Plinio Corrêa de Oliveira

 

Nobiltà ed élites tradizionali analoghe nelle allocuzioni di Pio XII al Patriziato ed alla Nobiltà romana

 

 

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Marzorati Editore, 1993

ISBN 88-280-0129-1

Per richieste dell'opera in formato cartaceo: www.atfp.it


CAPITOLO VII 

Genesi della nobiltà

La sua missione nel passato e nel presente

(continuazione) 

 

Il Papa Benedetto XV, al termine della I Guerra Mondiale, tessé un ardente elogio all’abnegazione eroica del Patriziato e della Nobiltà Romana nei giorni drammatici del conflitto, facendo riferimento a “un altro sacerdozio simile al sacerdozio della Chiesa, quello della Nobiltà”

 

8. La nobiltà nei nostri giorni - Grandezza della sua missione contemporanea 

a) Fondamento essenziale di ogni nobiltà, qualunque sia la sua nazionalità 

Posto tutto ciò, qual'è l'essenza del tipo umano caratteristico della nobiltà? Per rispondere a questa domanda, l'erudizione storica va accumulando dati, sia sull'origine di questa classe, sia sulla funzione politica, sociale ed economica che le è successivamente toccata, sotto varie forme e in diverse misure, nel corso dei secoli; sia anche sulla specifica influenza avuta su moralità, usi e costumi della società; sia finalmente sulla sua azione nell'esercizio del mecenato in favore delle arti e della cultura.

Che cos'è un nobile?

È colui che fa parte della nobiltà. Ma questa partecipazione implica che il nobile corrisponda a un determinato tipo psicologico e morale che, a sua volta, modella l'uomo intero. In questo modo, per quanto siano state considerevoli le trasformazioni subite da questa classe durante i secoli, o le varietà che presenta nei diversi Paesi in cui esiste, la nobiltà finisce per essere sempre una. Così, per quanto un magnate ungherese sia differente da un grande di Spagna, o un duca e pari di Francia possieda caratteristiche diverse da un duca del Regno Unito, dell'Italia, della Germania o del Portogallo, agli occhi del pubblico un nobile è sempre un nobile. Più specificamente, un conte è sempre un conte, un barone è sempre un barone, un hidalgo o gentiluomo è sempre un hidalgo o gentiluomo.

Le vicende storiche attraversate dalla nobiltà hanno modificato, in modo per così dire incommensurabile, la situazione di questa classe; in modo che oggi, se non pochi dei suoi membri sono rimasti al vertice delle ricchezze e del prestigio, altri si trovano nell'abisso della povertà, obbligati a duri ed umili lavori per mantenere la propria esistenza. Vengono anche visti con sarcasmo e disprezzo da molti nostri contemporanei imbevuti di spirito ugualitario e borghese diffuso dalla Rivoluzione francese; quando non vengono spogliati dei loro beni, calpestati e ridotti ad una condizione proletaria dai regimi comunisti, alla cui dominazione dispotica non riuscirono a sottrarsi per tempo.

 

b) Nobiltà: modello di eccellenza - impulso per tutte le forme di elevazione e di perfezione (26) 

Privata di qualsiasi potere politico nelle repubbliche contemporanee, e conservando nelle monarchie appena i resti di questo potere; scarsamente rappresentata nel mondo della finanza, quando lo è; svolgendo nella diplomazia, come pure nel mondo della cultura e del mecenatismo, un ruolo di evidenza quasi sempre inferiore a quello della borghesia, la nobiltà di oggi non è che un residuo. Residuo prezioso che rappresenta la tradizione e che consiste essenzialmente in un tipo umano.

Questo tipo umano, come definirlo?

Il corso degli eventi ha fatto sì che, durante secoli, e ancora nella nostra società intossicata di egualitarismo, di volgarità, di bassa corruzione morale, la nobiltà abbia costituito un modello di eccellenza per edificare tutti gli uomini e, in un certo senso, per dare un meritato rilievo a tutte le cose esimie, che ne sono degne. Infatti, quanto più si dice di un oggetto che è nobile, aristocratico, tanto più si sottolinea che è eccellente nel suo genere.

Ancora nelle prime decadi del nostro secolo, la tendenza dominante della società temporale, almeno nelle sue linee generali, consisteva in un impulso al continuo perfezionamento, nei più svariati campi e dai più diversi punti di vista. Questa affermazione, meriterebbe di essere ulteriormente precisata, trattandosi di religiosità e di moralità, sia pubblica che privata.

Oggi, al contrario, è impossibile nascondere che una tendenza generale verso la volgarità, la stravaganza delirante, e non di rado il brutale e sfacciato trionfo dell'orrido e dell'osceno, sta guadagnando terreno. In questo senso la rivoluzione della Sorbona, nel 1968, ha costituito un'esplosione di portata universale, che ha accelerato i malsani germi da molto tempo sotto incubazione nel mondo contemporaneo. Si può dire che l'insieme di questi fenomeni presenti un sintomo accentuatissimo di proletarizzazione, assumendo questo termine nel suo senso peggiore.

Eppure, non per questo è morto il vecchio impulso verso tutte le forme di elevazione e di perfezione, nato nel medioevo e, sotto certi aspetti, sviluppato nei secoli successivi. Al contrario, questo impulso prende in certa misura la velocità di espansione dell'impulso opposto. In vari ambienti, esso raggiunge perfino una certa quale preponderanza.

In passato, fu missione della nobiltà, in quanto classe sociale, coltivare, alimentare e diffondere quest'impulso di tutte le classi verso l'alto. Il nobile era per eccellenza votato a questa missione nella sfera temporale, così come il clero lo è nell'ordine spirituale.

Simbolo di quest'impulso, personificazione di esso, in un certo qual modo libro vivente in cui l'intera società poteva “leggere” tutto quanto i nostri antenati, desiderosi di elevazione in tutti i sensi, anelavano e andavano realizzando: questo era il nobile.

Sì, era questo; e di tutto quanto è stato in passato, la cosa migliore che conserva è questo prezioso impulso. In numero crescente, uomini del nostro tempo si rivolgono a lui, per scrutare con muta ansietà se la nobiltà saprà conservare quest'impulso e perfino ampliarlo coraggiosamente, contribuendo così a salvare il mondo dal caos e dalle catastrofi in cui va sprofondando.

Se il nobile del secolo XX si mantenesse consapevole di questa missione, e se, animato dalla Fede e dall'amore per la vera tradizione, facesse di tutto per esserne all'altezza, otterrebbe una vittoria di grandezza non minore di quella conseguita dai suoi antenati quando contennero i barbari, respinsero l'Islam oltre il Mediterraneo, e sotto il comando di Goffredo di Buglione abbatterono le mura di Gerusalemme.

 

c) Il punto massimo d'insistenza di Pio XII 

Come abbiamo visto, di tutto quanto fu o ebbe un tempo, alla nobiltà è rimasta “soltanto” questa eccellenza pluriforme, con un residuo insieme di condizioni indispensabili perché essa, nella maggior parte dei casi, non decada in una situazione specificamente proletaria o proletarizzante.

“Soltanto”, abbiamo detto. E veramente, quant'è poco, rispetto a quello che erano o avevano i nobili! Ma quant'è migliore della volgarità grossolana e tracotante di tanti altri nostri contemporanei!

Infatti, nelle volgari e danarose corruzioni non rare nel jet-set; nelle stravaganze di alcuni miliardari che ancora esistono; negli egoismi, nella sfrenata mania per le comodità e per la sicurezza sanciopanzesca di certi medio - o perfino piccolo - borghesi; quante manchevolezza e lacune, in paragone a quello che ancora resta di eccellenza alle vere aristocrazie.

Qui troviamo il massimo punto d'insistenza delle allocuzioni di Pio XII al Patriziato ed alla Nobiltà romana. Il Pontefice mostra agli eminenti membri di questa categoria, e tramite loro al mondo intero, che questa eccelsa caratteristica della nobiltà conferisce loro un posto inconfondibile tra le classi dirigenti che vanno emergendo dalle nuove condizioni di vita. Posto di inconfondibile portata religiosa, morale e anche culturale, che la costituisce preziosa barriera alla torrenziale decadenza del mondo contemporaneo.

 

d) La nobiltà: fermento, non mera polvere del passato - missione sacerdotale della nobiltà per l'elevazione, purificazione e pacificazione del mondo 

Già Benedetto XV (1914-1922), poco dopo la fine della prima guerra mondiale, nell'allocuzione del 5 gennaio 1920, rivolse al Patriziato ed alla Nobiltà romana parole di ardente elogio per la condotta di eroismo e di abnegazione tenuta nei giorni drammatici del conflitto, facendo vedere tutta l'importanza della missione che apriva loro il successivo periodo di pace.

In quell'occasione, il Pontefice disse: “(…) simile al Sacerdozio della Chiesa, ravvisammo un altro Sacerdozio: quello della Nobiltà.” 

 

Simile condotta dimostrarono in tempi ancora più recenti altri membri della nobiltà italiana: sopra, una storica immagine di Amedeo di Savoia, Duca d’Aosta e Viceré di Etiopia, Medaglia d’Oro al valore militare. Sotto veddiamo le Medaglie d'Oro dell'ultima guerra:

Capitano di Vascello, conte Giuseppe Cigala Fulgosi

e

l'Ammiraglio marchese Luigi Durand de la Penne 

In queste parole, il Pontefice non si riferiva soltanto al buon esempio concretamente dato dal Patriziato e dalla Nobiltà romana durante la guerra. Egli si elevava un piano più alto di quello di una encomiastica narrazione storica, per affermare che, nell'essenza della missione della nobiltà esiste qualcosa di sacerdotale. Soprattutto sulle labbra di un Papa, quest'elogio della nobiltà come tale non potrebbe essere maggiore.

È ben chiaro che il Pontefice non ha intenzione di equiparare la condizione del nobile a quella del sacerdote, né di affermare l'identità tra l'una e l'altra missione, ma soltanto una vigorosa somiglianza. Sviluppa questo principio con citazioni di san Paolo, come più avanti si vedrà.

Ma per dare tutto il rilievo all'autenticità dei doveri del nobile nel campo della Fede e della moralità, il suo insegnamento si riveste di impressionante forza d'espressione:

“Accanto al 'regale Sacerdotium' di Cristo, voi pure, o nobili, adergeste 'gens electum' della società; e l'opera vostra fu quella che sopra ogni altra rassomigliò ed emulò l'opera del Clero. Mentre il sacerdote assisteva, sosteneva, confortava col la parola, col esempio, col coraggio, col le promesse di Cristo, la Nobiltà compiva, anche'essa, il suo dovere nei campi di battaglia, nelle ambulanze, nelle città, nelle campagne; e pugnando, assistendo, prodigando e morendo, teneva fede, tra i vecchi e tra i giovani, tra gli uomini e tra le donne, alle tradizioni delle avite glorie, ed agli obblighi che nobiltà vuole imporre.

“Se, pertanto a Noi riesce gradito l'elogio fatto ai sacerdoti della nostra Chiesa per l'opera compiuta durante il periodo della guerra, è cosa giusta che da Noi si renda la dovuta lode anche al sacerdozio della nobiltà. L'uno e l'altro sacerdozio apparì ministro del Papa, perché in ora tristissima ne ha interpretato bene i sentimenti...”

Benedetto XV passa quindi a parlare dei doveri della nobiltà nel periodo di pace che allora si apriva:

“E non dovremo Noi dire che il sacerdozio della nobiltà, come quello che proseguirà la sua benemerenza anche in tempo di pace, sarà perciò da Noi riguardato con particolare benevolenza! Ah! dall'ardore dello zelo dispiegato in giorni nefasti piace a Noi argomentare la costanza dei propositi col la quale i Patrizi ed i Nobili di Roma continueranno a compiere, in ore più liete, le sante imprese onde si alimenta il sacerdozio della nobiltà!

“L'apostolo San Paolo ammoniva i nobili dei suoi tempi, affinché fossero, o diventassero, quali la loro condizione li richiedeva; imperocché, non pago di aver detto anche per essi che avrebbero dovuto mostrarsi modelli di benfare, nella dottrina, nella purità dei costumi, nella gravità e, 'in omnibus te ipsum oraebe exemplum bonorum operum in doctrina, in integritate, in gravitate' (Tim. 2, 7). San Paolo considerava più direttamente i nobili quando scriveva al suo discepolo Timoteo di ammonire i ricchi 'divitibus huius saeculi praecipe', che facciano il bene e diventino ricchi di buone opere 'bene agere, divites fieri in bonis operibus' (1a. Tim. 6, 17).

“A ragione si può dire che questi ammonimenti dell'Apostolo convengono in mirabile guisa anche ai nobili dell'età nostra. Anche voi, o dilettissimi figli, quanto più elevata è la vostra condizione sociale tanto maggiore è l'obbligo di andare innanzi agli altri colla luce del buon esempio 'in omnibus te ipsum praebe exemplum bonorum operum'.”

Ma, dirà qualche lettore, questi doveri toccano alla nobiltà anche nei nostri giorni così mutati? Non sarà più oggettivo dire che questi doveri, oggi, incombono ai nobili non più che ai comuni cittadini? L'insegnamento di Benedetto XV risponde appunto a questa obiezione. Infatti egli prosegue:

“In ogni tempo strinse i nobili il dovere di agevolare l'insegnamento della verità 'in doctrina'; ma oggi, quando la confusione delle idee, compagna alla rivoluzione dei popoli, ha fatto smarrire, in tanti luoghi e in tanti persone, le vere nozioni del diritto, della giustizia e della carità, della religione e della patria, oggi è cresciuto anche più l'obbligo dei nobili, di adoperarsi a far tornare nel patrimonio intellettuale dei popoli quelle sante nozioni, che li devono dirigere nella quotidiana attività. In ogni tempo strinse i nobili il dovere di non ammettere nulla di indecente nelle parole e negli atti, affinché la loro licenza non fosse eccitamento al vizio nei subalterni, 'in integritate, in gravitate': ma anche questo dovere oh! quanto è diventato più forte e più grave per il malvezzo dell'età nostra! Non solo i cavalieri, ma anche le dame sono obbligate a stringersi in santa lega contro le esagerazioni e le sconcezze della moda, allontanando da se, e non tollerando negli altri, ciò che non è consentito dalle leggi della cristiana modestia.

“E per venire all'applicazione di ciò che abbiamo detto aver S. Paolo raccomandato più direttamente ai nobili del suo tempo, (... ) a Noi basta che i Patrizi ed i Nobili di Roma continuino, in tempo di pace, ad informarsi a quello spirito di carità di cui hanno fatto bella prova in tempo di guerra. (...)

“La vostra nobiltà, allora, non sarà ritenuta come sopravvivenza inutile di tempi tramontati, ma come lievito serbato per la risurrezione della corrotta società: sarà faro di luce, sale di preservazione, guida degli erranti; sarà non solo immortale in questa terra, dove tutto, anche la gloria delle più illustri dinastie appassisce e tramonta, ma sarà immortale nel cielo, dove tutto vive e si deifica coll'Autore di ogni cosa bella e nobile.”

Alla fine dell'allocuzione, nel concedere la benedizione apostolica, il Pontefice manifesta il desiderio “affinché ciascuno cooperi col sacerdozio proprio della sua classe alla elevazione, alla purificazione del mondo e, facendo del bene agli altri, assicuri anche per sé l'accesso al regno dell'eterna vita 'ut aprehendant veram vitam!’” (27).

 

e) Ammiratori della nobiltà nel tempo corrente 

Di fatto, conviene ripeterlo, per quanto disprezzato e odiato, il nobile che sappia mantenersi degno dei suoi antenati è pur sempre un nobile, oggetto speciale di attenzione - e non di rado di attenzioni - da parte di coloro che hanno rapporti con lui.

Effettivamente, un esempio di questa attenzione destata dalla nobiltà è il fatto che ancora nei nostri tempi - e oggi più che nei decenni passati - vi sono, in tutte le società, ammiratori della nobiltà che le consacrano un elevato rispetto e un emozionato interesse che potrebbe quasi definirsi romantico. Sarebbe interminabile la menzione di fatti sintomatici della presenza sempre più marcata, ai nostri giorni, di questo compatto filone di coloro che consacrano alla nobiltà una tale ammirazione.

Due fatti parlano da sé. Uno - già riferito - è l'entusiasmo gioioso e ammirato col quale folle, che sarebbe impossibile calcolare con precisione, hanno seguito nel mondo intero, alla televisione, la cerimonia del matrimonio del Principe di Galles con la Principessa Diana. Un altro è la costante crescita della diffusione della rivista parigina “Point de Vue - Images du monde”, che dedica speciale attenzione a quanto accade negli ambienti aristocratici dei popoli di tutto il mondo, siano essi monarchici o repubblicani. La tiratura di questa rivista, che nel 1956 era di circa 180.000 copie, è giunta nel 1991 a 515.000. Questa rivista trova lettori perfino tra gli abitanti di piccole cittadine dell'interno del Portogallo, come pure nei quartieri popolari di varie megalopoli moderne (28).

 

f) Nobiltà; tesi e antitesi 

Quanto alle élites arricchite che, invece di cercare di coltivare qualità confacenti alla loro condizione economica, si vantano di restare nella volgarità delle loro abitudini e dei loro modi di vita, ci sembra bene formulare alcune considerazioni.

È inerente alla proprietà privata la tendenza a fissarsi nella discendenza dei proprietari. L’istituzione famigliare preme con tutte le sue forze in questa direzione.

Si sono quindi formati, certe volte, lignaggi o perfino “dinastie” commerciali, industriali o pubblicitarie; ciascuno di questi gruppi famigliari può esercitare sul corso degli avvenimenti politici un potere incomparabilmente maggiore di quello di un semplice elettore... per quanto tutti i cittadini siano uguali davanti alla legge.

Costituiscono forse queste dinastie una nuova nobiltà?

Dal punto di vista meramente tecnico, talvolta si potrebbe dire di sì. Ma questo punto di vista non è l'unico e nemmeno necessariamente il principale. Questa nuova “nobiltà”, considerata non in tesi ma in concreto, di solito non è né può essere una nobiltà, innanzitutto perché gran parte dei suoi membri non vuole esserlo. Infatti, i preconcetti ugualitari, che molte di queste dinastie coltivano e ostentano fin dalle loro origini, li portano a differenziarsi sempre più dall'antica nobiltà, a diventare insensibili al suo prestigio, e non di rado a farlo deprezzare agli occhi delle folle. Questo avviene non perché vengano liquidate con la forza le caratteristiche che differenziano l'antica nobiltà dalla massa, ma perché questa nuova “nobiltà” ostenta una caratteristica che le serve da strumento per coltivare una demagogica popolarità: la volgarità.

Se la nobiltà storica era e voleva essere una élite, quest'odierna antitesi della nobiltà si qualifica appunto, e con una certa frequenza, nel non differenziarsi dalla massa e nel camuffarsi con i modi di essere e le abitudini di questa per sfuggire alla vendetta dello spirito ugualitario e demagogico, generalmente favoreggiato fino all'esasperazione... dagli stessi mass-media, i cui dirigenti e responsabili paradossalmente appartengono, non di rado, alla stessa “nobiltà” antitetica.

In altri termini, in forza del naturale ordine delle cose, è proprio della nobiltà il formare un tutto organico col popolo, come la testa col corpo. E caratteristica della nobiltà antitetica una tendenza ad evitare, per quanto possibile, questa distinzione vitale, sforzandosi al contrario - almeno in apparenza - di integrarsi in quel grande insieme amorfo e inerte che è la massa (29).

Sarebbe esagerato dire che tutti i plutocrati contemporanei sono così, ma è innegabile che lo sono un gran numero di essi: spesso lo sono i più ricchi fra loro, particolarmente notevoli d'altronde, come un osservatore attento non potrà negare, per dinamismo, potere e per l'archetipicità delle loro caratteristiche. 


Note:

26) Sulla nobiltà come fattore sociale di propulsione della società verso tutte le forme di elevazione e di perfezione, si veda anche l'Appendice III.

27) L'Osservatore Romano, 5/6 gennaio 1920. Si veda il testo integrale di questa allocuzione in Documenti II.

28) Si legge al riguardo nel Dictionnaire Encyclopédique QUID, sezione "Les journaux se racontent" (Robert Laffont, 1991, p. 1218): "La storia di Point de Vue è quella di una rivista che, senza aiuti finanziari e senza il minimo lancio promozionale, è riuscita, anno dopo anno, a raggiungere il livello dei periodici illustrati francesi a diffusione internazionale". E questo avviene, va aggiunto, nonostante che la rivista sia molto discussa in alcuni ambienti di élite francesi.

29) Cfr. Capitolo III.