” autoritariamente a “Re” di Napoli e “Re” de Spagna.

Ad eccezione dell'avventura dei “cento giorni”, l'esercito francese, per sua parte, accettò disciplinatamente la caduta di Napoleone. Infatti, per quanto epiche e brillanti fossero le memorie che l'univano al Corso, non avevano la forza di coesione dei vincoli famigliari. Napoleone non poteva dire dei suoi eserciti quello che avrebbe affermato la Regina Isabella di Castiglia, non senza una certa gelosia, del leale e combattivo popolo portoghese. Il segreto di questa lealtà e dedicazione, secondo lei, stava nel fatto che i valorosi combattenti portoghesi “sono figli e non vassalli” del loro re (14). 

d) La dissoluzione del Sacro Romano Impero 

Il Sacro Romano Impero, elettivo fin dalle origini, diventò ereditario di fatto nel 1438, quando venne eletto Alberto II l'Illustre, della Casa d'Austria. Da allora in poi, il collegio dei Prìncipi elettori designò sempre il capo della stessa casa al trono imperiale. Una eccezione, solo apparente, fu rappresentata dall'elezione di Francesco di Lorena nel 1745, giacché questi in verità sposò l'erede della Casa d'Austria, l'arciduchessa Maria Teresa. Si costituì cosi la Casa degli Asburgo-Lorena, legittima continuatrice della Casa d'Austria, alla testa del Sacro Impero (15).

Ma il carattere fortemente federale sopravvisse nel Sacro Impero fino alla sua dissoluzione, nel 1806, in forza della rinuncia fatta dall'Imperatore Francesco II (Francesco I d'Austria) per le pressioni di Napoleone. Questi ridusse drasticamente il numero delle unità sovrane dell'Impero imponendo, nello stesso anno, la Confederazione Renana.

La successiva Confederazione Germanica (1815-1866), che aveva l'Imperatore d'Austria come presidente ereditario, svolse in questo processo centripeto un ruolo di carattere conservatore. Essa fu tuttavia sciolta per colpa della guerra austro-prussiana e della battaglia di Sadowa (1866). Allora si formò, sotto l'egemonia prussiana, la Confederazione Germanica del Nord, dalla quale vennero esclusi l'Austria e altri Stati della Germania del Sud.

Dopo la sconfitta di Napoleone III, nel 1870, la suddetta Confederazione diventò il Reich tedesco, molto più centralizzato, che riconobbe come sovrani solo 25 Stati integranti.

Non doveva fermarsi qui l'impulso centripeto. L'Anschluss dell'Austria e poco dopo l'annessione dei Sudeti al III Reich (1938) portarono quell'impulso a un culmine dal quale scaturirà la II Guerra Mondiale. L'annullamento di queste conquiste centripete di Adolf Hitler, come la reincorporazione della Germania Orientale all'attuale stato tedesco, segnano forse il punto finale di queste successive modifiche della geografia germanica. 

e) L'assolutismo nella penisola iberica 

Analogo fu lo scorrere degli eventi in Portogallo e in Spagna, verso l'assolutismo regio.

Col declino del Medioevo, in entrambi i regni iberici, l'organizzazione politica e socio-economica tese gradualmente verso la centralizzazione. Questa tendenza fu sfruttata con abilità dai rispettivi sovrani, con l'intenzione di ampliare e consolidare continuamente il potere della Corona sui vari corpi dello Stato, in particolare sulla grande nobiltà. In questo modo, quando scoppiò nel vecchio Continente la Rivoluzione francese, il potere dei re portoghese e spagnolo era giunto al suo culmine storico.

Ciò non accadde, naturalmente, senza numerosi attriti tra il re e la nobiltà.

Questa tensione ebbe episodi notevoli e drammatici in Portogallo, sia durante il regno di Giovanni II - con l'esecuzione capitale del duca di Braganza e di altri grandi nobili del regno, nonché con la morte del duca di Viseu, fratello della regina, accoltellato alla presenza del monarca - sia durante il regno di Giuseppe I, con l'esecuzione pubblica del duca di Aveiro e di personaggi fra i più notevoli dell'aristocrazia, soprattutto dell'illustre casato dei Távoras.

In Spagna, durante il regno dei re cattolici Ferdinando di Aragona e Isabella di Castiglia, si delinea pienamente questa tendenza accentratrice, che si era fatta notare in diversi monarchi del casato di Trastamara e che andò crescendo lungo i regni successivi, giungendo al suo culmine con i re della casa dei Borbone nel secolo XVIII. Il divieto di costruire nuovi castelli, la distruzione di molti altri, la limitazione dei privilegi nobiliari, come pure il trasferimento alla Corona di Castiglia del dominio dei porti marittimi, furono alcune delle misure iniziali prese dai re cattolici che provocarono la diminuzione del potere della nobiltà. Contemporaneamente, il Magistero dei principali Ordini militari fu incorporato dalla Corona.

Alla fine di questo processo - ancor prima del 1789 - la cosiddetta nobiltà storica si mostrava sempre più appagata nel gravitare attorno al monarca, dimorando nella capitale e non di rado ospitata nelle stesse reggie, a somiglianza di quanto accadeva in altri Paesi dell'Europa, soprattutto in Francia ad opera del Re Sole e dei suoi successori, circondati dalle ineguagliabili magnificenze del castello di Versailles.

La vita di corte, in cui questa nobiltà svolgeva alte funzioni, assorbiva buona parte del loro tempo ed esigeva da essa un tenore di vita fastoso, per il quale spesso non bastavano i proventi derivati dalle terre di famiglia. Di conseguenza, i re retribuivano le cariche auliche di buona parte di questa nobiltà. Ma, anche così, non era raro che la somma di questa retribuzione e dei proventi terrieri non bastasse. Ne derivavano in più di una corte rovinosi indebitamenti, risolti a volte mediante mésalliances con l'alta borghesia, o riparati da sussidi dispensati dai re a titolo di favore. 

* Conseguenza dell'assolutismo: infiacchimento della nobiltà e dello stesso potere regio 

Dopo le sfortunate invasioni napoleoniche nel Portogallo (1807-1810) e nella Spagna (1808-1814), i relativi regimi monarchici vennero sempre più liberalizzandosi. In questo modo, le Corone persero molto in influenza non solo politica ma anche socio-economica, e i titoli nobiliari, che i sovrani portoghesi e spagnoli andavano distribuendo con crescente larghezza, giunsero a includere molte persone che non appartenevano alla nobiltà, ma che l'ottennero o per mera preferenza personale del monarca o per servizi prestati allo Stato o alla società nei più svariati campi di attività (16).

Questo ampiamento dei quadri nobiliari - escludendo gli eccessi che ogni tanto si verificavano nel conferimento dei titoli - corrispondeva alla necessità di rispondere alle equilibrate esigenze di trasformazioni socio-economiche, riconoscendo l'utilità, spesso effettiva, di queste attività per il bene comune. Tuttavia, numerosi di questi ampiamenti mancavano di criterio e di discernimento, sminuendo la considerazione di cui un tempo la nobiltà godeva. Diventava così meno significativo il premio che alcuni autentici promotori del bene comune ricevevano nell'essere introdotti in un corpo sociale che, come la nobiltà, ha tutto da perdere con la mancanza di una intelligente e discreta selezione: nobiltà e selezione sono infatti concetti correlati.

Dopo la proclamazione della repubblica in Portogallo, nel 1910, vennero aboliti titoli nobiliari, distinzioni onorifiche e diritti di nobiltà (17).

A sua volta, la proclamazione della Repubblica in Spagna nel 1873 e nel 1931, con le successive restaurazioni monarchiche, diedero origine ad altrettante estinzioni e restaurazioni dei diritti e privilegi della nobiltà; il tutto con evidenti traumi per il corpo nobiliare. 

f) La strapotenza dello Stato borghese - L'onnipotenza dello Stato comunista 

In sintesi, e anche come rapido sguardo prospettico sullo stato attuale del processo accentratore, bisogna dire che già nel secolo XIX si delineava lo strapotere dello Stato borghese in nazioni, alcune delle quali solo residualmente monarchiche, altre già apertamente repubblicane.

Durante la Belle Epoque, come pure nel periodo tra le due guerre mondiali, o nell'ultimo dopoguerra, le Corone andarono sempre più cadendo e gli strapotenti Stati democratici aprirono le vie storiche all'onnipotente Stato proletario.

La narrazione della storia dell'assolutismo dello Stato proletario - allo stesso tempo furioso detrattore e lontano prosecutore dell'assolutismo monarchico del Secolo dei Lumi - e del sorgere della perestrojka, della glasnost e dell'autogestione socialista - come reazioni che a loro volta accusano e proseguono l'assolutismo proletario – è evidentemente estranea alla tematica del presente lavoro.


Note:

9) Legista: qualifica data ai consiglieri del re, alla fine del medioevo, che si impegnarono a promuovere l'assolutismo regio e a combattere il feudalesimo, basandosi a questo fine sull'antico Diritto romano.

10) Quest'assorbimento della nobiltà ad opera della centralizzazione e rafforzamento del potere regio non colpì nello stesso modo le nobiltà dei diversi Paesi e delle diverse regioni di uno stesso Paese.

Esempio tipico di una nobiltà che resistette a questa influenza demolitrice operata dalla monarchia assoluta fu la nobiltà della Vandea, in Francia, regione che diventò poi uno dei focolai di resistenza alla Rivoluzione francese. Riguardo questa tendenza alla resistenza della nobiltà vandeana al potere centrale, riferisce l'insigne storico Georges Bordonove:

"La nobiltà vandeana forma una casta, non chiusa nelle sue memorie, ma animata dal suo stesso dinamismo. L'esistenza di Versailles non la indebolì, né fisicamente né moralmente. Salvo eccezioni, l'influenza delle idee nuove, il pensiero dei filosofi e i discorsi dei verbosi ripetitori della dottrina del secolo dei lumi la lasciavano indifferente. Al contrario, essa tendeva a ricordare il ruolo che aveva svolto nelle epoche passate, il suo potere e la sua ricchezza, l'antica grandezza e la preminenza del Poitou. Essa indubbiamente soffriva della regressione della nobiltà a profitto dei potere centralizzatone dello Stato. Essa non perdonò mai del tutto a Richelieu la demolizione dei propri castelli feudali, né al Re Sole il suo altezzoso assolutismo" (La vie quotidienne en Vendée, Hachette, Paris 1974, p. 49).

Per bene intendere lo spirito di queste resistenze della nobiltà vandeana all'assolutismo regio (contro il quale, a loro volta, i rivoluzionari dell'89 parlarono così furiosamente e prolissamente), bisogna tener presente che il Trono non ebbe più ardenti difensori di essa, né i rivoluzionari affrontarono oppositori più eroici e orgogliosi.

11) Cfr. Documenti X.

12) Questa magnifica accoglienza dei parigini al loro futuro re viene descritta con esemplare fedeltà dal già citato storico Georges Bordonove, nella sua opera Les Rois qui ont fait la France – Charles X. In Documenti X riportiamo brani di questa descrizione.

13) Non sospettabile di parzialità al riguardo, il noto storico austriaco Giovanni Battista Weiss narra l'epopea della reazione patriottica portoghese contro le truppe napoleoniche comandata, senza risultato, da successivamente tre fra i più insigni generali del Bonaparte, cioè Junot, Soult e Massena. Ecco, fin dagli inizi, i successi della reazione nazionale contro Junot e le sue truppe:

"I portoghesi spiegarono la loro bandiera nazionale, al suono delle campane, con giubilo festoso e fuochi d'artificio nella città [di Porto]. Questo movimento corse per il Paese come fuoco appiccato all'erba secca; l’11 giugno 1808 l'ex-governatore di Trás-os-Montes proclamò sovrano il principe reggente e chiamò alle armi gli abitanti. Nelle città e nei villaggi rispose il popolo: "Viva il Principe Reggente! Viva il Portogallo! Abbasso Napoleone!".

"Il 17 giugno, la stessa acclamazione risuonò a Guimarães, il 18 a Viana, il 19 l'arcivescovo di Braga fece restituire le prerogative alla Casa Reale di Braganza, con grande concorso di popolo; baciò l'antica bandiera e benedisse il popolo che cantò il Te Deum Laudamus. Venne eletta poi una giunta, della quale fu presidente il vescovo.

"A Coimbra la gioventù studentesca ardeva in favore della liberazione della patria e il tempio della scienza si trasformò in arsenale di guerra. Nel laboratorio di chimica si preparava la polvere da sparo. Gli studenti si sparpagliavano nei villaggi per incitare i lavoratori ad armarsi; erano accolti col suono delle campane, fuochi di artificio e clamori di giubilo. Tutti si armavano; i lavoratori brandivano le loro falci, dissotterravano cannoni tenuti nascosti nell'ultima guerra di Spagna; frati col Crocifisso in mano marciavano davanti alle truppe. Il clero era tutto fuoco e fiamme per la liberazione nazionale, ma impediva le crudeltà che erano state commesse in Spagna contro i nemici.

"La situazione dei francesi diventò grave. Junot era ben conscio della gravità del pericolo: non poteva ricevere aiuti dalla Francia, né via mare, perché gli incrociatori inglesi lo dominavano e vigilavano lungo tutta la costa, né via terra perché la Spagna era tutta in armi e tutti i corrieri venivano intercettati. Con 24.000 uomini non poteva dominare la rivolta di un intero popolo" (Historia Universal, Tipografía La Educación, Barcelona, 1931, pp. 262-263).

14) Cfr. Elaine Sanceau, 0 Reinado do Venturoso, Livraria Civilização Editora, Porto 1970, pp. 205-206.

15) Un'altra eccezione, immediatamente anteriore, fu quella dell'Elettore di Baviera Carlo Alberto, che ottenne la corona imperiale dopo la morte di Carlo VI, padre dell'arciduchessa Maria Teresa. La sua presenza sul trono imperiale, col nome di Carlo VII, fu di breve durata (1742-1745) e la sua morte aprì la strada all'elezione di Francesco di Lorena. In realtà, l'ascesa di questi alla suprema dignità del Sacro Impero rappresentò già di suo una prova del potere politico della Casa d'Austria: infatti Francesco di Lorena fu eletto Imperatore dietro richiesta di Maria Teresa, che in questo modo qualificava suo marito col più alto titolo nobiliare della Cristianità, parificando il matrimonio dell'illustre ereditiera degli Asburgo con chi prima era solo Duca di Lorena e Granduca di Toscana.

16) Forse nessun monarca spinse tanto lontano la tendenza a fare della nobiltà una classe dichiaratamente aperta, come il re Carlo III di Spagna (1759-1788) (Cfr. Capitolo VII, 9 c).

17) Riguardo la situazione dei titoli nobiliari nel regime repubblicano, afferma Rui Dique Travassos Valdez:

"L'articolo della Costituzione del 1911, che abolì le qualifiche nobiliari nel Paese, fu oggetto più tardi di restrizioni basate sulla considerazione dei diritti acquisiti. Così, i titolati i cui titoli fossero stati concessi (allo stesso) vigente la monarchia e avessero pagato i rispettivi diritti di concessione, vennero legalmente autorizzati ad usare i loro titoli, a condizione che fossero preceduti dal loro nome civile. (...)

"Durante la vita del re Manuel II, in esilio, molti si rivolsero al sovrano perché egli, come capo della nobiltà (lo stesso fecero i miguelistas presso il loro capo) li autorizzasse ad usare il titolo. Questa autorizzazione veniva di regola differita (...) e aveva soprattutto il carattere di una promessa nell'ipotesi di una restaurazione monarchica.

"Morto il re e riconosciuto don Duarte Nuno, duca di Braganza, dalla maggioranza dei monarchici portoghesi, in quanto riuniva in sé i diritti dinastici dei due rami della Casa di Braganza, apparve dapprima la Commissione di Verifica e Registro delle Concessioni, seguita poi dal Consiglio della Nobiltà, organismo al quale quel principe diede potere di trattare questi argomenti.

"Nessuno di questi organismi produsse effetti civili davanti allo Stato. Ciò nonostante, bisogna notare che diversi titolati, i cui titoli furono riconosciuti soltanto durante il regime repubblicano, per una di queste vie sono stati designati dal loro titolo (sempre preceduto dal nome civile) nel 'Diario do Governo' (Gazzetta Ufficiale), come si usa per quelli che godettero di un decreto a loro favore" (Títulos nobiliárquicos, in Nobreza de Portugal e do Brasil, Editorial Enciclopédia, Lisboa 1960, vol. II, pp. 197-198).