Plinio Corrêa de Oliveira

 

Nobiltà ed élites tradizionali analoghe nelle allocuzioni di Pio XII al Patriziato ed alla Nobiltà romana

 

 

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Marzorati Editore, 1993

ISBN 88-280-0129-1

Per richieste dell'opera in formato cartaceo: www.atfp.it


CAPITOLO VII 

Genesi della nobiltà

La sua missione nel passato e nel presente

(fine)

9. Il fiorire delle élites analoghe: forme contemporanee di nobiltà?

 

In Portogallo, la condizione di intellettuale apriva le porte per entrare nella nobiltà. Erano nobili a titolo personale e vitalizio, per quanto non ereditario, tutti coloro che si laureavano in teologia, filosofia, diritto, medicina o matematica nella famosa Università di Coimbra. Ma se, di padre in figlio, tre generazioni di una stessa famiglia si laureavano a Coimbra in queste materie, diventavano nobili per via ereditaria tutti i loro discendenti, anche se questi non seguivano i corsi nella citata Università. Sopra, cortile dell’Università di Coimbra. Sotto, Biblioteca Joanina della stessa Università.

  

Parlando della società borghese, della vita borghese e della loro peculiarità, non pretendiamo riferirci a quelle famiglie della borghesia che hanno visto costituirse nella loro atmosfera interiore, col succedersi delle generazioni, una genuina tradizione famigliare ricca di valori morali, culturali e sociali.

La fedeltà alla tradizione del passato e l'impegno al continuo perfezionamento rendono queste famiglie vere élites, al contrario della nobiltà antitetica.

In una organizzazione sociale aperta a tutto quello che l'arricchisce di veri valori, tali famiglie, trasformandosi a poco a poco in una classe aristocratizzata, finiscono col fondersi gradualmente e soavemente all'aristocrazia, oppure vengono a costituire - pari passu e in forza dei costumi, a fianco dell'aristocrazia propriamente detta e già esistente - una nuova aristocrazia con peculiarità specifiche. Spetta a chi sta al vertice del potere politico, e allo stesso tempo dell'influenza sociale - come è il caso dei monarchi - guidare in modo accogliente, misurato e pieno di tatto, tali perfezionamenti, altamente rispettabili, della struttura politico-sociale; ascoltando aspirazioni che animano il corso delle sane trasformazioni sociali e definendo le ansie della società organica, piuttosto che tratteggiando il cammino geometricamente, a colpi di decreti.

In questa prospettiva, l'esistenza di élites aristocratiche, anziché escludere gelosamente, meschinamente, la fioritura piena di altre élites, al contrario serve loro di modello per feconde analogie e fraterni perfezionamenti.

Il senso peggiorativo della parola “borghesia” è ben meritato da settori di quella categoria sociale che, noncuranti di formare tradizioni famigliari proprie nonché di prolungarle e perfezionarle lungo le generazioni, si impegnano solo a galoppare verso la più scapestrata modernità. Difatti, anche quando contano nel loro passato alcune generazioni di opulenza o di semplice benessere, nondimeno costituiscono una certa quale categoria di arrivisti... in stato di permanente mutazione causato dalla determinazione autofagica di non accumulare abitudini nel corso delle generazioni!

 

a) Un argomento che i Pontefici non hanno trattaro: vi sarebbero forme 'aggiornate' di nobiltà? 

Le precedenti considerazioni conducono ad un aspetto della presente problematica che Pio XII, i suoi predecessori e successori non hanno trattato, forse per ragioni prudenziali.

Come abbiamo esposto lungo i capitoli di quest'opera, Pio XII attribuì alla nobiltà dei nostri giorni un ruolo importante. A questo scopo, il Pontefice vuole conservarla come una delle classi dirigenti del mondo attuale. Pertanto, le apre gli occhi su quello che le resta, e per l'uso che ad essa tocca fare di questo residuo mezzo di sopravvivenza e di azione, affinché essa non solo difenda con successo la sua attuale posizione, ma possa anche magari recuperare per sé un posto al sole più ampio, ai vertici dell'organismo sociale odierno.

Ma la funzione che così è riconosciuta alla nobiltà è di una tale importanza, che ad essa non basta normalmente disporre dell'esiguo, e d'altronde così contestato, residuo di ciò che deteneva. Bisognerebbe escogitare i mezzi per ampliare gradualmente la sua base di azione. In che modo farlo? Fino a che punto questo desiderabile sarebbe fattibile nelle condizioni odierne?

Perché non pensare, per esempio, a una società che fornisca largamente alla nobiltà sotto forme però eventualmente “aggiornate” e che non consistano solo nella proprietà immobiliare urbana o soprattutto rurale - una base per la sua sopravvivenza e per la sua azione benefica? Per esempio, perché non riconoscere ufficialmente la nobiltà, incarnando un fattore così prezioso qual'è la tradizione, fra i consiglieri più ascoltati e rispettati da coloro che hanno in mano le leve del potere del mondo di oggi?

Non si può escludere l'ipotesi che Papa Pio XII abbia pensato approfonditamente a questo, sebbene, per motivi di prudenza, non sia giunto a manifestare le conclusioni alle quali forse giungeva il suo pensiero.

Sarebbe logico che Pio XII, che aveva analizzato con attenzione così sollecita i problemi contemporanei della nobiltà, avesse ponderato quanto detto.

 

b) Nobiltà autentiche, per quanto di minor splendore - Esempi storici 

Col tempo, specialmente a partire dalla fine del medioevo, a fianco della nobiltà per eccellenza, guerriera, signorile e rurale, vennero a costituirsi nobiltà, anch'esse autentiche, ma di minore splendore. Non ne mancano esempi nei vari Paesi europei.

In Portogallo, la condizione di intellettuale apriva le porte per entrare nella nobiltà. Erano nobili a titolo personale e vitalizio, per quanto non ereditario, tutti coloro che si laureavano in teologia, filosofia, diritto, medicina o matematica nella famosa Università di Coimbra. Ma se, di padre in figlio, tre generazioni di una stessa famiglia si laureavano a Coimbra in queste materie, diventavano nobili per via ereditaria tutti i loro discendenti, anche se questi non seguivano i corsi nella citata Università (30).

In Spagna, l'investitura a determinate cariche civili, militari o di cultura, o persino semplicemente l'esercizio di certe forme di commercio e d'industria utili in particolar modo alla nazione, conferiva ipso facto la nobiltà, a titolo personale e vitalizio, o anche a titolo ereditario (31).

In Francia, oltre alla nobiltà togata, noblesse de robe, che veniva reclutata nella magistratura, sarebbe da rilevare la piccola nobiltà di campanile, o più correttamente noblesse de cloche, cioè di campana. Questa denominazione si riferisce alla campana del campanile, utilizzata dal municipio per convocare il popolo. La noblesse de cloche era abitualmente costituita da famiglie di borghesi che si erano distinte nel servizio del bene comune delle collettività urbane di minor dimensione (32).

 

c) Neo-ricchi, neo-nobili 

Queste nobilitazioni non accadevano senza suscitare problemi degni di attenzione che si mostrano con speciale chiarezza in certe situazioni.

Per esempio, il Re di Spagna Carlo III (1759-1788), nel considerare la nascita industriale che cominciava a prodursi in varie altre nazioni del continente europeo, e il nocivo scompenso nel quale, in questo campo, si trovava la Spagna, decise, con una Cedola reale del 18 marzo 1783, di stimolare fortemente la comparsa dell'industria nel suo regno. A questo scopo egli adottò, tra le altre misure, quella di elevare in certo modo automaticamente alla condizione nobiliare quei sudditi che, a vantaggio del bene comune, investissero con successo capitali e sforzi per fondare industrie nuove o sviluppare quelle esistenti (33).

La decisione del monarca attrasse alle attività industriali numerosi candidati alla nobiltà. Ora, come abbiamo visto, l'autenticità della condizione nobiliare non consiste soltanto nell'uso di un titolo conferito per regio decreto, ma anche e specialmente nel possesso di quello che si può chiamare il profilo morale caratteristico della classe aristocratica. Tuttavia, è comprensibile che certi neo-ricchi promossi dalla Cedola reale a neo-nobili avessero una speciale difficoltà nell'acquisire questo profilo morale, giacché, come si sa, tale profilo si acquista soltanto mediante una lunga tradizione famigliare, che manca solitamente sia al neo-ricco che al neo-nobile, e della quale si possono tuttavia trovare importanti tratti nelle élites borghesi tradizionali meno ricche.

L'iniezione di questo sangue nuovo nella nobiltà tradizionale potrebbe in certi casi procurarle una crescita di vitalità e creatività. Tuttavia, potrebbe comportare il rischio di procurarle anche tratti di volgarità e di un certo arrivismo sdegnoso di vecchie tradizioni, con evidente pregiudizio per l'integrità e coerenza del profilo nobiliare. E così potrebbe restare pregiudicata la stessa autenticità della nobiltà.

Un fatto analogo, derivante da situazioni anch'esse analoghe, accadde in più di un Paese europeo, ma in generale rimase circoscritto nei suoi effetti per diversi fattori.

Innanzitutto, nell'ambiente generale della società europea dell'epoca, l'influenza aristocratica era ancora profonda e il neo-nobile/neo-ricco si sentiva a disagio nella condizione sociale in cui era entrato, se non s'impegnava ad assimilare almeno in buona parte il profilo e le maniere di questa. Le porte di molti salotti difficilmente gli si spalancavano del tutto, il che svolgeva su di lui una pressione aristocratizzante, a sua volta rafforzata dall'atteggiamento del popolino. Questo, infatti, percepiva l'aspetto comico della situazione di un conte o di un marchese di recente sfornatura, e lo faceva capire con scherzi sgradevoli alle orecchie di chi ne era lo sventurato bersaglio. Perciò il neo-nobile, lungi dal criticare le peculiarità dell'ambiente al quale era eterogeneo, faceva in genere tutto il possibile per adattarsi e soprattutto per assicurare alla sua progenie un'educazione genuinamente aristocratica.

Queste circostanze facilitarono l'assorbimento di elementi nuovi da parte della nobiltà antica, in modo che, alla fine di una o più generazioni, scomparvero le differenze tra i nobili tradizionali e i neo-nobili. Accadeva che questi cessavano di essere “nuovi” a causa dello stesso graduale scorrere del tempo, e il matrimonio di giovani nobili, portatori di nomi storici, con figlie o nipoti di neo-ricchi/neo-nobili, serviva a molti di loro come mezzo per evitare la decadenza economica e di dare nuovo lustro al proprio blasone.

Qualcosa del genere accade anche ai nostri giorni. Tuttavia, a causa del tonus fortemente egualitario della società moderna e di altri fattori esposti in altre parti di questo studio, una mobilitazione in certo modo automatica, come quella stabilita da Re Carlo III, guasterebbe la nobiltà molto più di quanto la favorirebbe, giacché i neo-ricchisi mostrano sempre meno desiderosi di diventare neo-nobili.

 

d) Nel attuale contesto politico, si potrebbero costituire nuove forme di nobiltà? 

Rimane tuttavia il problema: non ci sarebbe oggi il modo di costituire nuove nobiltà, con gradi gerarchici e modalità diverse che corrispondano a funzioni a loro volta differenti, purché tutte tendenti a raggiungere un certo grado in quella pienezza di eccellenza legata alla continuità ereditaria, che ancor oggi caratterizza la nobiltà propriamente detta?

D'altra parte, che modi ci sarebbero, nel quadro delle forme politiche attuali, indipendentemente dalla successione ereditaria, per dare accesso a nuove forme di nobiltà a persone che hanno reso al bene comune servizi di grande rilievo, sia per la brillantezza del talento, sia per il fulgore di una spiccata personalità, sia ancora per abnegazione eroica e cavalleresco coraggio, sia infine per la spiccata capacità di azione?

È certo che nel medioevo come nell'Ancien Régime, ci fu sempre posto per ricevere nella nobiltà persone che, per quanto nate nella più umile plebe, dessero prove inconcusse di possedere in grado eroico ed eccellente tali qualità. Era questo il caso di molti guerrieri che spiccavano per il loro coraggio e per la loro competenza strategia.

 

e) Un nuovo grado gerarchico nella scala sociale 

L'orizzonte ampliato da queste riflessioni rende un poco più elastica di prima la distinzione tra nobiltà e borghesia, dando luogo eventualmente ad un tertium genus qualificato anch'esso di nobiltà, ma di una nobiltà diminutae rationis, come lo furono in Francia la nobiltà togata e la nobiltà di campanile.

Bisogna ora farsi una domanda sull'uso della parola “nobiltà”.

Come la feconda vitalità del corpo sociale di un Paese può dare origine a nobiltà nuove, così può anche suscitare in classi sociali inferiori la formazione di fasce nuove non nobili. E quanto va accadendo, ad esempio, nel mondo del lavoro manuale, nel quale certe tecniche moderne esigono a volte l'utilizzazione di manodopera così altamente qualificata e così piena di responsabilità, da costituire una sorta di terzo genere tra l'intellettuale e il lavoratore manuale.

Questo quadro mette il lettore davanti ad una fioritura di situazioni nuove, in rapporto alle quali solo con molto tatto e con le prudenti lentezze tipiche delle società organiche, sarà possibile strutturare con fermezza di principi, giustizia e oggettività, nuovi gradi nella gerarchia sociale.

Posto tutto ciò, ci chiediamo: in funzione di questa entusiasmante opera gerarchizzatrice, che il corso dei fatti sta chiedendo agli uomini chiave del mondo contemporaneo, qual'è il significato esatto della parola “nobile”? Ossia: perché un nuovo grado della scala sociale meriti la qualifica di nobile, che caratteristiche deve avere? E quali altre sbarrano l'accesso a questo illustre qualificativo?

La domanda include tante situazioni complesse ed in stato di continua evoluzione, che non è possibile dare ad essa per ora una risposta perentoria e semplice. Questo è particolarmente vero se consideriamo che la soluzione dei problemi di questa natura molte volte viene data con più precisione dall'azione combinata di uomini di pensiero e dalla retta evoluzione consuetudinaria della società, piuttosto che dalle elucubrazioni di meri teorici, tecnocrati, etc.

Dato che qui non intendiamo che sfiorare l'interessante questione, bisogna dire che il qualificativo di “nobile” può essere riconosciuto solo a categorie sociali che conservino significative analogie col modello originario e archetipico di nobiltà, sorto nel medioevo, poiché esso continua ad essere ugualmente, nei nostri giorni, il modello della vera nobiltà.

Così, il nesso - particolarmente vigoroso e stretto - della finalità di una classe sociale col bene comune regionale e nazionale; la spiccata disposizione dei membri di questa classe a un generoso olocausto di diritti e di interessi propri in favore di questo bene comune; la vera eccellenza realizzata dai componenti di questa classe nelle loro attività abituali; la conseguente ed esemplare elevazione del modello umano morale e sociale dei suoi membri; un correlativo tenore di vita proporzionato alla speciale considerazione con cui la società li ricompensa per questa dedicazione al bene comune; e infine le condizioni economiche sufficienti per conferire adeguato rilievo a tutto l'insieme di questa situazione; tutto ciò, insomma, costituisce una serie di fattori la cui felice convergenza propizia la formazione di nuove forme di nobiltà.

Speranza che il cammino tracciato da Pio XII non venga dimenticato.

Queste riflessioni suscitate dallo studio attento delle allocuzioni di Pio XII sulla nobiltà esprimono speranze. Sì, speranze che il cammino tracciato da quel Pontefice non venga dimenticato né sottovalutato dalla nobiltà, nonché dalle autentiche élites sociali non specificamente nobili ma di posizione paragonabile a quella della nobiltà, che esistono non soltanto in Europa ma anche nelle tre Americhe, in Australia e altrove.

Siano quindi di speranza, e non solo di comprensibile nostalgia, le parole conclusive di questo capitolo. 


Note:

30) Cfr. Luiz da Silva Pereira Oliveira, Privilégios da nobreza e Fidalguia de Portugal, Oficina de João Rodrigues Neves, Lisboa, 1806, pp. 67-81.

31) A motivo dell'incarico svolto, potevano accedere alla nobiltà "gli alti servitori della Casa Reale, le governanti e le nutrici degli Infanti reali, i maggiorenti della Casa e della Corte, presidenti, consiglieri e uditori delle Cancellerie Reali" (Cfr. Vicente María Márquez de la Plata e Luis Valero de Bernabé, Nobiliaria Española - Origen, evolución, instituciones y probanzas, Prensa y Ediciones Iberoamericanas, Madrid 1991, pp. 15). In quest'opera, adottata come manuale dalla Escuela de Ciencias nobiliarias, heráldicas y genealógicas di Madrid, il lettore troverà una visione ampia e didattica del tema qui trattato.

Riguardo la nobiltà conferita per l'esercizio di incarichi militari, bisogna rilevare, a titolo illustrativo:

"Filippo IV dice, nella Cedola reale del 20 agosto 1637, che l'ufficiale che serve in guerra durante un anno goda della nobiltà di privilegio, e quello che lo fa per quattro anni trasmetta la nobiltà ai suoi eredi .(...)

"La nobiltà personale è riconosciuta a tutti gli ufficiali dell'esercito per ordine reale del 16 aprile 1799, e il 18 maggio 1864 si dà ordine che il titolo di Don e Nobile venga dato ai figli di capitano e ufficiale di grado superiore, ai nipoti di tenente-colonnello e agli hidalgo notori che servono nell'esercito" (Vicente de Cadenas y Vicent, Cuadernos de doctrina nobiliare, Institutos Salazar y Castro, C.S.I.C. - Asociación de Hidalgo a Fuero de España, Ediciones Hidalguía, Madrid 1969, n 1, p. 28).

A sua volta, il "Código de las siete partidas", di Alfonso X il Savio (1252-1284), concedeva - tra altri privilegi a persone che si dedicavano a professioni di cultura - il titolo di conte ai maestri di giurisprudenza che esercitavano la carica per più di venti anni (Cfr. Bernabé Moreno de Vargas, Discursos de la nobleza de España, Instituto Salazar y Castro, C.S.I.C., Ediciones Hidalguía, Madrid, 1971, pp. 28-29).

Vicente de Cadenas y Vicent, nella sua importante opera Apuntes de Nobiliaria y nociones de Genealogila y Heráldica, riassume i criteri di mobilitazione dicendo:

"Il sacerdozio, il compimento di uffici onorevoli, la carriera delle armi, le lettere, la concessione di un titolo, il matrimonio, il nascere in certi casi da madre hidalga, oppure in determinati territori, l’aver prestato grandi servizi all’umanità, alla Patria o al Sovrano, l’aver sacrificato la propria persona o i propri beni per grandi servizi all’umanità, alla Patria o al Sovrano, l’aver sacrificato la propria persona o i propri beni per grandi ideali, eccetera, sono sempre stati, e devono continuare ad esserlo, giusti motivi per ottenere nobiltà, poiché la tendenza universale è quella di ampliare la base della classe nobiliare, la più colta e sofferta di quelle che compongono la nazione, per far fruttificare le sue virtù a beneficio della società” (Istituto Luis de Salazar y Castro, C.S.I.C.. Primer curso de la Escuela de Genealogía, Heráldica y Nobiliaria, Ediciones Hidalguía, Madrid, 2 edizione, 1984, p. 30).

La mobilitazione a motivo dell'esercizio di attività industriali verrà menzionata nel prossimo paragrafo (9 c).

32) Infatti, si poteva acquistare nobiltà per esercizio di altre cariche e funzioni, come: cariche militari, commensale del Re (alte cariche di corte, segretari e notai del sovrano), cariche finanziarie, cariche universitarie, etc.

È convinzione molto diffusa in Francia che riesce molto difficile elaborare una relazione completa delle cariche e funzioni nobilitanti all'epoca dell'Ancien Régime. Philippe du Puy de Clinchamps, ad esempio, nel libro La noblesse, dal quale è stata raccolta quest'enumerazione, giunge ad affermare che "non esiste, nella storia della nobiltà, capitolo più aggrovigliato di quello delle nobilitazioni per l'esercizio di una funzione" (Collezione Que sai-je?, Presses Universitaires de France, Paris 1962, pp. 20-22).

Non sembra che quest'affermazione rappresenti una critica, ma soltanto una constatazione, poiché tutto quanto è organico e vivo tende al complesso e a volte persino al complicato. Questo diverge di molto da tanti freddi e lapidari quadri di funzionalismo elaborati dal capitalismo di Stato, come nel caso di certi agglomerati piramidali dal macro-capitalismo privato.

33) Cfr. Vicente de Cadena y Vicent, Cuadernos de doctrina nobiliare, n° 1, pp. 35-38.