Plinio Corrêa de Oliveira

 

 

La società cristiana e organica – La società meccanica e pagana

 

 

 

 

Catolicismo, N. 11, Novembre 1951 (*)

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Continuando a estrarre i tesori di dottrina che si trovano nel discorso pontificio ai dirigenti del Movimento Universale per una Confederazione Mondiale, che abbiamo commentato in articoli precedenti (N. 8 e N. 9), dopo avere analizzato i passi di questo documento relativi agli errori di struttura della società moderna, dobbiamo ricercare quali siano le linee generali che dovrà avere, secondo il pensiero di Pio XII, la società cristiana del futuro.

Parlando della vita internazionale, il Pontefice ha detto che la Chiesa vuole la pace:

"Essa la vuole, e perciò si adopera a promuovere tutto ciò che, negli schemi dell’ordine divino, naturale e soprannaturale, contribuisce ad assicurare la pace. Il vostro movimento, Signori, si dedica a realizzare una organizzazione politica efficace del mondo. Niente di più conforme alla dottrina tradizionale della Chiesa, più conforme al suo insegnamento circa la guerra legittima o illegittima, soprattutto nelle congiunture presenti. Bisogna giungere dunque ad una organizzazione di tal genere, non fosse che per farla finita con una corsa agli armamenti in cui da decine di anni, i popoli si rovinano e si esauriscono in pura perdita.

"Voi siete d’opinione che, per essere efficace, l’organizzazione politica mondiale debba avere forma federalistica. Se con ciò intendete che essa deve essere esente dall’ingranaggio di un unitarismo meccanico, siete anche in questo d’accordo con i principi della vita sociale e politica fermamente enunciati e sostenuti dalla Chiesa. In realtà nessuna organizzazione del mondo sarebbe vitale se non si armonizzasse con l’insieme delle relazioni naturali, con l’ordine normale e organico che regge i rapporti particolari degli uomini e dei diversi popoli. Senza di che, qualunque ne fosse la struttura, le sarebbe impossibile sostenersi e durare.

"Perciò noi siamo convinti che prima cura debba essere quella di stabilire saldamente o di ripristinare questi principi fondamentali in tutti i campi: nazionale e costituzionale, economico e sociale, culturale e morale”.

Passando al campo politico, Pio XII ha detto:

"Dappertutto oggi la vita delle nazioni è disintegrata dal culto cieco del valore numerico. Il cittadino è elettore. Ma, come tale, egli non è in realtà che una delle unità, il cui totale costituisce una maggioranza o una minoranza; che uno spostamento di qualche voto, anche di uno solo basterà a capovolgere. Di fronte ai Partiti, egli conta soltanto per il suo valore elettorale, per l’apporto che il suo voto dà: del suo posto e del suo ufficio nella famiglia e nella professione non si tratta".

Riguardo alla vita economica e sociale, il Pontefice afferma che:

"Non c’è nessuna unità organica naturale tra i produttori dal momento che l’utilitarismo quantitativo, la sola considerazione dei costi di produzione, è l’unica norma che determini i luoghi di produzione e la distribuzione del lavoro, dal momento che è la 'classe' che divide artificialmente gli uomini nella società e non più la cooperazione nella comunità professionale".

In campo culturale e morale, a sua volta: "La libertà individuale, liberata da tutti i vincoli, da tutte le norme, da tutti i valori oggettivi e sociali, non è in realtà che una mortale anarchia, soprattutto nella educazione della gioventù".

E, più avanti, il Santo Padre conclude: "Se dunque, nello spirito del federalismo, la futura organizzazione politica mondiale non può, per alcun pretesto, lasciarsi prendere nel gioco del meccanismo unitario, essa avrà un’autorità effettiva solo in quanto salvaguarderà e favorirà dovunque la vita propria di una sana comunità umana, di una società in cui tutti i membri insieme concorrono al bene dell’intera umanità".

Le sottolineature, è chiaro, sono nostre. Le abbiamo introdotte nei testi per facilitarne lo studio.

Organicità e meccanicità

In questi vari passi, uno più importante dell’altro, il Pontefice usa costantemente due metafore, "organismo" e "meccanismo". L’"organismo" corrisponde sempre a ciò che è retto, buono, lodevole. Il "meccanismo" a sua volta corrisponde a ciò che è fuori strada, inadeguato, sbagliato.

L’esatta comprensione delle direttive pontificie esige quindi l’approfondimento dell’analisi di queste metafore.

Un organismo animale o umano e un meccanismo, hanno tra loro qualcosa di comune. Tanto l’uno come l’altro sono un insieme di pezzi diversi tra loro, ordinati gli uni agli altri in modo da costituire un solo insieme, e ciascuno dei quali svolge una funzione che costituisce parte di un’opera comune.

A dispetto di tante analogie, le diversità tra organismo e meccanismo sono così profonde che si potrebbero dire quasi infinite. Tutte derivano da una diversità che va dall’inerte, statico, morto, a ciò che è animato, agile, vivo:

I. Gli organi di un corpo agiscono per un movimento che viene loro dalla vita presente in essi; il movimento procede dalle profondità stesse del loro essere. I pezzi di una macchina sono incapaci di muoversi da soli. Tutto il movimento viene loro dall’esterno. Propriamente non si muovono: sono mossi.

II. Gli organi viventi hanno una non piccola capacità di adattarsi da sé stessi a nuove condizioni di esistenza e di funzionamento. Si tratta di un adattamento delicato, generalmente lento, fatto al millimetro, ma precisissimo e durevole. La macchina è soltanto come è stata fatta, e da sé stessa non si adatta a niente. Quando qualcuno la adatta a un altro fine, può farlo drasticamente, perché la materia è cieca, e non è necessario usare riguardi per fondere un pezzo di metallo o lavorare il marmo.

III. Dotato di vita propria l’organo ha una certa porzione di indipendenza. Così nessuno di noi è libero di imporre alle sue gambe o alle sue braccia la grossezza e la forma che vuole. Al contrario, quanto è posticcio, artificiale, meccanico, è assolutamente soggetto all’uomo. E perciò uno zoppo può dare alla sua gamba di legno o di caucciù un colore, un peso, una forma che gli sembrino più pratici o più estetici.

IV. Siccome la natura è opera diretta di Dio, e il meccanismo è più direttamente opera dell’uomo, nonostante il fatto che tutto quanto è meccanico dipenda molto più dalla scienza, tutto quanto è organico è molto più perfetto. Così, per esemplificare, per quanto la scienza perfezioni le gambe e le braccia meccaniche - e in questo senso ha fatto meraviglie - qualsiasi uomo preferirà a una di queste la sua gamba o il suo braccio naturale, anche se difettosi.

V. Nella macchina, tutti i pezzi ubbidiscono come schiavi all’impulso di chi li aziona. Fondamentale è, quindi, la parte della volontà di chi li dirige. Con una macchina vi è un solo mezzo possibile di comando: la dittatura. E quando la macchina è renitente vi è una sola soluzione: aprirla, smontarla e applicare la tenaglia e il martello a ciò che è storto. Un organismo vivente è molto più libero, e la meccanica è sempre stata, è e sarà sempre più efficace della chirurgia. Nell’organismo umano, il successo delle attività del corpo dipende dalla collaborazione naturale, viva, in un certo modo (si noti bene la restrizione) libera, di ogni parte.

Applichiamo ora alle società umane i concetti di "organico" e "meccanico".

Descriviamo due società del passato, una organica e l’altra meccanica.

Una società organica e cristiana

In un certo senso, la famiglia è la più viva di tutte le società. Infatti, benché sia lo Stato che altri gruppi sociali inferiori nascano dallo stesso ordine naturale delle cose, nessuna società è così imperiosamente e per così dire urgentemente creata dalla natura quanto la famiglia. Possiamo concepire la società umana vivente embrionalmente in una struttura familiare, anteriormente alla esistenza dello Stato. Non possiamo concepire lo Stato vivente anteriormente alla famiglia, o senza essa.

D’altro lato, non vi è società per la quale siamo così naturalmente portati. Tutte le disposizioni di spirito necessarie al regolare funzionamento della famiglia esistono in noi - almeno in un certo modo - spontaneamente: il rispetto dei figli per i genitori, la comprensione, l'amore, il mutuo aiuto tra i membri. Paragonata alla famiglia, qualsiasi altra società sembra fredda, rigida; in un certo senso, artificiale.

Uno dei tratti caratteristici della civiltà cristiana edificata in Occidente dopo le invasioni barbariche, è consistito nel fare della famiglia non solo una istituzione di vita puramente domestica e privata, come è oggi, ma l’unità motrice di tutte o quasi tutte le attività politiche, sociali e professionali.

La proprietà immobiliare era spesso più familiare che individuale. La casa, la terra, il feudo erano considerati molto più come patrimonio della famiglia che dell’individuo. Lo stesso accadde nell’artigianato e nel commercio, nei quali si manifestò la tendenza a trasmettere la professione di padre in figlio, per diverse generazioni.

Se esaminassimo il campo della scienza e delle arti, vedremmo anche in esso con quanto frequenza i membri di una famiglia si dedicassero allo stesso ramo.

Nell’amministrazione, sia feudale che comunale o regale, nelle finanze, nella diplomazia, nella guerra, in tutti i campi, insomma, notiamo che la famiglia in quanto tale era, in tutta la misura del possibile, la grande unità d‘azione e di propulsione. I feudi, le corporazioni, le università, i comuni, non vi era nulla che sfuggisse alla penetrazione della famiglia. A tale punto che lo Stato - un regno, per esempio - non era altro che una famiglia di famiglie, governata da una famiglia: la famiglia reale.

Con le riserve con cui immagini come questa devono essere usate, si può dire che la famiglia penetrava tutte le parti dell’organismo sociale, come le arterie penetrano e irrorano tutte le membra del corpo umano. E in questo modo la famiglia comunicava qualcosa di particolarmente vivo, plastico, organico, a tutte le istituzioni politiche, sociali, economiche, ecc. Considerando la struttura e la vita di queste istituzioni, come per esempio corporazioni, università, comuni, colpisce la loro "naturalità".

I tratti tipici di queste diverse specie di organismo non furono prestabiliti da nessun teorico accademico e fantasioso. Al contrario, nacquero lentamente da un adattamento quotidiano alle necessità e ai problemi di ogni momento. Per questo vi era in essi qualcosa di profondamente reale, a un tempo vivo e agile, stabile e solido.

E lo Stato? Anch’esso era qualcosa di molto meno freddo, impersonale e spigoloso di quello che è diventato dopo il 1789. Per gli intrecci del sistema feudale, un re - incarnazione dello Stato - poteva possedere feudi in territorio straniero. Così, le sovranità si confondevano le une con le altre, le nazioni si interpenetravano, e, soprattutto in certe zone di frontiera, era difficile stabilire con chiarezza quando cominciasse un paese e finisse l’altro. Qualcosa di complesso, come i tessuti di un corpo; e non semplice, come le linee di uno schema meccanico.

Luigi XIV di Francia ha scelto il 30 luglio 1667 per fare il suo solenne arrivo a Arras. La carrozza della regina Maria Theresa è seguita  del Re a cavallo accompagnato di tutta la sua corte, mentre la folla ammira l'evento (Van der Meule, Museo di Versailles)

Se consideriamo i rapporti tra il tutto e le parti, lo Stato e gli organi sociali di cui era costituita la nazione, l’impressione di organicità vitale si fa ancora più pronunciata: ogni organo è un piccolo tutto, quasi un regno di misura piccola o persino minuscola, dotato nella sua sfera di certe funzioni di governo, legislative, esecutive o giudiziarie. Così, nella famiglia, il padre era un autentico re in miniatura, per il potere che esercitava sulla sposa e sui figli. Caratteristico era l’assioma: il padre è re dei figli; il re è padre dei padri. In alcune famiglie erano peculiari anche le leggi di successione, e diverse da quelle che si applicavano in tutte le altre.

Anche nei feudi il signore era un re in miniatura, legislatore, governatore e giudice nell’orbita che gli spettava.

Quanto alle corporazioni, esse pure svolgevano funzioni "di lavoro" - per usare il termine moderno - oggi molto spesso affidate agli organi legislativi, esecutivi o giudiziari dello Stato.

Il re - semplificando molto le cose, è chiaro - aveva solo la funzione suppletiva di fare ciò che da soli questi diversi organi non avrebbero potuto realizzare, cioè la tutela degli interessi comuni e supremi che esorbitavano dall’ambito specifico di tutti gli organi, il mantenimento di un giusto equilibrio tra essi, e la vigilanza affinché, all’interno di ciascuno di essi, non venissero offesi i principi fondamentali della morale e della civiltà cristiana.

Considerando nel suo insieme questo quadro molto sommario, si vede quanto esso è organico. Ogni elemento cellulare ha funzioni assolutamente peculiari. Ciascuno ha, per l’esercizio delle sue funzioni, attribuzioni che gli spettano per diritto proprio, e si muove per una energia che opera da dentro a fuori, e non da fuori a dentro. Il buon andamento del tutto dipende molto più dal buon andamento di ogni parte, che dalla semplice azione dell’organismo centrale.

Una società inorganica

Come sarebbe un ordine di cose inorganico?

Sarebbe quello che assomigliasse a una macchina, cioè quello in cui tutti i membri ricevessero l’impulso da un solo agente esterno e centrale: nel quale l’ubbidienza di ogni parte fosse assolutamente pacifica e impersonale; nel quale la forma e il compito di ogni pezzo, e del tutto, fosse suscettibile di qualsiasi riforma giudicata consigliabile in funzione delle concezioni teoriche dei tecnici.

In che modo si realizzerebbe questo? Con il socialismo assoluto. Infatti, per lo Stato socialista, la famiglia e i gruppi sociali non esistono. Esso, come unico mezzo di azione, concepisce la divisione della pubblica amministrazione, naturalmente schiava, che obbedisce all‘impulso che a essa viene dal centro, che si muove esclusivamente secondo questo impulso, e che è organizzata come una immensa rete metallica che avvolge il paese, e attraverso i cui fili la direzione centrale fa circolare correnti elettriche come e quando le piace.

D’altra parte, tutto questo è rigido: un teorico può concepire a priori una serie di pezzi di questo organismo. Un decreto, o una legge, lo trasforma in realtà. Ed esso deve esistere così come ordina il decreto o la legge, finché un altro decreto o un’altra legge non disponga in senso contrario! Niente di più rigido, certamente, ma niente di più riformabile. Basta che sopravvenga una nuova legge, perché il meccanismo si trasformi in un altro completamente diverso, senza traccia né vestigio di quello che era prima. Come il metallo che, una volta fuso, accetta una nuova forma e non conserva in sé nessun vestigio della sua forma precedente.

Lo Stato contemporaneo

In larga misura, le democrazie moderne partecipano dei vizi dello Stato socialista. La loro grande forza motrice è la volontà della maggioranza puramente numerica della popolazione. Espressa questa volontà nelle urne, si forma un parlamento sovrano, che può fare tutto, compreso riformare la Costituzione. Così, la metà più uno può decretare quello che vuole: sarà legale tutto quello che verrà fatto per via parlamentare. La famiglia può essere dissolta, la proprietà privata corrosa da ogni genere di sofisma o persino abolita, la religione detronizzata attraverso la sua separazione dallo Stato, o forse messa al bando: sarà tutto onesto, coerente, retto, purché risponda al desiderio della maggioranza. In nome di questa maggioranza, consultata in successivi plebisciti sul cui carattere enigmatico la storia non ha ancora detto l’ultima parola, Hitler ha ridotto la Germania a una prigione.

Il potere legislativo, quello esecutivo e quello giudiziario, nei regimi nati dalla Rivoluzione, appartengono esclusivamente e completamente allo Stato. Di fronte a questo Stato che tutto può, i gruppi o gli individui non sono organi ma pezzi di macchina.

Bisogna non sapere leggere, per non accorgersi che proprio su questo aspetto della condizione attuale cade la condanna del Papa Pio XII.

 

La Sainte Chapelle, costruitta da San Luigi IX (sec. XIII)

Come arrivare all'organicità

Come fare, allora? Quello che fecero i nostri antenati, agli albori dell’attuale civiltà. Essi compresero che, sulla rotta indicata dal decalogo, e rispettando i diritti della Chiesa, argomento nel quale tutta l’intransigenza e la severità sono ancora poco, è necessario permettere che lentamente la società riprenda ad avanzare da sola, libera dal busto di ferro della dittatura statale, sia parlamentare che del capo dello Stato. È necessario permettere che la famiglia ritorni di nuovo alla pienezza di azione e di influenza a cui in altri tempi era pervenuta; che i gruppi professionali, sociali e altri, intermediari tra l’individuo e lo Stato, siano liberi di esercitare, per diritto proprio e secondo forme proprie, le attività necessarie al compimento delle loro mansioni; che lo Stato, rispettando in ogni modo queste autonomie, dia a ogni regione il diritto di organizzarsi secondo la sua struttura sociale ed economica, la sua indole, le sue tradizioni; che infine il potere sovrano, all’interno della sua orbita suprema e specifica, sia onorato, vigoroso, efficiente.

Rispettando questi principi, a che meta finale arriveremmo? Ritorneremmo al Medioevo? O avanzeremmo verso un futuro nuovo e assolutamente imprevedibile?

A entrambe le domande si dovrebbe rispondere affermativamente. La natura umana ha le sue costanti, che sono invariabili per tutti i tempi e per tutti i luoghi. Anche i principi basilari della civiltà cristiana sono immutabili. Quindi, certamente, questo nuovo ordine di cose, questa nuova civiltà cristiana, sarà profondamente simile, o meglio, identica a quella antica nelle sue linee essenziali. E sarà, se Dio vuole, nel secolo XXI la stessa del secolo XIII.

Ma d’altra parte le condizioni tecniche e materiali della vita hanno subito profonde trasformazioni, e non vi sarebbe niente di più inorganico del fare astrazione da queste modificazioni. Su questo punto specifico, è assolutamente necessario non fare molti piani. I fondatori della civiltà cristiana nel Alto Medioevo non avevano in mente il secolo XIII così come è esistito. Avevano semplicemente l’intenzione generica di fare un mondo cattolico. Perciò ogni generazione venne risolvendo con profondità di vedute e senso cattolico i problemi che erano alla sua portata. E per quanto riguardava gli altri, non si perdevano in congetture.

Facciamo come loro. Nelle linee generali, tutta l’armatura ci è nota dalla storia e dal Magistero della Chiesa. Quanto ai particolari, avanziamo a passo a passo, senza piani puramente teorici, elaborati a tavolino: "sufficit diei malitia sua".

(*) Dal sito www.atfp.it, Per un ordine cristiano nazionale e sovranazionale. I neretti sono del sito

www.pliniocorreadeoliveira.info


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